Note: [1] Luigi Offeddu, Corriere della Sera 14/6; [2] Enrico Franceschini, la Repubblica 14/6; [3] Il Messaggero 14/6; [4] Andrea Bonanni, la Repubblica 14/6; [5] Giorgio DellཿArti, La Gazzetta dello Sport 14/6; [6] Fausto Carioti, Libero 14/6; [7] Lucio, 14 giugno 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 16 GIUGNO 2008
Venerdì l’Irlanda ha bocciato la nuova Costituzione d’Europa: 53,4% di «nìl» («no»), contro 46,6% di «tà» («sì»). Già 18 dei 27 parlamenti o governi hanno ratificato il Trattato di Lisbona (tra questi non c’è l’Italia), versione «leggera» della Costituzione bocciata nel 2005 da francesi e olandesi. Perché potesse entrare in vigore dal primo gennaio 2009 serviva però l’approvazione di tutti. [1] Enrico Franceschini «Il ”no” di Dublino, l’unica nazione che ha indetto un referendum popolare sul Trattato, rischia dunque di riportare al punto di partenza i piani di integrazione europea, già deragliati tre anni fa dalla bocciatura della costituzione». [2]
Il voto irlandese ha in primo luogo motivazioni interne. Ennio Di Nolfo: «L’Irlanda, entrata nella Comunità economica europea nel gennaio 1973, era allora uno degli Stati più poveri e arretrati d’Europa. Dopo le prime difficoltà, essa divenne, grazie all’integrazione, una ”stella splendente”, per usare un’affermazione dell’Economist, nel firmamento dei Paesi in rapido sviluppo. Fino al 2004 l’Irlanda ha vissuto una sorta di miracolo economico quasi ininterrotto, che ha trasformato il Paese, ne ha modificato le strutture e le abitudini, la qualità della vita. Dopo di allora ha avuto inizio una fase di crisi non dissimile, negli ultimi mesi, da quella vissuta da tutto il mondo occidentale. I disagi della vita quotidiana, messi a confronto con la necessità di ratificare un trattato lungo 287 pagine, incomprensibile ai più se non per il fatto che esso stringe ancora più strettamente i vincoli al continente e alle scelte dei suoi maggiori Paesi; la nostalgia rispetto a un passato bucolico; l’irritazione verso la burocrazia di Bruxelles; il timore che un rafforzamento dell’Unione con una politica estera comune possa violare la tradizionale neutralità irlandese, tutti questi motivi, messi insieme, possono spiegare il voto. Non ne giustificano le conseguenze». [3]
Il ”no” irlandese significa che a gennaio l’Europa non avrà, come previsto, un nuovo presidente permanente del Consiglio, né un ministro degli Esteri. Andrea Bonanni: «Non ci sarà il ridimensionamento del numero di europarlamentari alle elezioni della primavera 2009, né quello dei commissari europei. Non ci sarà il servizio diplomatico unificato. Tramonta la possibilità di decidere a maggioranza su un vasto numero di questioni cruciali, tra cui quelle dell’immigrazione e della giustizia». [4]
L’Irlanda ha poco più di quattro milioni di abitanti contro i 497 milioni dell’intera Ue (meno dell’1%). Ha votato il 40%, cioè poco più di 1 milione e 600 mila persone. Di queste, hanno detto no 862.415 elettori, contro i 752.451 schierati sul fronte opposto. Giorgio Dell’Arti: «La domanda giusta non è: com’è possibile che una sparutissima minoranza determini la volontà di un maggioranza enorme? La domanda giusta invece è: che cosa accadrebbe se il testo del Trattato di Lisbona venisse sottoposto a referendum in tutta Europa? E anche: è giusto che una Costituzione passi solo per i Parlamenti e non sia sottoposta a referendum popolari dappertutto?». [5] Fausto Carioti: «Gli elettori europei si dividono in due categorie: quelli che hanno bocciato i trattati europei e quelli ai quali è stata negata la possibilità di bocciarli». [6]
Ogni volta che hanno potuto, gli europei non l’hanno mandata a dire. Carioti: «Si iniziò con il trattato di Maastricht, che nel 1992 fu sottoposto al giudizio dei danesi, i quali lo bocciarono, anche se di stretta misura. L’impalcatura europea fu salvata miracolosamente dai francesi, i quali - pochi mesi dopo - approvarono con il 51% dei voti l’accordo europeo. Si tornò a dare la parola ai cittadini nel 2001, quando gli irlandesi affossarono il trattato di Nizza, che stabiliva le regole da adottare man mano che gli stati dell’Europa orientale sarebbero entrati nell’Unione. L’accordo dovette essere modificato e fu necessario un secondo referendum per strappare il ”sì” di Dublino. Nel 2005 fu il turno della costituzione europea, prima promossa da un referendum spagnolo, quindi silurata senza pietà dagli elettori di Francia e Paesi Bassi. Così furono necessari due anni di riflessione per approvare, a Lisbona, una nuova carta europea, chiamata ufficialmente ”trattato di riforma”, che assegna più poteri ai parlamenti nazionali e diminuisce la facoltà legislativa della Ue. Non è servito a niente: appena sottoposto agli elettori, questo trattato ha subìto la stessa sorte riservata al suo predecessore». [6]
L’Europa è fatta per gli europei non dagli europei. Lucio Caracciolo: «Meglio lasciar scegliere chi sa, per il bene di tutti. per questo che dopo lo schiaffo olandese e francese alla cosiddetta ”Costituzione europea”, quasi tutti i governi avevano optato per la ratifica del nuovo testo – grosso modo quello vecchio, meno il riferimento costituzionale nel titolo, indigeribile dalle opinioni pubbliche più nazionaliste – passandolo allo scontato vaglio dei parlamenti. Se poi la piccola Irlanda si rivolgeva ai cittadini, poco male. Si pensava che quel paese miracolato dai quattrini comunitari non avrebbe rifiutato il ”sì”. Forse omettendo di considerare che proprio perché avevano ottenuto dall’Europa quel che loro interessava, la passione degli irlandesi per l’impresa comunitaria aveva perso d’intensità». [7]
Il punto adesso è come uscire dal cul de sac e superare la paralizzante norma dell’unanimità per la ratifica dei trattati. Secondo l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la sola possibilità che resta è di compiere atti che siano insieme di responsabilità e di audacia. « bene che un nucleo forte di Paesi vada avanti nonostante tutto... un’ avanguardia autorevole e coesa, in grado di indicare il percorso al quale gli incerti di oggi potranno domani agganciarsi. Non vedo alternative diverse, se non il collasso dell’intera casa europea». [8] L’ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa, presidente del think tank Notre Europe: «In Europa, si sono sempre formate avanguardie per avanzare». [9]
L’Europa è in un vicolo cieco? Padoa-Schioppa: «Assolutamente no. La discussione che i capi di Stato e di governo dovranno avere potrà essere conclusiva solo quando il processo di ratifica sarà completato. Avere 26 sì e un no non è uguale a avere 18 sì, un no e 8 Paesi che non hanno deciso. Il primo Stato che cercò di ratificare Maastricht fu la Danimarca: vinse il no. Ci fossimo fermati, oggi non avremmo l’euro. L’Europa non è mai andata avanti con l’intero fronte schierato. Londra aveva un osservatore alla conferenza di Messina nel ”55 ma non era a Roma nel ”57 e lo Sme, il Parlamento europeo, Schengen, l’euro sono stati decisi solo da una parte dei Paesi membri. Non sarebbe una novità». [9]
Gli 8 Parlamenti che non hanno ancora ratificato Lisbona, tra cui quello italiano, devono farlo in fretta. Alberto D’Argenio: «Perché un piano, o forse una speranza, per anestetizzare la Waterloo di Dublino si intravede. Portare a casa 26 ratifiche, mettere l’Irlanda con le spalle al muro e spingerla a un nuovo referendum, magari con la concessione di un protocollo che fornisca garanzie sui temi sventolati dai sostenitori del ”no”. In alternativa l’auto-esclusione dall’Ue. Schema già sperimentato nel 2001 quando proprio gli irlandesi furono gli unici a bocciare il Trattato di Nizza, per poi tornare sui loro passi». [10]
L’Unione europea potrà mai diventare politicamente forte? Ida Magli: « chiaro come il sole che non può essere forte uno Stato i cui popoli perdono la patria, l’identità territoriale e linguistica, il patrimonio storico, artistico, intellettuale, religioso, culturale. Ma è proprio questo che perseguono i veri progettisti dell’unione: vogliono indebolire l’Europa fino a farla diventare territorio di passaggio per il sud-oriente; sono soltanto i piccoli politici di servizio quelli che stupidamente sperano nella grande Europa». [11]
A differenza di quanto successe dopo la bocciatura francese della Costituzione, l’Unione europea ha un ”piano B” che prenderà forma al prossimo vertice europeo convocato a Bruxelles (giovedì e venerdì). [4] Marco Zatterin: «Si tratterebbe di aggrapparsi all’approvazione avvenuta da quattro quinti degli Stati e modificare il Trattato attuale, che prevede la ratifica all’unanimità, in modo da consentire il passaggio con una differente di maggioranza. Una tale decisione dovrebbe essere presa a Ventisette. Bisognerebbe dunque che l’Irlanda votasse per escludersi. Non facile». [12]
Il Trattato di Lisbona, frutto di lunghi negoziati, non è l’ideale, ma era il massimo che si potesse ottenere in questo momento storico. Livio Caputo: «Con la sua entrata in vigore, il 1° gennaio prossimo, avrebbe consentito all’Europa di prendere nuove iniziative e di avviare con maggiore autorità il dialogo con l’America di Obama o di McCain». [13] Tra i vincitori del referendum irlandese c’è un misterioso «Mr. No». Vittorio Sabadin: «Quel Declan Ganley che ha speso 1,3 milioni di euro per la sua campagna (l’equivalente dei soldi a disposizione di tutti gli altri partiti) e che ha molti amici negli Stati Uniti tra gli ex presidenti, i militari e forse la Cia». [14]
Più che mai, ora varrà il detto che la Ue è un gigante economico e un nano politico. Caputo: «Con la speranza, ma non la certezza, di mantenere almeno la prima caratteristica». [13] Dalla lezione irlandese potrebbe scaturire la terza fase della costruzione europea. Lucio Caracciolo: «La prima, quella eroica, ha preso impulso dalla catastrofe della guerra: allora le Comunità europee erano sinonimo di riconciliazione franco’tedesca, integrazione nell’Occidente antisovietico e relativo benessere. La seconda fase, annunciata dall’unificazione tedesca e dal suicidio dell’Urss, ha prodotto Maastricht: l’ultimo urrà del funzionalismo, che pretendeva di transustanziare l’economia in politica, l’euro in integrazione geopolitica. La terza dovrebbe prendere atto del fallimento di quell’alchimia. Per costruire un progetto europeo con chi ci sta e senza chi ne diffida. Oppure per rinunciarvi. Nella chiarezza e nella democrazia». [7]