Massimo Gramellini, La Stampa 14/6/2008, 14 giugno 2008
Quando sui computer della redazione è piovuta la notizia che lo Shuttle aveva urtato un oggetto non identificato di 45 centimetri, negli occhi dei miei colleghi ho visto spuntare una luce strana
Quando sui computer della redazione è piovuta la notizia che lo Shuttle aveva urtato un oggetto non identificato di 45 centimetri, negli occhi dei miei colleghi ho visto spuntare una luce strana. La conosco bene: è la luce della fuga. Quella voglia inesausta di evadere da un mondo che ti soffoca con la sua prevedibilità. Da quel che so, nessuno di loro crede agli extraterrestri: anche perché chi ci crede davvero pensa che vibrino su altre dimensioni, non percepibili dai cinque sensi, ed è portato a escludere che vadano in giro per le galassie a bordo di astronavi-smart di 45 centimetri, pigiati come un vagone di giapponesi nell’ora di punta. Non importa. Per un attimo nello sguardo di chi ogni giorno smaltisce centinaia di ordinarie cattive notizie ha prevalso il desiderio di un evento eccezionale che ponesse fine allo smottamento colloso di piccole e grandi disgrazie che gli si accumulano sul tavolo senza mai indicare il senso di una svolta. Siamo asfissiati dalle analisi di esperti che spiegano perché si sta male ma non sanno dirci cosa dovrebbe succedere per ricominciare a star bene. La prospettiva dell’Ufo che si materializza fra le nubi di questo inverno infinito e vibra frustate all’esistente, introducendo una ventata di rischio ma anche di speranza, ha prodotto qualche scarica di adrenalina persino fra i cinici artigiani della notizia. Poi si è scoperto che si trattava di un banale pezzetto di Shuttle sganciatosi dalla sua collocazione naturale e gli occhi di tutti hanno perso la luce, tornando a guardare senza troppe illusioni la partita di calcio nel televisore. Massimo Gramellini