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 2008  aprile 22 Martedì calendario

DONADONI PER FOGLIO DEI FOGLI 16 GIUGNO 2008

Roberto Donadoni nacque a Cisano Bergamasco (Bergamo) il 9 settembre 1963. Ultimo di quattro figli, «forse non programmato, ma questo l’ho capito dopo. Ci sono tre anni d’intervallo tra Giorgio e Maria Rosa e tre fra Maria Rosa e Gigliola. Solo uno tra Gigliola e me. Il mio paese, Cisano Bergamasco, è a 16 km da Lecco e 18 da Bergamo, nella Bassa. Cinquemila abitanti, qualche azienda importante come la cartografica Pozzoni. Mio padre è il primo di undici figli, mia madre Giacomina ha cinque sorelle. Le cascine dei miei distavano 500 metri. In mezzo, campi di granturco e qualche vigna. Ricordo l’eccitazione prima della vendemmia e l’orgoglio di fare il chierichetto». [1]

Da bambino era milanista. «Perché mi piaceva Rivera. A 12 anni ho potuto infilare le prime Adidas Rivera della mia vita, nere con strisce rosse. Mi piaceva Rivera ma anche Cruyff, Beckenbauer, insomma i giocatori eleganti. Anche se capivo l’importanza di quelli grandi e grossi, sapevo di essere dall’altra parte. A 14 anni ero 1.45. Tant’è che l’Atalanta voleva cedere il mio cartellino al Ponte San Pietro. E mio fratello disse: piuttosto mio fratello lo compro io. Col pallone Giorgio era forse più bravo di me, ma ne aveva sempre una. Un dolorino, una botta, un graffio. Così mio padre gli disse: invece di lamentarti ogni sera è meglio che studi da ragioniere e ti piazzi in banca. E in banca c’è ancora adesso. Però s’è sfogato a scrivermi le pagelle in stile giornalistico, e non era per niente tenero. Quando sono arrivato al Milan, ha smesso di scriverle». [1]

A 9 anni Donadoni giocava con la Cisanese. «In quinta elementare, la mia classe giocava contro i ragazzi di terza media e qualche volta li batteva. All’oratorio, mi era proibito passare la metà campo, oppure potevo passarla ma non segnare. Così dribblavo tutti quelli che potevo e al momento di fare gol passavo a qualcuno. A differenza di Giorgio, non mi sono mai lamentato delle botte che prendevo. Credo sia stato fondamentale l’esempio di mio padre Ercole, ma tutti l’hanno sempre chiamato Piero. Ha fatto il contadino fino a 20 anni, poi s’è messo a trasportare materiali ferrosi. Dopo un po’ aveva due camion e un operaio. Si alzava alle 4 e tornava che era buio, tutto il lavoro si faceva a mano, col badile. Ecco, con tutti gli allenamenti e le partite che ho fatto, so che non arrivo al 10% della fatica che ha fatto mio padre». [1]

Ogni tanto il padre andava a vederlo. «Ma senza fare un commento. Né allora né dopo. L’unica minaccia, esagerata, me la fece quando venne a sapere, non so da chi, che avevo dato un pugno sulla spalla a una compagna di scuola. Alla mia collezione di figurine mancava quella di Piloni. Lei ce l’aveva e per puro dispetto non voleva darmela. Un’altra lamentela dalla scuola, disse tranquillo mio padre, e ti inchiodo le orecchie sul banco. Non ci furono altre lamentele. Ho anche preso il diploma da geometra, ultimi due anni da privatista. Dei cugini di mio padre avevano una piccola impresa edile. Ho lavorato anche lì, passando da muratorino a gruista». [1]

A portarlo all’Atalanta fu Raffaello Bonifacio, che ancora oggi chiama «il maestro». «Cisanese-Telgate, lui era venuto per vedere uno del Telgate, Marchetti, e prese me. E del calcio mi ha insegnato la tecnica, il rispetto per i compagni e gli avversari, la cultura del lavoro, la stessa che predicava Sacchi, ma io avevo già imparato la lezione. Ricordo la sua 500 bianca, ci stavamo non so come in 5 coi borsoni da calcio. A Bergamo ci allenavamo al campo militare, alla fine giravamo con carriola e badile per tappare i buchi, poi saltavo sull’autobus numero 9 fino alla stazione e di nuovo saltavo sull’accelerato delle 18.05 che impiegava 40 minuti a fare 18 km. E cominciavo a studiare. Se perdevo il 18.05 dovevo aspettare quello delle 21». [1]

All’Atalanta ebbe per allenatori «Casati, che ci faceva bere bicchieroni d’acqua con dentro il sale grosso da cucina, per reintegrare. Bianchi, che mi fece esordire. Sonetti, il mio incubo. Per mesi ho sognato di strangolarlo. ”O faccio di te un calciatore o ti faccio smettere”, ripeteva il suo faccione, e io ogni notte lo strangolavo. A quei tempi ero convinto di essere il più bravo di tutti, mi sentivo un professorino. Però aveva ragione Sonetti: il calcio è sacrificio, se non lo capisci non vai da nessuna parte». [1] Nell’estate del 1986 arrivò al Milan. Germano Bovolenta: «Il presidente orobico (allora si diceva così) Cesare Bortolotti prende il ragazzo sottobraccio: ”Roberto, vai alla Juve. Ho già fatto tutto con Boniperti. Contento?”. Il giovane Donadoni scuote la testa: ”Ma io sono tifoso del Milan...”. ”E allora?”, lo squadra il presidente. ”E allora io sono tifoso del Milan”, dice il giovane e cocciuto Donadoni. ”Io sono cresciuto a pane e Rivera e per me c’è una sola squadra”, insiste. Va al Milan». [2]

Donadoni fu il primo grande acquisto di Silvio Berlusconi. I giornali uscirono con titoli tipo ”Berlusconi si dona Donadoni”. Bovolenta: «Donadoni è un fantasista che parte in dribbling sulla fascia e fa le piroette al centro, dietro le punte. Il suo primo anno (con l’ultimo Liedholm) non è bellissimo. Ma piace e la gente lo chiama El Donadun». [3] Nell’estate del 1987 sulla panchina del Milan arrivò Arrigo Sacchi: « stato lo stravolgimento di tutto. Prima, con Liedholm, ci si allenava blandamente. La fatica fatta con Sacchi non si può raccontare. Ma era il segreto di quel Milan, un gruppo che accettava i massimi pesi del lavoro fisico e tattico. Era una sfida continua: a noi stessi, prima che agli altri. A Milanello eravamo tutti amici, eppure fuori ci frequentavamo pochissimo. Ma com’era bello, in allenamento, puntare Maldini o Baresi. Sapevo che, se riuscivo a saltare loro il giovedì, la domenica avrei superato ossi meno duri. Osso era anche il mio soprannome, a Milanello, perché non mollavo mai». [1]

Sacchi, che con quel Milan vinse lo scudetto del 1988 e le coppe dei Campioni del 1989 e 1990, lo ricorda «di una serietà da non credere. Grande carattere, grande applicazione, grande volontà e grandi motivazioni. Componenti che ampliavano il talento che Dio gli ha dato. Insomma, era un gran positivo. Non era il burlone della compagnia. Era un po’ introverso. Però sapevo che mi avrebbe dato sempre il massimo, in ogni circostanza. Era una garanzia di serietà. A livello di puro talento, forse qualcuno era meglio di lui. Roberto non aveva sempre l’assist decisivo o il gol importante però era una mezzapunta che giocava per i compagni, con i compagni, a tutto campo e a tutto tempo». [4] Dovendo riassumere il rapporto avuto con i suoi allenatori, ha detto che «Sonetti è stato importante sul piano caratteriale. Sacchi, a livello tattico. Capello, come gestione dello spogliatoio. Di problemi, ne ho avuti solo con Zaccheroni. Non ero più un ragazzino, ci scontrammo sui metodi di allenamento». [5]

«Roberto Donadoni è il miglior giocatore italiano degli anni Novanta», ha detto una volta Michel Platini. [3] Lui dice di non ricordare neanche quanti scudetti ha vinto (sei: 1988, 1992, 1993, 1994, 1996, 1999): «Non so dire qual è il mio gol più bello perché non me ne viene in mente uno. Non ricordo i nomi di tutti quelli con cui ho giocato, né quelli degli arbitri che mi hanno diretto. Al Milan ho vinto molto e ogni volta azzeravo tutto, pensavo alla prossima». Costretto, ricorda «nel bene, il 5-0 al Real. Nel male, il rigore che ho sbagliato con l’Argentina a Napoli. Quella Nazionale meritava la finale». [1] Alessandro Pasini: «A Italia ”90 sbagliò uno dei rigori nella semifinale persa con l’Argentina; a Usa ”94 perse la finale con il Brasile; nei due Europei disputati, si fermò in semifinale nell’88 e al primo turno nel ”96. Un contro- palmarès che stride con quello straordinario con il Milan fatto di 6 scudetti, 3 Coppe Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 3 Supercoppe europee e 4 italiane». [6]

Per il Milan rischiò anche la vita, in Jugoslavia (1988) contro la Stella Rossa nella «partita della nebbia». Bovolenta: «Travolto da un difensore è colpito alla tempia, perde i sensi. ”Potevo morire, me lo dissero dopo”, racconterà. Lo salva il dottor Gianni Monti, gli tira fuori la lingua». [3] Enrico Currò: «A 32 anni, quando di dribbling gliene riuscivano ancora parecchi, emigrò negli Usa e da centrocampista dei New York Metrostars fu chiamato da Sacchi all’Europeo ´96, dove fece in tempo a risultare tra i migliori di quella sfortunata spedizione. In America cucinava spaghetti sul fornello elettrico per i compagni e naturalmente studiava calcio: Parreira, futuro ct del Brasile e all’epoca allenatore dei Metrostars, gli chiese di restare come vice». [7]

Donadoni preferì tornare al Milan, per vincere con Zaccheroni il suo ultimo scudetto (1999). Poi andò in Arabia, nell’Al-Ittihad di Gedda: «Quando me lo proposero, pensai che non mi sarebbe mai più capitato, per lavoro, di andare in un paese tanto affascinante. Se mi avessero chiesto di giocare in Cina, sarebbe stata la stessa cosa», rivelò in un´intervista a Libero. Currò: «Cattolico praticante, il bergamasco Donadoni pregava a casa di nascosto e prima della partite aspettava i compagni in uno stanzino vicino allo spogliatoio, mentre loro si riunivano per pregare Allah». [7] «Sono stato a Milano e ho imparato il milanese. Sono stato in America e ho studiato l’inglese. Sono stato otto mesi a Gedda e non so una parola d’arabo. più difficile del bergamasco». [2]

In panchina non è sfuggito alla gavetta. «Non ho mica cominciato al Real Madrid. Sono partito dal Lecco». [8] Giulia Zonca: «Arriva a Livorno, ancora in B, e sembra seminare solo buoni ricordi, ma ancora una volta si lascia dietro la capacità rara e innata di mettere insieme caratteri e talenti, di spremere il meglio e aggiustare. Al Genoa tre sconfitte, un esonero e una telefonata: Spinelli lo rivuole al Livorno e non è il solo. Gennaio 2005, Donadoni è disoccupato, Igor Protti spiega alla dirigenza amaranto che bisogna richiamarlo perché alla squadra piace il modo in cui lavora. Non le buone maniere, più che altro la pignoleria tattica, il modo ordinato e costante con cui prepara le partite, fermandosi sui dettagli. Il Livorno di Donadoni arriva ottavo in Serie A e Lucarelli diventa capocannoniere, un trionfo che non basta per evitare le dimissioni più integraliste della storia». [9]

Stagione 2005-2006, il Livorno è una rivelazione. [9] Pasini: «’D’ora in poi sarò più cattivo”. Così parlò Roberto Donadoni, dopo il clamoroso divorzio in febbraio con il Livorno. Le sue dimissioni, con la squadra sesta in classifica, intercettarono la sfiducia annunciatagli dal presidente Spinelli in tv, via Biscardi, e sancirono un punto che sarà bene tenere fermo, d’ora in poi, in ogni fenomenologia del neo-c.t.: i princìpi contano, i sentimenti anche. A costo, ammise amaro, ”di fare la figura di Alice nel Paese delle meraviglie”. In quei giorni Donadoni aveva ricevuto diverse offerte: Paris St. Germain, Napoli, pure l’al-Ittihad, squadra degli Emirati Arabi dove aveva chiuso la carriera nel 2000. Però aveva aspettato: ”Voglio un progetto serio. Mi interessa più quello che la categoria”». [6]

Incredulo per l’epilogo di Livorno, Donadoni sparì per tornare all’improvviso nell’estate 2006. Zonca: «Possibile tecnico di chiunque abbia bisogno di ripartire. Dalla Juve alla Nazionale, che lo sceglie per restare compatta». [9] La moglie Cristina Radice: « stato tutto così strano. L’estate l’abbiamo passata a Milano. Roby aveva varie offerte tra cui la Juve e il Lecce. Improvvisamente sui giornali è spuntato il suo nome per la panchina della Nazionale. Nel giro di una settimana è arrivata la chiamata. partito in tutta fretta per Roma per incontrare i vertici della Federcalcio. Dopo aver firmato il contratto ha incontrato stampa, tv, amici. Mi ha chiamato quando la notizia aveva fatto il giro del mondo». [10]

Mai l’Italia aveva avuto un commissario tecnico così giovane. Beppe Di Corrado: «Donadoni è stato guardato storto: i tromboni della panchina gli hanno dato del raccomandato perché l’aveva scelto Albertini, suo compagno al Milan. Invidia e antipatie. Demetrio, l’altro troppo ragazzo per fare il vicepresidente della Figc. Poi lui, Roberto, che fu presentato così: ”Può diventare un grandissimo”. C’era il plotone fuori. Difficile essere Donadoni: un ex campione, un grande, uno intelligente, tecnico, bravo e pure gentile, umano, corretto. Difficile essere il numero uno della Nazionale che aveva appena vinto un Mondiale. Roby s’è trovato la squadra campione del mondo senza più palle e senza più voglia. Coi transfughi, con i demotivati, con quelli che ”è meglio lasciare adesso che rischiare”». [11]

« un c.t. atipico. sincero, silenzioso, solitario, vive nella sua caverna e non ne esce volentieri. Ha pochissimi amici, tutti molto fedeli e sempre gli stessi da molti anni. complessivamente duro ma come sanno esserlo i timidi; a ogni suo silenzio corrispondono un disagio e una richiesta di aiuto», scrisse Mario Sconcerti il 6 settembre 2006, giorno in cui la sua Italia subì la prima batosta, sconfitta 3-1 a Parigi dalla Francia [12] Alla fine, la vittoria di Glasgow contro la Scozia ci aveva dato la qualificazione per gli Europei. Alessandro Bocci: «In questo anno e mezzo vissuto pericolosamente, sempre ad inseguire e con l’ombra minacciosa di Marcello Lippi come sgradevole compagna di viaggio, il giovane c.t. ha costruito prima il gruppo e poi la squadra. ”Ho fatto quello che mi sentivo con grande rispetto per tutti”». [13]

Con la Radice, broker nell’agenzia di assicurazioni della sua famiglia, sono sposati da cinque anni. «Abbiamo cominciato a convivere quando Roby si è trasferito negli Stati Uniti, a New York. Tifavo Milan, ma così, senza grande impegno. Allo stadio andavo rarissimamente. Roberto però, mi è sempre piaciuto. Ricordo ancora il Mondiale ”90: già allora aveva qualcosa che mi affascinava. Tifavo per lui, soprattutto dopo il rigore che ha sbagliato. Mi spiaceva vederlo tartassato. Dopo qualche mese ci siano incontrati, un segno del destino. Sì, posso dirlo: è un grande amore. Siamo due persone diverse. Roby è puntuale, ordinato, preciso sino all’esasperazione. Io molto naïf. Ci completiamo. Tra di noi non c’è mai stato uno scontro, un disguido». [10]

Cristina dice che fu affascinata dalla « sua semplicità. Ancora oggi mi meraviglio per la sua umiltà». Del Donadoni c.t. dice che è «concentratissimo»: «Raccolgo bigliettini con freccette e schemini in tutti gli angoli della casa. Ma la formazione in anticipo non vengo mai a saperla». In casa si parla di calcio? «Mica è facile. A volte torna dopo una partita e gli chiedo perché non ha schierato un giocatore che mi piace e che magari ho visto in tv con la faccia triste. A me spiace. Manderei in campo tutti. Ma non gli chiedo altro. Trovo sia giusto così». [10] Dalla prima moglie ha avuto Andrea (15 settembre 1988), che studia Giurisprudenza e allena i pulcini dell’Aldini Bariviera: «L’ho sempre visto poco. L’unico spunto di dialogo con lui è sempre stato il calcio. Forse è per questo che ho cominciato a giocare. Avere un campione in casa è uno stimolo incredibile. E nonostante io sia arrivato in categorie come la Primavera con la Pro Sesto, penso che la mia strada sia un’altra. Intanto studio legge ma vorrei suonare la batteria». [14]

Nella sua casa di viale Washington, a Milano (l’ha acquistata nell’estate ”94), Donadoni ama invitare gli amici per interminabili sfide a scalaquaranta e alla play-station. Andrea Morleo: «I bene informati dicono che Donadoni perda a calcio e sia, al contrario, imbattibile a golf. L’altra casa di proprietà è a Madesimo, in alta Valchiavenna, dove si rifugia spesso». Non tocca caffé e alcolici, ama auto di lusso e cronografi, gioca a golf. Morleo: «Si destreggia tra mazze e buche da una quindicina di anni. Meta preferita, la Masseria San Domenico, sul litorale pugliese tra Bari e Brindisi. Il c.t. possiede una Porsche Carrera 4, un’Aston Martin (quella dell’ultimo James Bond) e una Range Rover». [15]

Ama l’arte, soprattutto la pittura. I quadri del siciliano Salvatore Fiume sono tra i suoi preferiti. [15] Currò: «Nell’estate del ”99, quando i giocatori del Milan campione d’Italia furono portati in visita al Cenacolo vinciano, Donadoni dava già l’impressione di uno che stesse studiando: un po’ discosto dal gruppo dei compagni, scrutava il capolavoro di Leonardo e intanto ascoltava la lezione della guida, silenzioso e attento. ”Mi piace imparare il più possibile, da ogni esperienza”, confidò». [7] Morleo: «Nessun sarto di riferimento, anche se il vestir bene fa parte della sua persona. A tavola, al contrario, gusti semplici. In testa gli spaghetti, cucinati (rigorosamente a fiamma alta) dall’amico Roberto Tropenscovino». [15] Ha un cane, Jack, golden retriever. [10]

Dicono che Donadoni simpatizzi per il Pd. Di Corrado: «Prima delle primarie gli hanno chiesto: ”Andrebbe a votare?”. Lui ha risposto così: ”Il problema non si pone, perché sono impegnato”. C’hanno visto un sottinteso se-fossi-in- Italia-ci-andrei. Berlusconi ha corretto i profeti: ”Credo che non volesse dire quello che avete dedotto”. Si vogliono bene al di là della politica e per il Cav., Donadoni ha rischiato pure di finire la sua avventura a Livorno prima di cominciarla. Era appena sbarcato, incrociò quelli della curva comunistoide e anti-berlusconiana: ”Sono cori ingenerosi e ingiusti, io lo conosco bene Berlusconi”. Lo disse come fa lui sempre, con gli occhi bassi e timidi, ma convinti; con lo sguardo di uno che sta lì e non vuole dare fastidio. Lo disse chiaro, però, senza lisciare il pelo agli ultrà, come fa la gran parte dei suoi colleghi». [11]

«Il gol di un azzurro mi emoziona molto più adesso che sto in panchina di quando il gol lo segnavo io», aveva detto il ct un paio di mesi fa. [1] A meno di un mezzo miracolo, quella di domani contro la Francia sarà la sua ultima occasione per emozionarsi. quasi certo, infatti, che l’eliminazione al primo turno gli costerebbe il posto, restituito a Lippi per provare a difendere il titolo mondiale. Quanto al futuro di Donadoni, a Natale aveva confidato: «Valuterò. Ci penserò. Dicessi che mi piacerebbe allenare un grande club, direi una banalità. Milan, Real, Barcellona, Bayern, la stessa Juventus con la quale ebbi dei contatti prima di diventare ct. Chi non vorrebbe finire in società del genere? Ma non divaghiamo. Ho altri sogni per la testa». [16]