Corriere della Sera 13 giugno 2008, Francesco Battistini, 13 giugno 2008
Cipro riesuma i suoi fantasmi. Corriere della Sera 13 giugno 2008 PETROFANI (Cipro) – «Scavano. Laggiù»
Cipro riesuma i suoi fantasmi. Corriere della Sera 13 giugno 2008 PETROFANI (Cipro) – «Scavano. Laggiù». «Saranno lavori». «No, s’avvicini, scavano ossa». «Ossa di cosa?». «Ossa vecchie. Gente uccisa nel Settantaquattro». Il silenzio si fa più gelido dell’aria condizionata. L’autista sapeva che cercavamo qualcosa. Ora sa che cosa. Accarezza il Cristo Pantocrate che penzola dal retrovisore. Accosta. Le portiere sbattono nel sole, nella polvere e sul rumore d’una ruspa gialla Case Wx90. Tre uomini senza mascherina sistemano dei sacchi, un cane li osserva. Qualche pecora più lontana. Due pale. Una montagnetta di terra smossa vicino a una baracca di legno. Questo era un campo di patate dolci: non le raccoglierà più nessuno. Due mesi fa sono arrivati dal Committee on missing persons, Cmp, la commissione persone scomparse dell’Onu, e hanno ordinato di carotare. Sotto ci sono due scheletri. Due consiglieri comunali di Petrofani, «il villaggio sorto dalle pietre »: i testimoni li videro portar via dai soldati turchi, nessuno li vide morire. Chi ha detto che sono qua? Si sa, e basta. L’escavatore va giù sette, otto metri. «Finora abbiamo trovato solo ossa d’animali», s’asciuga la faccia uno dei tre uomini: «Ma vogliono che continuiamo. Fin dopo l’estate, se serve». Le ossa di Cipro spuntano dappertutto: dalle spiagge, dai giardini, dalle stalle, anche sotto l’asfalto degl’incroci stradali. Morti senza pace d’una pace che non arriva mai. Contadini, studenti, padri di famiglia, bambini. Duemila scomparsi nel nulla. Alcuni stanno sottoterra da quarantacinque anni, quando cominciarono i primi regolamenti di conti e un ufficiale delle Nazioni Unite prese un pennarello verde, tirò una riga sulla mappa, vi disegnò la Linea Verde: i greci da una parte, i turchi dall’altra. La maggior parte sparì nel 1974, quando i colonnelli di Atene rovesciarono con un golpe il riottoso governo filosovietico dell’arcivescovo Makarios e provocarono l’intervento militare di Ankara, spezzando l’isola in due. Furono mesi d’orrori. D’esecuzioni di massa. Di truppe regolari e di paramilitari che ripulivano l’etnia nemica. «Un greco vivo è un greco pericoloso», cantavano i turchi. «Se la Turchia viene a salvare i ciprioti turchi – aizzava Makarios ”, la Turchia non troverà ciprioti turchi da salvare». L’odio di Cipro, come il Muro, non è ancora caduto. Si sta solo sfarinando, piano piano. Con Ledra Street, il passeggio di Nicosia, che solo da qualche mese si può attraversare a piedi. Coi due leader, Demetris Christofias e Mehmet Ali Talat, che hanno ricominciato a parlarsi. Con duecentomila sfollati a Sud, ancora a rimpiangere le case occupate dai coloni. E coi desaparecidos, millecinquecento greci e cinquecento turchi, che nessuno andava più a cercare. Nessuno fino a oggi: se Cipro e la Turchia vogliono rifarsi un futuro in Europa, prima devono disseppellire il passato. «Ho aspettato trentaquattro anni – racconta Angelique Chrisafis, che l’estate scorsa ha finalmente dato una tomba al cugino e a due zii ”, avevo scritto anche a Clinton e a Mandela, per avere un aiuto. Non riuscivo a ottenere nulla. Di colpo, nel 2007, mi hanno detto che li avevano trovati. Li abbiamo riconosciuti da una scarpa, una cintura e un coltellino». Cercare. Esumare. Identificare. Restituire. l’unica cosa che turchi e greci fanno insieme, per ora. La commissione mista esiste dal 1981, ma per quasi vent’anni è stata immobile. Paralizzata dai veti. Poi, s’è cominciata ad aprire qualche fossa perché all’appello mancavano ciprioti con passaporto americano, e da Washington premevano. Tre anni fa sono arrivati gli esperti inglesi, quelli che lavorano in Bosnia. Nel 2006, i primi scavi: 379 corpi scoperti, 83 ridati alle famiglie. La differenza, rispetto ai Balcani o al-l’Iraq, è che qui non è possibile indagare su nulla, cercare di capire come e chi fece questo scempio: il mandato non lo prevede. «Noi diamo una risposta ai parenti – dice Oran Finegan, vicecapo del team ”. La politica ha altri tempi». Archeologi, antropologi, genetisti stendono le ossa su lunghi banchi, dentro un hangar refrigerato all’aeroporto di Nicosia, e lì si dedicano a un gigantesco, macabro puzzle. «Il lavoro è complicato – spiega Elvin Dzanic, bosniaco di Bihac che ha passato anni a identificare i corpi di Srebrenica ”, perché molti corpi venivano buttati uno sopra l’altro, le ossa si sono mischiate. Abbiamo fatto un lungo inventario di tutto quel che può essere utile: vecchie lastre degli scomparsi, nel caso ci siano segni di vecchie fratture che li possano identificare, o impronte dentali, foto che mostrino orologi o anelli da comparare, ritagli di giornali dell’epoca che indicano i luoghi dei massacri. Il dna è la prova decisiva». Lutti lontani, supplementi di funerali. Le vanghe riaprono memorie e dolori. A ogni famiglia viene dato uno psicologo di supporto, il giorno dell’identificazione. Ci sono anche quattro carabinieri della missione Onu a scortarle sulle fosse, nell’hangar, al cimitero. «L’uomo non è un pollo e la notte sogna quel che ha vissuto: nessuno di noi può più morire in pace», è l’incubo di Kamil Simtas, che a Maratha sopravvive solo per pulire le tombe vicino casa: i paramilitari greci gli uccisero la moglie e cinque bambini, il più grande di cinque anni e il più piccolo di uno, poi andarono nella scuola elementare del paese e lì massacrarono tutti gli scolari. Kamil non ha mai messo piede nella parte sud. E riunificarsi coi greci, dice, no: quello mai. Una sera, hanno fatto vedere la storia di due famiglie, i Soupouris e gli Uzersay. Hanno riavuto le loro ossa e la loro dose di fantasmi. Ma il rancore l’hanno sepolto: «Ormai è la storia d’un altro secolo», hanno ripetuto in tutti i tigì. Un abbraccio. Un applauso. Kamil ha spento la tivù e la luce. Non è riuscito a dormire. Francesco Battistini