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 2008  giugno 13 Venerdì calendario

Sono morti da eroi. La Stampa 13 giugno 2008 Sono morti da eroi» ripete don Nunzio Valdini, parroco della chiesa Sant’Agrippino, cercando con questo di lenire la disperazione delle famiglie e la rabbia di fronte all’obbrobrio di sei uomini annegati nel guano

Sono morti da eroi. La Stampa 13 giugno 2008 Sono morti da eroi» ripete don Nunzio Valdini, parroco della chiesa Sant’Agrippino, cercando con questo di lenire la disperazione delle famiglie e la rabbia di fronte all’obbrobrio di sei uomini annegati nel guano. «Non avrebbero dovuto scendere», continua a dire il sindaco Giuseppe Castania. In Comune raccontano di una strana telefonata giunta a metà mattina con la richiesta di rinforzi e di una scala che nessuno aveva, dunque è stata comperata apposta. Tutti aggiungono in coro: «Quest’impianto è modernissimo, uno dei migliori della Sicilia, sarebbe assurdo parlare di un incidente dovuto ad attrezzature fatiscenti». Quello che più sconcerta nella sciagura di Mineo sta proprio nel contrasto fra il verde chiaro delle colline, la pulizia dei tratturi, la modernità degli impianti e la primitività feroce del modo il cui sono morti sei uomini. Sono trascorse ventiquattr’ore, i corpi delle vittime sono recuperati e ripuliti e adesso giacciono nelle camere mortuarie degli ospedali di Mineo, Palagonia, Caltagirone. Carabinieri e i vigili del fuoco hanno prelevato campioni d’aria dalle vasche, ultimato analisi e rilievi, la Procura ha emesso avvisi di reato per sette persone (il sindaco, metà della giunta comunale e il responsabile della ditta privata) ma tutto questo fa parte del rito, è un passaggio obbligato mentre nessuno è in grado di spiegare ancora cosa sia accaduto. Le vittime conoscevano bene il loro lavoro anzi una di esse, Giuseppe Zaccaria, nel Comune era responsabile per l’applicazione delle norme sulla sicurezza. Avevano telefonini con cui dare l’allarme. A bordo delle loro auto avrebbero potuto raggiungere l’ospedale in dieci minuti. Eppure adesso il solo, parziale testimone della fine di sei siciliani per bene è un pastore, uno di quelli che Luigi Capuana avrebbe potuto inserire nelle sue novelle anche se in accordo coi tempi oggi si muove su fuoristrada e parla un ottimo italiano. Si chiama Giuseppe Monaco e fino a pochi anni fa era proprietario del terreno su cui sorge l’impianto di depurazione «poi - racconta - me l’hanno espropriato e da allora porto le mie pecore un po’ più a valle. Come ho fatto l’altra mattina, quando ho notato quel gruppo di persone lavorare intorno alle vasche». Saranno state le dieci. Guidando il suo gregge «zu’» Peppe Monaco ha seguito le attività abbastanza da vicino: «C’era un camion dell’autospurgo che aveva cominciato a pompare, almeno credo, e intorno tre o quattro persone che indicavano qualcosa verso il basso». Erano i due operai della ditta privata di Pozzallo, Salvatore Tunino e Salvatore Srecca più gli impiegati comunali Salvatore Pulici, custode dell’impianto, e Giuseppe Zaccaria, elettricista che aveva interrotto le ferie per via della manutenzione programmata. Il pastore è ripassato di là verso mezzogiorno: «Il camion funzionava ancora - dice - ma intorno non si vedeva più nessuno, dopo una mezz’oretta ho visto un uomo che arrivava e cominciava a fare gesti». Era l’impiegato spedito dal municipio per vedere cosa fosse successo, quello che ha scoperto le statue di guano ed è ancora in stato di choc. Il direttore dell’ufficio tecnico, l’architetto Marcello Zampino, tenta di ricostruire: «All’impianto si erano recati solo Zaccaria e Pulici ma verso le dieci e mezza hanno chiamato chiedendo una scala e qualche aiuto». In tutto il Comune non c’era una sola scala, tanto è vero che Natale Sofia e Giuseppe Palermo hanno dovuto chiedere l’autorizzazione a comperarne una prima di avviarsi al depuratore. Cosa può essere accaduto dopo? «La cosa più probabile - commenta un maresciallo dei carabinieri che ovviamente non può presentarsi - è che i due operai della ditta privata abbiano trovato un intoppo in una delle valvole che controllano la vasca. Doveva essersi bloccata tanto da richiedere un intervento sul fondo, cinque metri più in giù. Qualcuno è sceso, ha sbloccato ed è stato investito da un’ondata di guano mentre si sprigionava il biogas. E’ svenuto, un secondo si è precipitato in aiuto, e poi un terzo, un quarto...». Zaccaria conosceva meglio degli altri le procedure di sicurezza. Sapeva bene che in circostanze simili bisognerebbe piantarsi un autorespiratore sulla faccia, imbragarsi come un alpinista e poi scendere contando sull’aiuto di chi è rimasto sopra, mentre qualcun altro muore. Per questo non l’ha fatto, come non l’hanno fatto gli altri. Chiamatela imprudenza. Chiamatela solidarietà umana. Chiamatelo eroismo. Adesso dalla porta di una casa dignitosa che domina il paese Patrizia Salerno vedova Zaccaria prima di ritirarsi racconta gentile: «Non ci sono uomini come lui, ieri mattina c’eravamo salutati come sempre e poi all’ora di pranzo ho appreso la notizia... no, non me l’hanno fatto vedere per com’era ridotto, ma ho detto tutto a nostro figlio: ha nove anni, l’abbiamo adottato e da sempre l’abbiamo abituato alla verità, ieri sera gli ho spiegato che papà era morto cercando di aiutare i suoi amici. Mi è sembrata la cosa più giusta che si potesse dire». Giuseppe Zaccaria