Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  giugno 13 Venerdì calendario

la Repubblica, venerdì 13 giugno Un amico mi accusa di finanzofobia. Mi dice scherzando che, fosse per me, non si sarebbe inventato l´assegno

la Repubblica, venerdì 13 giugno Un amico mi accusa di finanzofobia. Mi dice scherzando che, fosse per me, non si sarebbe inventato l´assegno. Non è vero. Ho per la finanza la massima considerazione, anche in ragione della distanza. Mi limito ad affermare una banalità: che un pizzico di sale dà sapore, mentre una manciata avvelena la minestra. La strafinanza del nostro tempo avvelena il capitalismo. La finanziarizzazione patologica nasce, alla fine degli anni 70, con il tramonto dell´età dell´oro del capitalismo democratico, da un radicale mutamento del rapporto di forza provocato dalla globalizzazione e dalla rivoluzione informatica, tra il capitalismo da una parte e lo Stato e le organizzazioni dei lavoratori dall´altra. La prima rende inefficienti le politiche macroeconomiche nazionali e immette nel mercato del lavoro mondiale masse di lavoratori che ne deprimono il prezzo. La seconda scioglie la compattezza della forza di lavoro, accentuando il suo indebolimento. La grande impresa, che sembrava avviarsi verso una struttura socialmente più responsabile torna nelle mani di un gruppo di comando capitalistico formato dall´alleanza tra grandi azionisti e grandi manager. Lo scopo di questo gruppo è uno solo, espresso icasticamente in un famoso articolo di Milton Friedman del 1970: la responsabilità sociale dei capitalisti è di aumentare i loro profitti. Ci sono due modi per farlo sbrigativamente. Uno è di approfittare del mutato rapporto di forza per comprimere il costo del lavoro e ridurre o precarizzare l´occupazione. L´altro è di promuovere il valore del capitale aprendone l´accesso a milioni di persone in un mercato dei titoli che lo rappresentano. Si compie così una gigantesca operazione di trasferimento del rischio. Fino allora il finanziamento esterno delle imprese era stato compito esclusivo delle banche, che se ne assumevano tutti i rischi. Ora i rischi sono trasferiti alle famiglie in un enorme mercato finanziario, ove si offre una gamma estesissima di pezzi di carta rappresentativi del capitale delle imprese in combinazioni adattate alle più varie preferenze della domanda. Una vera e propria liquefazione del capitale, con una estrema mobilità e con una riduzione dei rischi, spalmati su un´enorme massa di risparmiatori. Questo è l´indubbio merito della finanziarizzazione. Il valore dei titoli continua naturalmente a dipendere dalla produttività delle attività economiche che essi rappresentano. Ma sempre più dall´offerta e dalla domanda di titoli che si presenta giorno per giorno sul mercato. E quest´ultima è promossa sempre più dalla speculazione che ha di mira il prezzo dei titoli, non il valore delle attività sottostanti. Ora, la speculazione assolve una funzione positiva quando consente di coprire i rischi dell´investimento. Ma niente impedisce che si speculi non solo per coprire rischi ma per assumerne di nuovi, anticipando il valore futuro dei titoli. Nasce allora la possibilità che il loro valore si renda autonomo da quello del prodotto reale, formando le cosiddette bolle: una sorta di inflazione finanziaria che è alimentata da un processo di contaminazione cumulativa. A differenza dell´inflazione normale, che è riflessa subito dai prezzi, essa si rivela solo quando le bolle scoppiano e, come dice Galbraith, gli sciocchi sono separati dal loro denaro. Ora, in un grande mercato finanziario, le bolle non sono eventi eccezionali. Un enorme apparato di intermediazione, di specialisti e di contratti della più varia natura, complessi e indecifrabili ai più, agisce come una pompa sul mercato finanziario che può essere trascinato per lunghi periodi in uno stato di eccitazione permanente, al di sopra del valore reale dell´economia: tanto più, in quanto le banche alimentano la pompa accordando crediti generosissimi ai soggetti che emettono nuovi titoli: una pratica che si chiama "leva finanziaria". Questa dinamica trascina tutta l´economia verso una condizione di indebitamento cronico, di mercatizzazione del futuro. Non solo le famiglie acquistano titoli e consumano beni e servizi ricorrendo al credito. Il governo degli Stati Uniti, che gode del privilegio di emettere la moneta mondiale di riserva, importa beni e servizi al di là delle sue possibilità produttive per finanziare consumi. Esso gode di una specie di grande leva finanziaria che gli è accordata da paesi emergenti, quelli asiatici, che producono molto più di quel che consumano e hanno interesse ad esportare la loro produzione nel mercato americano per mantenere elevato il ritmo della loro domanda. Dunque, tutto fila liscio? C´è qualche cosa che non fila. Primo. A cominciare proprio dal fenomeno del gigantesco debito americano, l´ombra di una accelerazione della svalutazione del dollaro costituisce una minaccia incombente. Indipendentemente da quella, gli Stati dei paesi che hanno accumulato crediti ingenti nei riguardi degli Stati Uniti sono indotti a investirli nell´acquisto di grandi patrimoni americani. L´ingresso dei "fondi sovrani" degli Stati asiatici nel mercato finanziario mondiale sembra una nemesis dello Stato rispetto alla hybris del libero mercato. Secondo. Lo stato di liquefazione delle risorse finanziarie costituisce una condizione di continua instabilità dei «mercati» dai quali, come da luoghi oracolari, provengono messaggi indecifrabili. Terzo. Se è vero che la finanziarizzazione, collegata con la globalizzazione, ha consentito di investire grandi risorse in vaste aree del mondo povero, riducendo in termini ancora modesti ma significativi lo scarto tra paesi ricchi e paesi poveri, è altrettanto vero che essa ha ampliato enormemente, all´interno degli uni e degli altri, le distanze tra ricchi e poveri. E, soprattutto, che l´assenza completa di controllo dei movimenti di capitale ha distratto risorse ingenti dal finanziamento di beni sociali e di investimenti produttivi attraverso l´evasione nei paradisi fiscali, convogliandole verso i giganteschi mercati neri dell´economia criminale. Infine, se è vero che il supercapitalismo ha favorito il consumatore, attraverso un´ampia riduzione dei prezzi dei beni e dei servizi privati, è anche vero che esso ha danneggiato il cittadino, inquinando la democrazia attraverso la massiccia pressione dei finanziamenti della politica in generale e della macchina elettorale in particolare, tesi argomentata nell´ultimo libro di Robert Reich, Il Supercapitalismo (editore Fazi). Quale messaggio può lasciare alle generazioni future una civiltà che ha raggiunto vette di prosperità e di raffinatezza mai eguagliate ma al costo, da una parte, della distruzione del suo patrimonio naturale e dall´altra dell´iniquità con cui sono distribuiti e della malsanità verso cui sono indirizzati i prodotti che se ne traggono? Grande cosa è l´assegno: purché non sia a vuoto. Giorgio Ruffolo