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 2008  giugno 12 Giovedì calendario

Roma non ha una lira. Ma ora lo sa. Libero 12 giugno 2008 Mi fa piacere che il nuovo assessore alla Cultura del Comune di Roma, il mio vecchio amico Umberto Croppi, abbia fatto un esordio talmente smagliante, di una profondità filosofica inconsueta nella classe politica italiana

Roma non ha una lira. Ma ora lo sa. Libero 12 giugno 2008 Mi fa piacere che il nuovo assessore alla Cultura del Comune di Roma, il mio vecchio amico Umberto Croppi, abbia fatto un esordio talmente smagliante, di una profondità filosofica inconsueta nella classe politica italiana. Ha detto difatti: «Non abbiamo una lira». Meglio di così non si poteva dire, più profondo di così impossibile. Non c’è una lira, boys. Croppi si riferiva all’Estate Romana, e per fortuna non c’è in ballo nessuna tragedia. Ci saranno questa prossima estate meno gruppi musicali, meno comici nelle piazze, meno appuntamenti festosi, meno sciacquette da fotografare. Niente di tragico e irreparabile. Roma è talmente bella che per starvi bene basta fare una passeggiata, o sbirciare l’una o l’altra rovina romana, o sedersi in una trattoria all’aper to dove non ci vuole una fortuna per mangiare una bella pasta all’amatri ciana. Nessun dramma. Il dramma sono le cifre del debito del comune di Roma, cifre che Croppi ha indicato papale papale. Euro più euro meno, dieci miliardi di euro. Che dire? Magari ce ne fossero altri di politici che chiamino pane il pane, e dunque filosoficamente altrettanto profondi. Come avrei voluto ascoltare un sindacalista dell’Alitalia che dicesse "Non c’è una lira", altro che affidare l’Alitalia a Trenitalia come ha mormorato una volta Silvio Berlusconi, e mi è bastato per restare di stucco. Il buco in corsia "Non c’è una lira", lo dovrebbero dire quelli che si occupano di Sanità, lì dove sono pazzesche le cifre del "rosso" della gran parte delle regioni italiane, e non potrebbe essere diversamente con un sistema sanitario pubblico com’è quello italiano, la cui ambizione è curare gratis il 95 per cento degli italiani, un’ambizione strameritoria ma che da sola spezzerebbe le reni a un Paese con tutt’altro bilancio pubblico che il nostro. E comunque se si mantengono gli ospedali e le corsie aperti e funzionanti - com’è sacrosanto e necessario -, allora non ci sono i soldi di che alimentare un sistema pensionistico calcolato secondo parametri che non hanno l’eguale nel mondo, perché da nessun’altra parte al mondo vanno in pensione giovanottoni di 58 anni, quella "controriforma" che è stato l’atto più disonorevole dell’infausto governo di Romano Prodi. A dire il vero non c’era neppure una lira di che abolire l’Ici sulla prima casa. Quei soldi sono stati presi alla rinfusa e non so come verranno restituiti ai Comuni, che ne hanno bisogno come noi dell’aria che respiriamo. Epperò era un atto simbolicamente necessario, la prima volta da tanti anni che si alleggeriva l’onere fiscale non solo agli elettori di Rifondazione comunista e agli iscritti alla Cgil, ma a tutti gli italiani. Agli italiani - e credo che siano l’80 per cento della popolazione - che una casa se la sono fatta dopo avere sgobbato per mettere assieme i soldi necessari. E qui ha ragione Rocco Barocco che, intervistato ieri da un giornalista che mugugnava perché anche ai ricchi è stata amputata l’Ici, ribatteva che la sinistra la smettesse con queste campagne a causa delle quali è andata al disastro elettorale. E per non dire del ghigno di sofferenza di Guglielmo Epifani, il segretario della Cgil, il quale proprio non riesce a sopportarlo che agli italiani che non sono alla fame sia stata tolta l’Ici. Epperò le cifre sono quelle, e dolorose. Non c’è una lira per costruire le eventuali centrali nucleari che entrerebbero in funzione tra dieci anni, quando i buoi saranno scappati dalle stalle. La fanfaronata è stata fatta suo tempo, ed è una delle pagine nere del socialismo craxiano, quando fummo gli unici in Europa a dire di no al nucleare, e mentre i nostri cugini francesi le centrali le mettevano anche nei bagni di casa loro. Non c’è una lira per rammodernare carrozze e reti ferroviarie del nostro Paese, un Paese che pure vive sui treni. Non c’è una lira non dico al Comune di Roma, ma nella buona parte dei Comuni, e sventura qualcuno di noi viene chiamato da un assessore alla Cultura: bene che vada i soldi della sua prestazione li vedrà fra 5-6 mesi. Non c’è una lira di che rendere più spiccio ed efficiente il lavoro della magistratura, ed ecco il perché del gran successo di quel libro "Toghe rotte" pure pubblicato da un editore piccolo piccolo. Come nel ’45 Non c’è una lira di che pagare più decentemente il lavoro di poliziotti e carabinieri che rischiano ogni ora la vita per rendere la nostra convivenza più civile. E allora? E allora, basta dirselo, basta saperlo. Il disastro del 1945 tutti lo sapevano, tutti se lo dicevano. La generazione di mio padre ci mise 15 anni a rimettere in piedi il Paese, e nel 1960 la lira vinse l’Oscar per la moneta più stabile. Lasciassimo perdere le diatribe di mezzo secolo fa e le contrapposizioni tra Guelfi e Ghibellini, ché tanto sia i Guelfi che i Ghibellini sono allo stremo delle loro forze e delle loro idee. Che Dio ce la mandi buona. Giampiero Mughini