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 2008  giugno 13 Venerdì calendario

L’Osservatore Romano, venerdì 13 giugno Fra i tanti orrendi crimini di cui si macchiò il Terzo Reich ce n’è uno ancora poco conosciuto, perpetrato in Italia, che di fatto detiene a tutt’oggi un tragico primato, ovvero quello di unico atto di guerra biologica verificatosi in Europa nel XX secolo di cui si abbia notizia

L’Osservatore Romano, venerdì 13 giugno Fra i tanti orrendi crimini di cui si macchiò il Terzo Reich ce n’è uno ancora poco conosciuto, perpetrato in Italia, che di fatto detiene a tutt’oggi un tragico primato, ovvero quello di unico atto di guerra biologica verificatosi in Europa nel XX secolo di cui si abbia notizia. Con l’intento di rallentare l’avanzata degli alleati e al contempo di vendicare il "tradimento" dell’8 settembre 1943 da parte degli italiani, i tedeschi decisero di allagare nuovamente le paludi appena bonificate dell’Agro pontino grazie all’impegnativa campagna del regime fascista. Il piano - messo a punto da due malariologi, il noto Erich Martini, docente all’università di Amburgo e amico di Himmler, ed Ernst Rodenwaldt, dell’università di Heidelberg - non raggiunse il primo obiettivo, visto che gli alleati si attrezzarono contro le zanzare e raggiunsero comunque velocemente Roma; il secondo, invece, fu pienamente centrato, favorendo un’epidemia di malaria dagli effetti devastanti sulla popolazione. Concretizzatosi con la distruzione di molte pompe di drenaggio e l’uso di altre per immettere acqua marina nelle paludi per facilitare il proliferare della micidiale zanzara anopheles labranchiae, nonché con la confisca del già poco chinino disponibile nei magazzini della Sanità a Roma, il piano bioterroristico dei nazisti causò infatti una delle maggiori ondate malariche nella storia dell’Italia moderna, protrattasi per ben tre anni. La crisi fu così grave che il locale ufficiale sanitario ponderò l’ipotesi di ordinare l’evacuazione dell’intera provincia. Fra il 1944 e il 1946 il numero ufficiale di casi di infezione salì vertiginosamente: dai poco più di milleduecento registrati nel 1943 si passò ai quasi cinquantacinquemila dell’anno successivo, ai circa quarantatremila nel 1945 e ai ventinovemila nel 1946. Ma nemmeno questi dati allarmanti rendono l’effettiva entità del disastro, perché secondo l’ufficiale sanitario, la cifra che più si avvicinava al numero reale dei malati nel 1944 superava i centomila casi su una popolazione di duecentoquarantacinquemila persone. A svelare questa vicenda, con dovizia di particolari e notizie inedite, è Frank Snowden, professore di storia contemporanea e storia della medicina all’università di Yale, nel libro La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962 (Torino, Einaudi, 2008, pagine 322, euro 25). Un volume nel quale lo studioso racconta il modo in cui l’Italia divenne il principale centro mondiale per lo sviluppo della malariologia, primo Paese a lanciare una campagna nazionale per debellare la malattia. All’inizio del xx secolo, la malaria costituiva il problema principale della sanità pubblica. Ogni anno ben due milioni di persone contraevano o si riammalavano di malaria e quasi tutte le province del regno pagavano un pesante tributo di vite. In Italia si toccava con mano la lezione di Ronald Ross, Nobel per la medicina nel 1902: una nazione fortemente malarica non può progredire. E in effetti la malaria era causa di scarsa produttività, povertà e arretratezza economica, e aveva inoltre bloccato l’alfabetizzazione, limitato la partecipazione della popolazione all’attività politica e sociale, indebolito l’esercito. Attraverso una ricerca che attinge ampiamente, come mai avvenuto in precedenza, alla documentazione e soprattutto alla letteratura medica - scientifica e burocratica - lo studioso ripercorre i progressi iniziali, le battute d’arresto, i successi e le sconfitte di questa guerra, fino alla vittoria finale, avvenuta negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Dalla ricostruzione fatta da Snowden emerge il forte impatto che la campagna contro la malaria ebbe sulla società italiana. Quanti si impegnarono in tale lotta - tra questi "crociati antimalarici" figurano alcuni scienziati italiani di fama internazionale come Giovanni Battista Grassi, il primo a identificare il vettore della malaria umana nella zanzara anofele, Angelo Celli e Camillo Golgi - compresero ben presto che per ottenere una vittoria definitiva bisognava agire a tutto campo, andando oltre il semplice settore sanitario. Sottolineando il ruolo fondamentale, ancorché misconosciuto, di tale mobilitazione, il volume ha il merito, tra l’altro, di mettere in luce il contributo che la lotta alla malaria ha apportato all’estensione delle libertà civili, alla diffusione dell’istruzione e al miglioramento più generale delle condizioni sanitarie della popolazione. E per questo si può affermare che l’opera di Snowden appare come uno dei più interessanti studi storici e sociologici sull’Italia del Novecento; una ricerca - singolarmente uscita negli Stati Uniti dalla penna di uno storico d’oltreoceano, peraltro già autore di un apprezzato studio Naples in the time of cholera, 1814-1911 (Cambridge University Press, 1995) - capace di offrire una lettura di più ampio spettro sulla situazione del Paese reale. "Ho capito - scrive Snowden nell’introduzione al volume - che la malaria è una malattia sociale e professionale, strettamente legata alla povertà e alla negligenza della società, in quanto è favorita da numerosi fattori, tra cui lo sfruttamento sul lavoro, l’inadeguatezza delle sistemazioni abitative, le carenze alimentari, l’analfabetismo, gli spostamenti da un luogo all’altro, la guerra, il degrado ecologico. Per questo si è giunti a individuare una correlazione tra la storia del morbo e la situazione politica italiana, il rapporto della popolazione con l’ambiente circostante e la cosiddetta "questione sociale", ovvero, in termini pratici, la povertà". Tale aspetto, aggiunge lo studioso, "è perfettamente illustrato da quella che è passata alla storia come "la questione meridionale": benché tormentasse l’intero territorio, la malaria si abbatté con particolare violenza sul Mezzogiorno e sulle province di Roma e Grosseto". Ma qual è stato, in estrema sintesi, il percorso che ha portato alla definitiva sconfitta della malaria, nome derivante da "mal aere", termine usato per la prima volta nel 1404 dal veneziano Marco Cornaro per indicare l’aria cattiva che si formava alla foce dei fiumi ed era spesso accompagnata "da molta febre"? Fra il 1900 e il 1907 il Parlamento promulgò una serie di leggi per avviare una campagna, la prima al mondo nel suo genere, con lo scopo di eradicare, o almeno porre sotto controllo, la malaria. "Si trattava - spiega Snowden - del più ambizioso progetto di welfare sociale mai avviato dal regime liberale. La campagna progredì con notevole successo fino allo scoppio della Grande guerra, che vanificò i risultati ottenuti, provocando una grave recrudescenza del morbo. Con l’ascesa al potere del fascismo, la lotta alla malaria tornò a costituire una questione nazionale, fortemente pubblicizzata soprattutto con la citata bonifica delle paludi pontine, ma con priorità e costi differenti: il regime ne fece uno dei suoi punti di forza, ottenendo peraltro un risultato lusinghiero. Più tardi però, a causa dell’impegno bellico all’estero, il programma subì uno stallo, per naufragare infine a seguito della disfatta militare e dell’occupazione. Il colpo di grazia, come detto, venne inferto dalla guerra biologica nazista, che contribuì allo sviluppo di una nuova virulenta epidemia. Per sconfiggere definitivamente la malattia bisognò attendere la fine delle ostilità, la ricostruzione delle infrastrutture sanitarie pubbliche, l’introduzione sistematica del Ddt e l’attuazione di un piano quinquennale di lotta antimalarica. L’ultima epidemia di cui si ha notizia colpì la provincia di Agrigento nel 1955, dove residui casi indigeni di infezione vennero denunciati nel 1962. L’Italia venne dichiarata ufficialmente libera dalla malaria nel 1969. Interessanti sono anche le conclusioni di Snowden, che tenta di trarre dall’esperienza italiana un modello di lotta alla malaria da applicare nei Paesi ancora colpiti da questa malattia. "In definitiva - scrive lo storico - il caso dell’Italia ci insegna che una campagna antimalarica efficace deve avvalersi di una strategia che agisca su più fronti, includendo la collaborazione fra territori del Nord e del Sud, la presa di coscienza da parte delle potenze ricche di fronte al binomio formato da povertà e malattie, senza dimenticare l’istruzione delle popolazioni disagiate affinché apprendano come migliorare la propria salute, l’accesso all’assistenza sanitaria e ai farmaci, il risanamento ambientale, la giustizia sociale e una ricerca scientifica di base". Insomma, l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe fare tesoro della lezione italiana. Gaetano Vallini