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 2008  giugno 11 Mercoledì calendario

Corriere della Sera, giovedì 12 giugno Napoli. Là sotto c’è un simbolo. Se ne intravede qualche lembo, uno spicchio della vetrata, la cima blu del cartello che indica il percorso

Corriere della Sera, giovedì 12 giugno Napoli. Là sotto c’è un simbolo. Se ne intravede qualche lembo, uno spicchio della vetrata, la cima blu del cartello che indica il percorso. Nei giorni peggiori, a gennaio, la pensilina in via Nazionale delle Puglie, alla fermata dell’autobus 170, era diventata lo specchio del disastro di Casoria. Una città che troppo tempo fa era chiamata la Sesto san Giovanni del Sud per via delle sue fabbriche e adesso non si capisce bene cosa è diventata, una propaggine di Napoli dagli indici demografici in crescita sempre esponenziale, oggi sono in ottantamila. Anche con la pioggia, i bambini e le loro madri aspettavano il pullman in mezzo alla strada, piazzati sulla striscia di mezzeria, il più lontano possibile dai rifiuti che avevano completamente sepolto la pensilina. A nulla valsero le proteste e le raccolte di firme, le ronde contro gli incendi notturni dei contenitori sempre più sepolti e strapieni, con le fiamme che arroventavano la cabina della Telecom sul marciapiede e facevano saltare le linee telefoniche. Vennero i fotografi della Reuters a immortalare quel monumento all’impotenza, attratti anche dal santino della Madonna che un abitante aveva appoggiato sul cumulo. Soltanto con la primavera si tornò a rivedere qualcosa, dapprima la tettoia, poi emerse il cartello con tutta la rete metropolitana, infine i tre sedili. Ieri era come gennaio, della pensilina non si riusciva neppure a immaginare le forme, nascoste da quintali di sacchetti. Sono immagini meno rassicuranti dello sfondo azzurro mare scelto a Palazzo Salerno per la conferenza stampa di Silvio Berlusconi, che accanto a sé aveva passato e futuro di questo anno così decisivo per la Campania. Era il giorno del cambio ufficiale della guardia tra Gianni De Gennaro e Guido Bertolaso, un testimone che a livello d’immagine è stato consegnato in fretta, con l’agenda dettata dall’urgenza. L’ex capo della Polizia non meritava di andarsene così, con la visita del premier e soprattutto una nuova ennesima piccola crisi a far passare sotto silenzio il suo addio ufficiale dopo 154 giorni vissuti sempre sul filo dell’eterna precarietà napoletana. Arrivò l’8 gennaio accompagnato da un decreto che gli conferiva poteri eccezionali, in una regione che sembrava in preda a febbre alta. Il 14 gennaio si toccò il record di 290 mila tonnellate a terra, un’enormità. Tempo dieci giorni e il governo che l’aveva nominato non c’era più. Rimasto solo, l’ex capo della Polizia ha usato poco i super poteri e molto il più semplice buon senso. La sua immersione nella complessità della situazione campana è stata totale, senza sconti. Si è trovato a scongiurare le maestranze del Cdr di Caivano a non celebrare la festa del patrono con la chiusura, ma ha dovuto anche fare slalom insidiosi tra appalti affidati ad imprese ritenute «pulite» che a metà dei lavori – è successo per il sito di Ferrandelle – venivano colpite dall’interdittiva antimafia. Il 30 aprile aveva vinto, c’erano appena 9.000 tonnellate a terra. Pochi giorni dopo, con i sequestri di due siti disposti dalla magistratura, era di nuovo a quota 50mila. Alla fine lascia con un pareggio, unico Commissario ad aver aperto due discariche, Savignano e Sant’Arcangelo di Trimonte. Ha evitato il disastro, e viste le premesse non è un risultato da poco. Basta guardarsi intorno per capire come sarebbe potuto accadere facilmente. Così, il «monumento» di Casoria può avere funzione di memento ai molti che fingono di aver dimenticato come si stava a gennaio, sotto 300.000 tonnellate di schifezze. Ci vuole un niente per andare sotto. Il sito di stoccaggio per ecoballe di Coda di Volpe, a Eboli, è ormai chiuso, finito. Un magistrato lo sequestrò alla fine di aprile per un cavillo, lo restituì il 17 maggio, oggi è ormai pieno perché nel frattempo non sono ancora finiti i lavori chiesti da un altro pubblico ministero per dare il nulla osta al sito di Pianodardine. Il Cdr di Giuliano, poi, ha un nastro di trasporto scassato, come spesso capita, e in questi giorni non lavora. I famosi treni per la Germania viaggiano mezzi vuoti dopo la scoperta di rifiuti ritenuti radioattivi. La procedure di carico sono rallentate, parte la metà della spazzatura che deve essere smaltita, 13 cassoni invece dei «normali » 25. Sono impicci, incidenti di percorso risolvibili in un paio di giorni, con l’apertura di Savignano o con qualche altra toppa. Il risultato di questo passaggio a vuoto però è devastante, dimostra che a Napoli con i rifiuti si sta come sugli alberi le foglie, basta un nulla per vedere i turisti diretti al Maschio Angioino che camminano sul marciapiede di via Medina turandosi il naso, disgustati. Ormai è come con le maree, gli abitanti del centro sanno che quando i cumuli in via Santa Brigida si ingrossano, la tracimazione in via Toledo è questione di una notte, due al massimo. Nessuno si sorprende, nessuno protesta, la monnezza come un evento atmosferico, l’afa o la pioggia che bisogna sopportare, tanto passa, e poi torna ancora. La città è sporca, ma sono periferia e provincia, spesso trascurate, a fare paura. Dai palazzacci di Casoria al lungomare di Pozzuoli, che dovrebbe essere un gioiello turistico. Al termine di via Leonardo Cattolica, il pensionato Antonio Fusco dice una cosa seria che invece fa ridere. «Non si può mettere i rifiuti qui, altrimenti si rischia l’arresto ». Certo. Peccato solo che da un paio di settimane questa strada parallela al muro dell’ex Italsider, tra Fuorigrotta e Bagnoli, sia diventata una discarica a cielo aperto. Sacchetti, ma anche materassi, elettrodomestici, divani sdruciti, mobili vecchi, infissi e porte di legno, parti in plastica di auto. Il sentiero per passare con l’auto tra due ali di cose abbandonate è stretto. «Quando non ne possiamo più – dice Fusco ”, siamo noi abitanti a stringerlo ancora, buttando la roba in mezzo. Così gli autobus non passano, i conducenti chiamano qualcuno che intervenga e ammassi tutta la monnezza al muro ». L’ultima frase è pronunciata con una mesta espressione di sollievo, guardando la strada lurida. Il progresso è una pila di immondizia. Alta tre metri, ma a ridosso del muro. Marco Imarisio