Panorama 12 giugno 2008, RENZO ROSATI, 12 giugno 2008
CGIL Tutti i guai di Epifani e compagni. Panorama 12 giugno 2008 La telefonata di Walter Veltroni era partita dal loft democratico all’ora di pranzo di giovedì 29 maggio
CGIL Tutti i guai di Epifani e compagni. Panorama 12 giugno 2008 La telefonata di Walter Veltroni era partita dal loft democratico all’ora di pranzo di giovedì 29 maggio. Destinatario Guglielmo Epifani, fino a poco prima, in apertura della conferenza organizzativa alla Fiera di Roma, autore di una dura requisitoria contro il governo. Tirata che non ha risparmiato nulla: dall’abolizione dell’Ici alla detassazione degli straordinari, dalla vicenda Alitalia al ponte di Messina, dall’allungamento dei mutui alla riforma del pubblico impiego, fino alle misure contro i clandestini. Dunque a Veltroni la battuta è venuta facile: «Posso salutare il nuovo leader dell’opposizione?». Il segretario della Cgil, in realtà un timido, ha minimizzato. Prendendola comunque come una benedizione per quello che resta il suo obiettivo, nonostante tutte le smentite («Il segretario è qui e se volete resterà»): la candidatura alle Europee del 2009, benedetta da Veltroni. Un anno in anticipo rispetto alla scadenza del mandato sindacale. Anche se poi la diplomazia del Partito democratico si è dovuta mettere all’opera per rimediare all’altro strappo antigovernativo già compiuto da Epifani: l’abbandono dopo 15 minuti del tavolo di trattativa sui dipendenti pubblici con il ministro Renato Brunetta. Atteggiamento pure questo che rischia di gettare nell’isolamento la Cgil, visto che la Cisl e la Uil, oltre che la Ugl, seguendo una linea più pragmatica, hanno deciso di essere interlocutori a tutto campo dell’esecutivo. E mossa, inoltre, che poteva mettere in imbarazzo lo stesso Pd, nella versione riformista, che contro gli statali «fannulloni» ha speso il nome e il prestigio di Pietro Ichino e ora si accinge a giocare la partita con un progetto di legge firmato dallo stesso giuslavorista-senatore e da Linda Lanzillotta. Dunque, esaurite le congratulazioni a Epifani, il loft ha affidato la ricucitura a Paolo Nerozzi, uno dei dirigenti ex Cgil eletti nelle file veltroniane, per tanti anni proprio a capo della funzione pubblica. E la Cgil è tornata al tavolo con il governo. Schizofrenie o gioco di squadra? Nella mente di Veltroni, entrambe le cose. Per varie ragioni. Il capo del Pd ha con Epifani un’amicizia che risale a quando entrambi si occupavano di editoria; non vuole ripetere quello che secondo lui fu un grave errore di Massimo D’Alema, la rottura con la Cgil di Sergio Cofferati; e deve sdebitarsi per l’appoggio di Epifani in campagna elettorale. Infine c’è la politica del doppio binario che Veltroni ha scelto negli ultimi tempi: essere riformista e dialogante, sì, ma anche cercare di recuperare a sinistra. Questa è però tattica politica del Pd. Quella che invece rischia parecchio è proprio la Cgil. Negli ultimi mesi ha aperto molti fronti all’esterno senza riuscire a chiuderne neppure uno all’interno. E definire ondivaga la sua linea è dir poco. Così la tre giorni romana ha finito per acuire i problemi, anziché risolverli. Per cominciare: chi rappresenta ormai la Cgil? Resta il maggior sindacato con 5,6 milioni di iscritti, ma a differenza di Cisl e Uil in maggioranza sono pensionati, ormai 3 milioni. La segretaria confederale Marigia Maulucci, area del Pd «riformista», si abbandona a uno humour un po’ nero: «Siamo vecchi, apparteniamo a una generazione che non molla. Infatti vantiamo 40 anni di sconfitte». In assenza di bilanci certificati, una stima attendibile attribuisce alla Cgil un fatturato complessivo di 1 miliardo di euro, di cui 40 milioni provenienti dai centri di assistenza fiscale. Ma soltanto nel 2007 l’amministratore Lodovico Sgritta è riuscito a riportare i conti in attivo (643 mila euro). Per restarci propone di indicizzare il costo della tessera (3,82 euro per i lavoratori attivi e 3,3 per i pensionati) e, soprattutto, le detrazioni in busta paga, pari all’1 per cento dello stipendio. Il che significa che più si riducono gli iscritti attivi meno soldi entrano. Tutto ciò però si scontra con il problema principale: la crescente disaffezione politica della base, stretta tra il massimalismo della Fiom, la federazione metalmeccanici, e le sirene della Lega a nord, del Pdl a sud. Con 359 mila iscritti, terza forza dopo pensionati e statali, la Fiom ha un vertice da sempre dilaniato dallo scavalcamento a sinistra. Il segretario Gianni Rinaldini, vicino a Rifondazione e promotore di un appello a sostegno della Sinistra l’Arcobaleno, è a sua volta sotto il tiro di Giorgio Cremaschi, il leader storico, animatore della Rete 28 aprile, minoritario (3 per cento delle tessere Cgil) ma dotato di carisma, specie televisivo. In questa perenne rincorsa a metà maggio Rinaldini si è opposto alla sospensione di 6 mesi, decisa da Epifani, di Maria Sciancati, capo della Fiom milanese, che in un’assemblea diede la parola a un inquisito per brigatismo, poi prosciolto. A coronamento di tutto ciò la Corte d’assise di Milano ha appena rigettato la richiesta della Cgil nazionale di costituirsi parte civile nel processo alle nuove Br. Peccato che la base vada appunto in tutt’altra direzione. Ilvo Diamanti, esperto di flussi elettorali, in un’analisi che verrà pubblicata dal Mulino ha accertato che almeno metà degli iscritti alla Fiom nel Nord ha messo la croce sul simbolo della Lega, o su quello del Pdl. Fenomeno più vistoso in Lombardia e a Genova, motivato con le tasse, l’indulto e la tolleranza del centrosinistra verso gli extracomunitari; mentre alla Fiat di Mirafiori, roccaforte dei duri e puri, gli iscritti si sono dichiarati «traditi e venduti» da Romano Prodi. «Quanto al Sud, l’80 per cento degli operai di Termini Imerese vota per il Pdl» calcola Maurizio Calà, segretario di Palermo. Il massimalismo della Fiom, molto esternato ad Annozero e Ballarò, perde pezzi anche fuori dalla cabina elettorale. Come alla Fiat di Melfi e alla Ferrari di Modena, dove i lavoratori hanno approvato l’accordo con l’azienda di Uilm e Fim bocciando la Cgil. Epifani è sempre più stretto fra estrema sinistra e ala riformista anche nei rapporti con gli industriali. Sono lontani i tempi in cui con l’appena eletto presidente della Confindustria Luca di Montezemolo aveva stabilito un rapporto diretto, al punto di suggerirgli chi nominare a capo degli imprenditori di Napoli. Epifani giudica Emma Marcegaglia «un interlocutore serio». Ma per quanto? Quanto al governo, al ministero del Welfare si ritrova Maurizio Sacconi, amico di Marco Biagi, l’artefice del patto per l’Italia con la Cisl e la Uil, nonché fautore dell’idea di portare i sindacati nell’azionariato delle aziende, sul modello tedesco. Idea accolta con entusiasmo dalla Cisl, con estrema freddezza da Epifani. Neppure l’idea di fare l’opposizione suscita troppi consensi. A molti sembra un ruolo subalterno, la riedizione del sindacato cinghia di trasmissione del vecchio Pci. Grazie a Veltroni, Epifani ha portato in Parlamento Nerozzi e Achille Passoni, ex segretari confederali. Un’altra dirigente, Carla Cantone, in scadenza, va a dirigere i pensionati. Insomma, sono aperti i giochi per la successione. Con grandi rischi. Epifani vorrebbe come erede Susanna Camusso, 50 anni, segretario della Lombardia, ex Fiom. Candidatura esposta all’impallinamento, così come non decolla Fausto Durante, dirigente moderato dei metalmeccanici. Contro i pupilli di Epifani si agitano colonnelli come Nicoletta Rocchi, che ha fatto da tramite con Cisl e Uil per costringere il leader a sottoscrivere il documento comune sulla riforma dei contratti. O Alberto Morselli, segretario dei lavoratori chimici e delle aziende elettriche («Io prima di lasciare il tavolo sul pubblico impiego ci avrei pensato. I miei iscritti pensano che i dipendenti pubblici debbano lavorare come gli altri»). O Carlo Podda, segretario degli statali, vittima collaterale dell’incidente con Brunetta. Podda e Nicoletta Rocchi hanno firmato un articolo sull’Unità per chiedere un «riposizionamento strategico» della Cgil, «un patto di unità con Cisl e Uil» e un rinnovamento dei vertici. Come dire: una rivoluzione. Che rischia però di far saltare la Cgil. RENZO ROSATI