Il Sole 24 Ore 11 giugno 2008, Carlo Bastasin, 11 giugno 2008
Quando Ciampi alzò la voce per portare l’Italia nell’euro. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2008 Ci sono giorni, dice Milan Kundera, che spaccano i secoli come colpi d’ascia
Quando Ciampi alzò la voce per portare l’Italia nell’euro. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2008 Ci sono giorni, dice Milan Kundera, che spaccano i secoli come colpi d’ascia. Ma il 24 marzo 1998 per l’Italia vibrò nell’aria il colpo più silenzioso e invisibile del secolo. A dieci anni di distanza, i dettagli delle ore febbrili tra il 24 e il 25 marzo, che determinarono l’ingresso della lira nell’euro, influenzano ancora la vita del nostro paese e le sue condizioni economiche. La mattina del 24 marzo i governatori europei delle Banche centrali erano riuniti a Francoforte nella sede dell’Istituto monetario europeo per l’atto finale in vista dell’unione monetaria. Si trattava della stesura del Rapporto di convergenza in cui sarebbero stati emessi i giudizi sulle possibilità di ingresso dei singoli Paesi. Il rapporto sarebbe stato pubblicato il giorno successivo in un clima d’attesa che coinvolgeva Governi, opinione pubbliche e mercati ben oltre l’Europa. Il codice di assoluta riservatezza aveva prosciugato l’acqua alle indiscrezioni che normalmente accompagnano gli appuntamenti storici. Questa volta l’esito era incerto, perché frutto di un negoziato che, pur dopo anni di schermaglie, si sarebbe concluso solo quella mattina attorno al tavolo dell’Eurotower. I dubbi ovviamente erano tutti rivolti alle possibilità dell’Italia di partecipare da subito alla moneta comune. A 140 chilometri di distanza, a Karlsruhe, i membri della Corte costituzionale tedesca aspettavano di leggere il rapporto dei banchieri centrali per decidere se impedire al Governo del cancelliere Helmut Kohl di procedere alla fusione del marco con monete troppo deboli, fermando l’euro prima della sua nascita. Da alcuni anni la Corte costituzionale stava svolgendo un ruolo sempre più importante di supplenza a un Governo paralizzato dall’ostruzionismo dell’opposizione. Un verdetto dei giudici di Karlsruhe ostile alla politica del cancelliere avrebbe significato la fine politica di Kohl, da sedici anni al comando e ormai il più autorevole capo di governo europeo. Un colpo letale in anticipo sulle difficili elezioni che aspettavano il cancelliere nell’ottobre di quell’anno. C’era un forte vento che soffiava sulla Kaiserstrasse nel primo pomeriggio quando, contrariamente al solito, i banchieri uscirono uno a uno dall’Eurotower. Antonio Fazio sbucò per ultimo, lasciando frettolosamente l’edificio. Anziché indugiare nella consueta passeggiata verso la Willy Brandt Platz, con cui assorbiva la tensione delle lunghe riunioni, il Governatore si allontanò a passo rapido in direzione opposta verso una vettura che lo aspettava a trenta metri dall’edificio. Chi gli era vicino sentì esclamare: mio Dio, che cosa succederà adesso? La preoccupazione del banchiere italiano era pienamente giustificata. Il testo che i Governatori - sotto la regia del loro decano, il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer - avevano dato alle stampe riportava un giudizio estremamente critico sulle possibilità dell’Italia di entrare nell’Unione monetaria. Fazio, che godeva di ampia reputazione scientifica, ma che non si trovava a proprio agio nei negoziati accesi, era stato evidentemente messo in un angolo dalla coalizione dei colleghi più intransigenti. Nel testo in inglese, su cui i Governatori lavoravano, la formulazione parlava di "serious concerns": serie preoccupazioni sulla capacità dell’Italia di rispettare le condizioni necessarie a restare nell’euro. Fazio, frenato probabilmente dai suoi stessi dubbi sul futuro dell’euro e sulle possibilità dell’Italia di sostenerne i rigori, non era riuscito a far modificare il testo. Su un tale giudizio la Corte di Karlsruhe avrebbe potuto mettere in dubbio la nascita dell’euro o costringere Kohl a imporre la rinuncia dell’Italia all’ingresso nell’euro in occasione del successivo vertice europeo a maggio a Maastricht. Nelle stesse ore a Bruxelles, anche la Commissione europea stava correggendo il proprio rapporto che secondo l’articolo 109 del Trattato istitutivo della Comunità avrebbe dovuto accompagnare quello dell’Ime. I due commissari italiani, Emma Bonino e Mario Monti, erano riusciti a far interpretare un asterisco, una nota del testo, che permetteva di validare l’osservanza del limite del 3% del deficit italiano sulla base delle politiche programmate. A Roma l’intero mondo politico era appeso alle notizie da Francoforte dopo che il presidente del Consiglio Romano Prodi aveva condizionato la sopravvivenza del suo Governo all’ingresso immediato della lira nell’euro. Quella che Tietmeyer stava giocando era l’ultima decisiva carta in mano alla Bundesbank per contrastare le possibilità italiane di partecipazione all’euro. In un episodio rimasto riservato e di cui è possibile rintracciare solo testimonianze orali, l’anno prima il Governatore tedesco aveva energicamente convinto il primo presidente dell’Ime, Alexandre Lamfalussy, a chiedere al Governo Prodi di aspettare un anno prima dell’ingresso dell’euro che gli sarebbe stato invece assicurato nei 12 mesi successivi. Del volo che portò Lamfalussy all’aeroporto di Ciampino risulta solo il ricordo di un testimone, mentre i protagonisti hanno sempre voluto nascondere che all’Italia fosse mai stato chiesto formalmente di ritardare l’ingresso nella moneta unica. Lo stesso Tietmeyer, nel giugno dell’87 aveva accolto e accettato, pur con grande contrarietà, la decisione di Kohl di via libera alla partecipazione italiana. Il messaggio era stato trasmesso a Tietmeyer da Karl Lamers, il responsabile della politica estera del partito del cancelliere, che in prima persona aveva convinto Kohl delle ragioni italiane durante una storica camminata sul lungo-Reno e una strategica e soddisfacente sosta a un ristorante italiano. Un anno dopo la decisione di Kohl, era dunque arrivato il colpo di coda della Bundesbank. Il testo dei Governatori con il giudizio che avrebbe messo in dubbio la partecipazione dell’Italia venne regolarmente inviato alla tipografia interna dell’Istituto di Francoforte. Ma la notizia cominciò a trapelare nella sera di quello stesso giorno nei più ristretti ambienti finanziari della città. Per alcune coincidenze fortunate, proprio Il Sole 24 Ore ne venne a conoscenza. La notizia dei "seri timori" arrivò nelle edicole del centro di Roma poco dopo la mezzanotte. Qualche ora prima della pubblicazione del rapporto dei banchieri. Ma in quelle stesse ore l’informazione arrivò a Roma anche al responsabile del ministero dell’Economia. Carlo Azeglio Ciampi chiamò immediatamente gli ex colleghi delle banche centrali. I toni delle telefonate a Tietmeyer, Duisenberg e Lamfalussy, furono "piuttosto imperativi", secondo un collaboratore dell’ex ministro. Il contenuto dei colloqui è rimasto segreto, ma fu tale che un nuovo giro di telefonate tra i Governatori nel pieno della notte e ancora nella prima mattina del 25 marzo, mentre circolava la versione riportata da questo giornale, portò a una clamorosa correzione in corsa del testo del Rapporto. Attorno alle 11 del mattino del 25 marzo un fascicolo sorprendentemente mal rilegato venne consegnato ai primi giornalisti accorsi per diffondere il rapporto. I cronisti, seduti sui gradini e sul pavimento della hall dell’Eurotower, sfogliavano febbrilmente il rapporto per dettarne i giudizi alle agenzie di stampa internazionali. Nella sintesi sull’Italia, la formulazione "serious concerns" era stata modificata in extremis in "ongoing concerns": «Deve esserci una costante preoccupazione che il rapporto tra debito pubblico e Pil si stia riducendo in misura sufficiente e si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato». Una critica seria, ma non tale da escludere l’Italia. Il colpo d’ascia che avrebbe potuto fermare l’euro e l’integrazione europea andò a vuoto. Carlo Bastasin