LiberoMercato 10 giugno 2008, Fausta Chiesa, 10 giugno 2008
Potessi tornare indietro non investirei in Cina. LiberoMercato 10 giugno 2008 «Investire in Cina? Se dovessi rifarlo, oggi ci penserei su due volte»
Potessi tornare indietro non investirei in Cina. LiberoMercato 10 giugno 2008 «Investire in Cina? Se dovessi rifarlo, oggi ci penserei su due volte». A parlare è Piero Stoppa, imprenditore di Magenta, proprietario di un’azienda chimica nata alle porte di Milano nel 1976 e che da quattro anni ha aperto una filiale produttiva anche a Shanghai. La Magente Master Fibers produce master batch, chip di plastica che messi in una macchina chiamata estrusore diventano filo di nylon o poliestere. Naturale produrre e vendere in Cina, Paese che confeziona ed esporta vestiti in tutto il mondo. Nel 2004 Stoppa si decide e parte con un investimento da due milioni di dollari. La fabbrica ha 25 operai locali. La sede è a Quingpu, uno dei parchi industriali attorno a Shanghai, che ospita le industrie chimiche. Nonostante quest’anno l’azienda vada in utile raggiungendo l’obiettivo del break-even come previsto, Piero Stoppa non è soddisfatto. «In Cina prima c’erano vantaggi che poi sono spariti - dice - e il problema è proprio questo. Il governo ha cambiato le regole del gioco troppo spesso e troppo velocemente. Dalla sera alla mattina. Per fare un esempio, fino all’1 luglio 2007 potevo recuperare il 13% dell’Iva sulle esportazioni, adesso non più. Dal 24 gennaio hanno tolto la possibilità del temporary import. Pianificare è quasi impossibile, non si sa che cosa cambierà domani. Come si può impostare un business serio in un Paese come questo? Finora quello che resiste è la taxholiday. «Per i primi anni - dice Alessandra Vismara, general manager di Magenta Master Fiberrs Shanghai - se non hai profitto non paghi tasse. Ma l’implementazione, come lo chiamano loro, del sistema è progressiva, le condizioni cambiano dall’oggi al domani». E a cambiare è anche il costo del lavoro. «In nove mesi il salariominimo degli operai è stato alzato già due volte - dice Stoppa. Quest’anno i dipendenti mi costano il 10% in più. Il costo della manodopera sta salendo, mentre il livello di preparazione è rimasto molto basso». Gli operai specializzati esistono, ma bisogna adeguarsi sul concetto di specializzati. «Il nostro elettricista ha il patentino e ha fatto altri corsi necessari per il tipo di industria che abbiamo e peril carico elettrico che usiamo - spiega Vismara -. Segue un corso di aggiornamento ogni anno, ma tutta questa preparazione non gli ha impedito di lasciare le ciabatte elettriche sotto una vasca piena d’acqua e di usare prese senza salvavita con macchinari a 380 V». Se far funzionare un’azienda è difficile, vendere in Cina lo è ancora di più, a causa della concorrenza locale. «Ormai il poliestere prodotto a Shanghai è destinato soltanto all’export, perché questo filato sintetico è prodotto anche dai cinesi e a un prezzo più competitivo - spiega Vismara -. Quello che ci è rimasto è il filamento di nylon che richiede una tecnologia molto più avanzata e un Know-how più elevato». Impossibilità di pianificare. Manodopera sempre meno conveniente e impreparata. Mercato interno scadente. Manca qualcosa? ...la corruzione. «Quando si è trattato di allestire la sala dei trasformatori - dice Stoppa - la ditta locale me li voleva vendere a una cifra spaventosa, più di quanto avrei speso in Italia. Ma mi hanno fatto capire che se non li avessi comperati da loro non avrei mai ricevuto l’autorizzazione». Ma per chi si pente di aver investito in Cina quando ancora i costi erano minori, tornare indietro è difficile. Soprattutto quando si hanno grossi macchinari. «Spostare l’azienda mi costerebbe almeno un milione di dollari - spiega Stoppa - per il momento rimango qua. Uso la Cina come base per esportare negli altri Paesi asiatici e in America Latina». La Cina di fatto sta perdendo il suo appeal. E di questo se ne sono accorti i cinesi stessi, che stanno investendo in Vietnam, Laos e Cambogia. Fausta Chiesa