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 2008  giugno 10 Martedì calendario

La Stampa, martedì 10 giugno I futures sull’oro a New York superano quota 900 dollari l’oncia e si riaccende la febbre

La Stampa, martedì 10 giugno I futures sull’oro a New York superano quota 900 dollari l’oncia e si riaccende la febbre. La temperatura sale alle stelle, ma non disdegna di scendere le tacche del batimetro. I nuovi cercatori d’oro guardano infatti anche alle profondità marine, dove secondo l’economista Usa Peter Berstein sarebbero nascoste circa 250 mila tonnellate di metallo giallo. Cento miliardi  una grande fortuna sommersa, custodita da centinaia di relitti di galeoni e navi colate a picco. Forzieri sui quali i cacciatori di tesori di professione hanno da tempo messo gli occhi. Tanto da costringere i governi a correre ai ripari. Quello spagnolo, che ha da difendere un enorme patrimonio in oro e argento sparso nelle acque del pianeta, eredità del regno che a partire dal XVI secolo dominò i mari, ha affidato di recente all’impresa Nerea Arqueologica Subacuática, nata all’interno dell’Università di Malaga, l’incarico di «inventariare» i galeoni affondati in tutto il mondo: una sorta di mappa del tesoro che secondo gli esperti vale circa 116 miliardi di euro. La prima lista è già stata consegnata al ministero della Cultura, il dicastero designato a proteggere (è stato varato un apposito piano nazionale di archeologia subacquea) quello che secondo il premier Zapatero spetta alla Spagna. Tutto sta, però, nel conoscere le coordinate del relitto e il nome della nave, così da poterne rivendicare il prezioso carico. Un diritto di proprietà che, come recita il proclama firmato da Bill Clinton nel suo ultimo giorno alla Casa Bianca, poi sottoscritto da George Bush, «non si estingue col passare del tempo». Cacciatori di tesori Il più celebre è senz’altro l’americano Mel Fisher, che nel 1985 ritrovò al largo della Florida i resti del galeone spagnolo Nuestra Señora de Atocha che gli fruttarono 400 milioni di dollari. Oggi i cacciatori di tesori si muovono, salvo eccezioni, nell’ombra. E dietro ai paraventi di imprese di ricerche e lavori subacquei: americane, inglesi, tedesche, francesi. L’eccezione è rappresentata dall’americana Odyssey Marine Exploration, con sede a Tampa in Florida, che è addirittura quotata in Borsa. E il cui titolo, sull’onda dell’ultimo clamoroso ritrovamento, ha messo le ali a Wall Street, raddoppiando di valore in pochi giorni. L’Odyssey, che dispone di mezzi sofisticatissimi, un esercito di uomini-rambo e una lunga lista di consulenti storici (molti, professori universitari, che vendono informazioni), ha recuperato dal fondo dell’Atlantico 500 mila monete d’oro e d’argento, per un valore di 370 milioni di euro. La scoperta, però, è finita in un tribunale Usa: la Spagna, infatti, ritiene sia un tesoro proveniente da una nave del regno che fu (si sospetta possa essere la Nuestra Señora de las Mercedes). Il giudice di Tampa per ora ha dato ragione ai «cacciatori», perché il governo spagnolo non è stato in grado di indicare dati certi sull’identità e dunque proprietà del relitto. Da qui, la mappa voluta da Zapatero. «I cercatori di tesori sommersi se sono americani si rivolgono ai tribunali del loro Paese, dove fa testo la mera denuncia della scoperta: io ho trovato questo, in questo punto, ed è mio. Quelli europei, invece, optano per le aule inglesi, dove è sufficiente che trascorra un anno e un giorno dalla denuncia di scoperta e che nessuno la rivendichi, per vedersi riconosciuta la proprietà di quanto recuperato» spiega Enrico Cappelletti, scrittore e ricercatore italiano. La caccia E’ aperta a tutto il pianeta. In auge ultimamente sono le acque africane, come quelle del Madagascar, e quelle asiatiche (Vietnam e Indonesia), dove vi sono governi che non hanno la forza d’imporsi. Gettonatissime restano quelle dello stretto della Florida, Caraibi in genere (a Cuba Fidel Castro avrebbe siglato un accordo con un’impresa canadese), e soprattutto spagnole e portoghesi. «Nel golfo di Cadice e nel Mar di Alborál ci sono almeno 500 relitti» avverte lo storico Martin Almagro Gorbea. «Alcuni sono posati anche a 20 miglia dalla costa, ma su fondali di soli 20 metri» dice Claudio Bonifacio, un italiano che da una vita scandaglia l’Archivio delle Indie di Siviglia in cerca di coordinate nautiche. In Italia Anche le nostre acque, territoriali o meno, sono ricche di tesori. E sono a rischio di spoliazione. Il caso del «Polluce» fa testo: dal piroscafo della compagnia genovese De Luchi-Rubattino, naufragato nel 1841 davanti all’Isola d’Elba, una piccola parte delle 170 mila monete d’oro che trasportava («Il 10%» dice Cappelletti) è stata depredata da un gruppo di cacciatori di tesori inglesi. Sono stati denunciati, ma il processo si è chiuso in un nulla di fatto. Nell’ambiente si parla anche dell’«Ancona», il piroscafo affondato nel 1915 tra Sardegna e Sicilia, che dovrebbe custodire oro per 36 milioni di euro. E di una nave naufragata a 800 metri dalla costa di Vado Ligure (Savona), con le paghe per l’esercito inglese in Palestina. Qualcuno sta cercando anche una nave francese colato a picco dopo una collisione con un vascello danese davanti a Capo Corso, che trasportava preziosi regali per Papa Bonifacio VIII. E ancora, nell’arcipelago toscano, un battello pirata inglese e una nave militare britannica, con carichi molto particolari. Per non dire della «Queen Charlotte», la viceammiraglia della flotta di Nelson, naufragata dopo un incendio al largo di Capraia. O ancora, spostandoci un po’, di quell’unità militare italiana affondata durante la Prima guerra mondiale davanti a Cefalonia che nascondeva nella stiva una montagna di lingotti d’oro. Fabio Pozzo