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 2008  maggio 31 Sabato calendario

Cina, il 90% di organi per i trapianti, proviene dai condannati a morte. Liberazione 31 maggio 2008 La pena capitale e i campi di concentramento possono rappresentare un business? La nuova frontiera del miracolo economico cinese sta qui; secondo la Ong "Loagai", che ha presentato a Milano il libro-inchiesta "Cina - Traffici di morte" di Harry Wu: il governo di Pechino guadagna dunque speculando sui condannati nazionali

Cina, il 90% di organi per i trapianti, proviene dai condannati a morte. Liberazione 31 maggio 2008 La pena capitale e i campi di concentramento possono rappresentare un business? La nuova frontiera del miracolo economico cinese sta qui; secondo la Ong "Loagai", che ha presentato a Milano il libro-inchiesta "Cina - Traffici di morte" di Harry Wu: il governo di Pechino guadagna dunque speculando sui condannati nazionali. Quelli destinati ai campi di rieducazione, che in Cina si chiamano Loagai, sono circa 1100, lavorano in fabbriche-gulag a costo zero producendo scarpe, pen-disk e altri prodotti che usualmente si utilizzano nel mercato occidentale. Tra i clienti dei campi di lavoro orwelliani, dove si lavora, si fa autocritica e si viene indottrinati, ci sono veri colossi internazionali, come Wall Mart, la joint-venture franco-cinese che ha creato il vino con gli occhi a mandorla "Dinasty" e le ditte che comprano il tè orientale - il 30% di quello prodotto nel Paese viene da qui. Ma questo è solo l’aspetto meno inquietante del business. La Cina, denuncia Harry Wu, vende anche gli organi dei suoi condannati a morte, espiantati prima delle esecuzioni senza consenso. Gli ospedali specializzati nella pratica si sono sestuplicati, dal 1994. Le "officine" che estraggono "pezzi" da umani sono ora 600. Quanti i condannati a morte disponibili per le operazioni? Si pensa che le esecuzioni siano circa da 8 a 10mila, ma sul numero c’è il segreto di stato dal ’49 e quindi si può solo ipotizzare: documenti dell’84 parlano di 24mila persone uccise in 11 mesi. Di certo, la pratica da espianto su condannati è reale. L’ha confermata il viceministro della Salute; l’ha dimostrato l’inchiesta di Wu, ripresa dalla Abc, ed alcuni arresti eccellenti compiuti in Usa, dove ora è vietato l’ingresso di specialisti in trapianti: il dottor Wang Cheng Yong sconta una condanna nelle carceri federali proprio per questo, mentre il medico Chen Miao, da Amsterdam, ammette di aver espiantato due reni da un condannato senza conoscere i retroscena dell’operazione. D’altronde, la Cina è il secondo paese al mondo per trapianti. E’ preceduto dagli Usa, che però usa organi donati coscientemente; i cinesi, al 95% utilizzano quelli di condannati. Almeno dagli anni ’80. Parte di questi vengono venduti agli stranieri: soprattutto europei ed asiatici, visto il blocco recentemente imposto dalla legislazione Usa - dal ’98. Basta pagare e non fare domande su chi ha donato, come conferma Harry Wu, che ha fatto finta di cercare informazioni per uno zio. «Non possiamo parlarne assolutamente, ma lavoriamo qualitativamente». Wu, presidente della sezione americana della Laogai, racconta di essere stato arrestato varie volte nel suo Paese d’origine: negli anni ’50 è finito nei campi di concentramento, bollato come controrivoluzionario; quindi nelle patrie galere proprio a causa delle sue inchieste. Eppure, dice, il governo di Pechino nel ’92 ha pubblicato una carta sulla riforma del sistema criminale in cui si sostiene che i campi di lavoro sono quasi "il migliore dei mondi possibili", dove si può studiare, mangiare bene, fare sport. Perché arrestare chi si informa su cose che dovrebbero essere ben fatte, si chiede Wu? In effetti la situazione non è chiara. Di fatto, in Cina si può comprare e vendere di tutto: basta pagare. Se servono pezzi di uomo, perché non ricorrere cinicamente a chi comunque dovrà morire? Anche per questo il regime usa sempre più le iniezioni e meno le fucilazioni, che rovinano i corpi. Certi fatti, dice Wu, sono provati: eppure in Europa non se ne parla; soprattutto, non si agisce dal punto di vista legislativo per frenare l’immissione di organi dal mercato cinese. I media tacciono. Qualche parola si è spesa quando si è scoperto che i corpi plastificati esposti in mezza Europa da un sedicente artista erano stati comprati spesso da Pechino al prezzo di 200 dollari l’uno. Ma l’informazione, dice Wu, in generale manca. Secondo la responsabile Asia di Amnesty International, presente all’incontro, questo è solo uno degli aspetti inquietanti, taciuti, della Cina. «Speravamo nel cambiamento per le Olimpiadi, che certe promesse venissero mantenute; ma purtroppo pochissimo è cambiato»: i laogai proliferano, si continua a uccidere per ragioni di Stato e si censura. Il vicepresidente di Reporter Sans Frontieres in Italia conferma: il 23% dei giornalisti incarcerati, nel mondo, sono cinesi. Le agenzie di stampa sono filtrate, il 76% dei cyber dissidenti imprigionati hanno gli occhi a mandorla. Rimane comunque spazio per la speranza. Le cose potrebbero cambiare presto: gli utenti del web sono ormai 220 milioni, i 50 mila poliziotti della censura fanno sempre più fatica a controllare informazioni ec ontenuti scomodi. E di recente ci sono state ben 90.000 rivolte popolari. Si iniziano a reclamare i diritti. Tra questi, quello arcaico del rispetto della persona e del suo corpo. Valerio Venturi