Panorama 12 giugno 2008, STEFANO LORENZETTO, 12 giugno 2008
Un uomo chiamato notizia. Panorama 12 giugno 2008 Ultimo editore puro sulle orme di Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli ed Edilio Rusconi, il proprietario-direttore dell’Adnkronos, Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, trae i suoi guadagni solo dalle notizie
Un uomo chiamato notizia. Panorama 12 giugno 2008 Ultimo editore puro sulle orme di Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli ed Edilio Rusconi, il proprietario-direttore dell’Adnkronos, Giuseppe Pasquale Marra detto Pippo, trae i suoi guadagni solo dalle notizie. Quando scarseggiano, se le fabbrica in casa. La mattina dell’intervista è arrivato con questa: «Due ore fa, alle 9.40, mia moglie ha dato alla luce due gemellini, Giuseppe junior, 2 chili e 350 grammi, e Pietro, un etto di meno. Il parto cesareo è avvenuto all’ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina». L’unica cosa che il neopapà s’è dimenticato di precisare è che la signora, Angela Antonini, un’imprenditrice cementiera, ha 39 anni mentre lui va per i 72. riuscito a surclassare Rupert Murdoch, il magnate della News corporation, che alla sua stessa età ci ha messo un paio d’anni per fare due figlie. «Intanto questa è la mia prima moglie, sposata in chiesa» corregge «mentre lui è alla terza. E poi io non avevo eredi. Volevo lasciare qualcosa d’interamente mio dietro di me. Il più tardi possibile, s’intende». Per la verità d’interamente suo ha già l’unica agenzia di stampa italiana in mani private e forse per questo anche l’unica in attivo. Ha dato retta a Enrico Cuccia, defunto proprietario del tavolo fratino lungo 9 metri che oggi troneggia nel suo ufficio: «Accompagnavo Eugenio Cefis o Francesco Cossiga in quel convento che era la Mediobanca. Il direttore Vincenzo Maranghi e io ci fermavamo sulla soglia, loro si chiudevano dentro a parlare di Sant’Agostino. All’uscita, accompagnandoci all’ascensore, Cuccia si girava verso di me: ”Marra, detiene sempre il 99 per cento? Giusta maggioranza”». Oggi la Gmc (Giuseppe Marra communications) e il suo Palazzo dell’informazione, 6 piani nel cuore di Roma, a Trastevere, è una galassia di società multimediali che sfornano notiziari tematici (comunicazione, salute, cultura), libri, piattaforme web e telegiornali. Ma il core business resta l’agenzia di stampa, nata nel 1963 dalla fusione della Kronos, fondata da Pietro Nenni nel 1951, con l’Adn (Agenzia di notizie), nata per iniziativa di Amintore Fanfani nel 1959. Fu la prova generale del centrosinistra. Allora il direttore Fulvio Fulchignoni diffondeva i fatti col ciclostile; oggi il condirettore Andrea Pucci, braccio destro e sinistro di Marra, li trasmette sul filo dei nanosecondi, uccellando regolarmente la concorrenza. I suoi terminali hanno battuto con largo anticipo l’arresto del cardiochirurgo Carlo Marcelletti, così come era accaduto in passato per la liberazione del generale James Lee Dozier rapito dalle Br, per la guerra del Golfo, per l’uccisione di Giovanni Falcone, per la morte di Gianni Agnelli. «’L’Adnkronos è la più americana” esclamò l’Avvocato mentre ero a colazione da lui a corso Marconi» rivela compiaciuto l’editore. Una vocazione rafforzatasi con l’Aki (Adnkronos international), agenzia trilingue che Google mette al quinto posto tra i siti d’informazione in lingua araba più letti nel mondo. Ci lavorano redattori di origine inglese, singaporiana, cilena, australiana e persino stagiste irachene. La redazione araba è guidata da un sudanese, Hayder Saeed, un pezzo di marcantonio che può contare su corrispondenti dal Medio e dall’Estremo Oriente e sulla sensibilità di un italiano convertito all’Islam, Hamza Boccolini. Risultato: 1.600 fra giornali e tv, incluse la Cnn e la Bbc, hanno dovuto riprendere dall’Aki l’assassinio di Benazir Bhutto rivendicato da Al Qaeda. Mentre il pianeta Terra compie un giro sul proprio asse, Pippo Marra ne ha già fatto uno e mezzo e lo precede: primo a trasmettere su internet; primo a stringere partnership con la Xinhua e la Dpa, le uniche agenzie di stampa esistenti in Cina e in Germania («Con la Nuova Cina fu facile, perché a Pechino si ricordavano ancora di una visita di Nenni»); primo a entrare in società fin dal 1990 con Bill Gates («Ci misi 1 miliardino, io manco sapevo che cosa fosse un computer mentre lui mi confidò che avrebbe voluto comprarsi la rete»); primo a scrivere che l’elettroencefalogramma di Karol Wojtyla era piatto («La Santa sede smentì per dovere d’ufficio, ma la notizia era vera: ce la copiò persino la Tass»). Non è facile fare scoop in Vaticano. Eppure il nostro colpo mondiale l’abbiamo messo a segno proprio lì: la foto esclusiva di Ali Agca che spara a Giovanni Paolo II. In che modo la ebbe? Bravo, vengo a dirlo a lei. Si ricordi che entrai all’Adn kronos come fotografo. Sa scattare belle fotografie? No, però capisco quelle che valgono. Pier Francesco Pingitore, il regista del Bagaglino, mi segnalò al direttore Fulchignoni. Subito dopo cominciai a comprare dalle Poste quintalate di telescriventi in disuso. E trent’anni fa rilevai l’agenzia dall’industriale farmaceutico Fulvio Bracco, che era subentrato nel 1970 a Fulchignoni. Ha fatto altri mestieri nella vita? Parecchi. Ho lavorato presso un notaio e sono stato consulente della Montedison nel settore comunicazione. Ricordo in particolare i due anni passati a Copenaghen come responsabile di una società per la promozione turistica dell’Italia in Danimarca e Svezia. Ero giovane, senza soldi e senza santi protettori. stata un’esperienza utile. Mi ha permesso di guardare il nostro complicato Paese dal di fuori. Il modo migliore per capirlo. Nel giornalismo quando esordì? Sono professionista dal 1965. Fui assunto al Roma da Alberto Giovannini, gran fumatore. Certi denti... Nero catrame. Con me in redazione c’era Jo Marrazzo, fervente monarchico poi finito al Tg2, padre dell’attuale presidente della Regione Lazio. Perché da noi mancano gli editori puri? Perché molti sono editori senza vocazione. Abbondano i finanzieri e scarseggiano gli imprenditori. L’uomo di finanza, quando diventa industriale, non asseconda un’inclinazione, bada solo ai vantaggi dell’investimento. Io invece amo l’odore dell’inchiostro, l’equivalente della colla per un politico. Questa non l’ho capita. Francesco Cossiga sostiene che non puoi metterti in politica se non hai mai fatto l’attacchino di manifesti elettorali. A me la notizia provoca ancora un orgasmo. Da questo punto di vista appartengo alla preistoria. A quanti giornalisti dà lavoro? Circa 200. Più i collaboratori e i freelance all’estero. Come si fa a essere assunti qui? Si presenta un curriculum. indispensabile la conoscenza di almeno due lingue straniere. Arabo e cinese valgono come titoli preferenziali. Spesso incontro il candidato per un colloquio. E che cosa gli chiede? Quanti quotidiani compri? Leggi le necrologie? Prendi appunti? Io mi alzo di notte per annotarmi le idee sul quadernino e alle 5 di mattina sono già in piedi a ritagliarmi i giornali, perciò m’incavolo quando in redazione alle 7 di sera trovo le mazzette dei quotidiani ancora intonse. Soprattutto mi accerto che non sia presuntuoso. Noi siamo monaci che vanno con la bisaccia a bussare alle porte in cerca di notizie. Solo chi è umile è disposto a imparare. La capacità verrà dopo. Nino Nutrizio, il direttore della Notte, diceva: «L’importante è che mi portino le notizie. Poi un cretino di professore che gli corregge ”il zucchero” in ”lo zucchero” si trova sempre». Ma oggi a che servono i giornalisti se chiunque può, in tempo reale e con un telefonino, filmare un avvenimento e metterlo in internet con Youtube? O con Current? Questo è un discorso ormai vecchio. Io cominciai a farlo ai redattori dell’Adnkronos 15 anni fa. E molti di loro, deviati dal pansindacalismo, lo accolsero molto male, credevano che dessi i numeri. Quei numeri oggi sono realtà e domani lo saranno ancora di più. Non nego che questa evoluzione comporti seri rischi soprattutto per la veridicità dell’informazione. Ma è con questo presente e con questo futuro che noi editori e giornalisti dobbiamo fare i conti, ci piaccia o no. E li devono fare anche i lettori, elevando la loro capacità critica. Boris Biancheri, presidente dell’Ansa, si lasciò sfuggire questa frase durante un’intervista a «Report»: «Il 15 per cento delle persone che lavorano in questa azienda sono di troppo». Nella sua? Noi non possiamo permetterci il lusso di persone di troppo. A proposito: Biancheri nel 2005 ha portato a casa 562.500 euro. Lei? Non mi faccia fare conti complicati. I bilanci sono pubblici come le dichiarazioni dei redditi. Basta leggerli. Nel suo rigo si leggeva «n.d.», non disponibile. Avrò percepito solo redditi d’impresa, le pare? Non mi piace parlare di soldi. Sono parsimonioso. Abito a piazza Montecitorio, di fronte alla Camera, e la mattina per venire qui prendo il biglietto all’edicola di largo Argentina e salgo sul tram 8 che fa capolinea al Casaletto. Ho letto che ora punta sulla fiction. Ho messo 1 milione di euro nella produzione del film Carnera perché credo nel regista Renzo Martinelli. Pessimo affare: nel primo weekend di programmazione ha incassato 137.844 euro, in media 565 euro a sala. A maggio la gente non va al cinema. un film più adatto per la tv. Lo considero il mio praticantato nella settima arte. Il know how si paga. Non l’ho fatto per soldi, ma per riabilitare la figura dell’emigrante italiano con la valigia di cartone. Un omaggio a mio padre Ignazio, calabrese partito nel 1909 da Castelsilano per andare a cercar fortuna negli Stati Uniti. Ritornò al suo paesello sulla Sila, dove anch’io sono nato, dopo 30 anni. Era diventato cittadino americano e aveva contribuito alla creazione di una fabbrica di legname in California. Pensi che ancor oggi ricevo i dividendi delle sue azioni. Quale quotidiano sfoglia per primo quando si sveglia? Devo proprio confessarlo? Sì. Il Sole 24 ore. Poi Corriere, Repubblica, Stampa, Messaggero, Giornale. Pensa che internet li farà morire? No, li farà cambiare. I giornali devono inventarsi forme nuove. Ma la parola stampata non morirà mai. L’editorialista che stima di più? Sono due: Angelo Panebianco ed Eugenio Scalfari. Per opposte ragioni. Ha mai censurato una notizia? Ogni volta che rischiava di distruggere reputazioni sulla base dei si dice o di mettere in pericolo vite. Mi faccia qualche caso concreto. Durante il sequestro di Daniele Mastrogiacomo non abbiamo diramato informazioni che ci venivano da un nostro «stringer» in Afghanistan per non pregiudicare la liberazione dell’inviato della Repubblica. Un mese fa potevamo anticipare la reprimenda del presidente Antoine Bernheim durante l’assemblea delle Generali a Trieste, ma ne abbiamo riferito solo dopo la chiusura della borsa, per non turbare i mercati. Ha mai messo in rete qualche bufala per vedere l’effetto che fa? Mai! Ha l’impressione che altri ci provino? Di solito celebro processi a me stesso, non agli altri. Con l’informazione non si scherza. Se perdi di credibilità, non vieni preso in considerazione neanche quando dici la verità. Di bufala io mangio soltanto le mozzarelle. Non sono piene di diossina? Secondo me, no. Me le manda Antonio Palmieri, proprietario del caseificio Vannulo di Paestum, che fa la doccia alle bufale prima di mungerle. Le comprano lì anche Silvio Berlusconi e Diego Della Valle. amico di Berlusconi? Lo feci incontrare con Francesco Cossiga nella mia tenuta di Anguillara. Sei ore di colloquio a quattr’occhi. più amico di Cossiga. Dal 1963. Fu Carlo Pesenti a presentarmelo. Prima gli davo del tu. Dal giorno che fu eletto presidente della Repubblica sono ritornato al lei. stato mio testimone di nozze. Adesso vorrebbe fare da padrino a entrambi i miei figli, «così diventiamo compari e passiamo al voi» dice lui. Per Giuseppe junior è già deciso, per Pietro si vedrà. Quante volte al giorno vi sentite? Due, tre, quattro. Quando era al Quirinale, mi telefonava alle 6 del mattino. Spesso vado a trovarlo. Sa che cosa mi disse George Bush padre il giorno in cui mi ricevette alla Casa Bianca? «Mi saluti il Michelangelo della politica». Parlava di Cossiga. Abbiamo caratteri diversi. Lui conosce il mondo, io Roma, cioè la strada. Gli piace citare «i silenzi eloquenti di Pippo Marra». Ci parliamo con gli occhi. Chissà quante porte le avrà aperto. Neanche una. Non mi piace chiedere. Scrisse di sua iniziativa una lettera ad Alfredo Diana per la mia nomina a cavaliere del lavoro. La risposta fu che non ce n’era bisogno: ero già passato al primo colpo. Per la geopolitica il mio faro è lui, per gli affari Cesare Romiti. Ho chiesto a Umberto Pizzi, fotografo di Dagospia, se c’è qualcuno che ci tiene a farsi fotografare. Mi ha risposto: «Pippo Marra prima di baciare Massimo D’Alema allo stadio guarda verso di me per assicurarsi che lo stia puntando con il teleobiettivo». Guardo verso i giocatori. Che posso farci se Pizzi sta lì? Non sono strabico. amico di D’Alema? Certo. Io imparo da tutti. Le piace il nuovo governo? Se farà quello che ha promesso, sì. Mauro Mazza, il direttore del «Tg2» cresciuto al «Secolo d’Italia» dove lavorò anche lei, racconta: «Due giorni dopo essere stato assunto all’Adnkronos, il direttore mi ordinò: ”Devi andare di corsa al partito per un’intervista”. Io pensavo di dover andare al Msi. Invece Marra intendeva il Psi». L’Adnkronos è sempre stata progressista, liberale e filosocialista. Era amico di Bettino Craxi? Molto. Ma poi assunsi come condirettore don Virgilio Levi, che era stato silurato dalla vicedirezione dell’Osservatore romano. Lo scelsi per le sue relazioni internazionali: aveva servito quattro papi, parlava molte lingue. Qualcuno fece credere a Craxi che mi ero schierato con il Vaticano e così i nostri rapporti si freddarono. A quel tempo Bettino pensava a un network di tv locali da estendere fino al Nord Africa. Io avevo comprato Retemia. Quando tornammo a parlarci, sospirò: «Dovevo puntare su di te per le televisioni». STEFANO LORENZETTO