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 2008  giugno 12 Giovedì calendario

Com’è british quel COLAO. L’espresso 12 giugno 2008 Una sera d’estate di pochi anni fa, quando era solo il capo del braccio italiano di Vodafone, Vittorio Colao s’era trovato a fare da padrone di casa su una terrazza romana dove decine di giornalisti banchettavano al termine della visita guidata a una mostra d’arte

Com’è british quel COLAO. L’espresso 12 giugno 2008 Una sera d’estate di pochi anni fa, quando era solo il capo del braccio italiano di Vodafone, Vittorio Colao s’era trovato a fare da padrone di casa su una terrazza romana dove decine di giornalisti banchettavano al termine della visita guidata a una mostra d’arte. Non conosceva quasi nessuno. Così, di capannello in capannello, i suoi collaboratori si affannavano nelle presentazioni. Finché era venuto il turno dell’accompagnatrice di una firma a cinque stelle della stampa quotidiana: una bella signora bionda che, appollaiata su dei trampoli da condono edilizio, aveva deciso di non nascondere le sue forme generose. Mentre quella, giuliva, gli tendeva la mano, lesto Colao aveva girato sui tacchi piantando in asso la compagnia. Al quarantasettenne ex McKinsey che ha fatto il servizio militare come ufficiale dei Carabinieri ed è stato appena incoronato numero uno del colosso britannico della telefonia, diventando dunque il manager italiano più in alto nel mondo, piace mostrarsi così: flessibile come una lastra di acciaio temperato. Pennellone, come tutti lo chiamano per via dei 192 centimetri di statura, detesta i salotti mondani quasi quanto i convegni dai titoli più pensosi. Lui non gioca a golf. Pedala in bicicletta. Non ha la barca a vela. Va in wind-surf. I goal del Milan li guarda sul sito della ’Gazzetta dello Sport’. Al sushi preferisce la pizza, gli hamburger e le patatine, delle quali è davvero ghiotto. E, finché non è malamente scivolato su una pozza d’acqua insaponata, ha snobbato l’auto blu per lo scooter. Riservatissimo (quando è al mare con la famiglia, cui è molto legato, continua a bersagliare di chiamate i suoi collaboratori, ma nessuno è mai riuscito a scoprire da dove), Colao è in realtà un uomo molto curioso. Anche nei confronti della politica, che finge di osservare con assoluto distacco e dalla quale è visto come tecnico bipartisan: per questo, stimato da Romano Prodi tanto quanto da Gianni Letta, negli ultimi anni s’è visto offrire incarichi di prestigio, dalla Fiat all’Alitalia, dalle Poste alla Rai. Assolutamente privo di cultura musicale, è invece un lettore onnivoro fin dai tempi della scuola, dove naturalmente era il primo della classe ("Ma di quelli che lasciano copiare", racconta un vecchio amico), e immagazzina tutto in una memoria da elefante. Lui, che da piccolo voleva fare il medico e s’è ritrovato a Harvard grazie a una borsa di studio dell’Eni, detesta gli schemi. "Gli piace mettere alla prova le persone in campi diversi da quelli di loro diretta competenza", racconta il direttore editoriale della Bompiani, Elisabetta Sgarbi. Per questo, in Vodafone, dov’è arrivato a 35 anni come direttore generale, diventando subito amministratore delegato, ogni anno rovesciava da cima a fondo il modello organizzativo, al cui interno aveva piazzato una nutrita pattuglia di donne. A un certo punto s’era inventato pure un Comitato successione. E si può immaginare con quale gioia i top manager si prestassero ogni 12 mesi al gioco di indicare, pescando dall’interno del gruppo, i migliori successori possibili per le loro poltrone. Molti non l’avevano presa bene. Ma nessuno aveva fiatato. Anche perché Colao, pur senza mai alzare la voce, è capace di sfuriate memorabili ("Senti un po’", è l’esordio telefonico che annuncia niente di buono). E lo stesso era successo quando aveva deciso che tutti gli alti dirigenti del gruppo dovevano passare un giorno all’anno dietro il bancone di un punto vendita, a smerciare telefonini, e un altro giorno in un call center, a prendere telefonate come un qualunque ragazzotto con un contratto da precario. All’inizio qualcuno aveva pensato si trattasse di uno scherzo, proprio come quello che una volta Colao aveva fatto al direttore degli affari regolamentari, scrivendo di nascosto una mail dal suo computer e cancellandone poi le tracce. L’ignaro alto dirigente annunciava al capo del personale di essere stufo di attendere la ristrutturazione del proprio ufficio e di aver così deciso di procedere all’acquisto di alcuni quadri di grande pregio, il cui costo avrebbe poi inserito nella nota spese. Cinque anni dopo lui era lo stesso di prima. Un po’ maniacale, per esempio, capace di inserire al primo punto nella scaletta delle cose da discutere con i manager dopo una pausa festiva la voce ’Ciao, come stai?’ ("Per non dimenticare di chiederlo", spiegherà lui stesso). Schivo più che mai: al di fuori dell’Arma, tra i suoi pochi amici si contano Silvio Scaglia (sono vicini di casa a Champoluc e insieme vanno periodicamente a donare il sangue), i banchieri ex McKinsey Corrado Passera e Alessandro Profumo, il compagno di naja e di Bocconi Giovanni Gorno Temprini, direttore generale di Mittel. Morigerato: con la moglie e i due figli piccoli (al maschietto ha razionato i libri dei Gormiti) è abituato a fare la spesa al supermercato. Abitudinario: immutabili i week-end nella casa materna di San Gerolamo di Lonato, a due passi da Desenzano, ad aspettare che s’alzi il Peler, il vento del Garda, per mettere in acqua la tavola da surf (di recente ha avuto una disavventura ed è stato ripescato da un motoscafo: e dire che il suo film preferito è ’Un mercoledì da leoni’). Intanto, però, la compagnia, che era partita da zero, aveva 20 milioni di clienti. Così, quando Colao ha staccato dalle pareti del suo ufficio il calendario della Benemerita e la caricatura che lo ritrae in alta uniforme, annunciando che avrebbe traslocato armi e bagagli al vertice di Rcs (i più stretti collaboratori l’hanno saputo via mail, in un orario antelucano), il titolo della compagnia telefonica ha lasciato sul campo tre punti e quello del gruppo editoriale ne ha guadagnati oltre due. Il figlio del carabiniere di origini calabresi e della nobildonna bresciana che da piccolo preferiva il Piccolo chimico al calcetto s’è presentato nel salotto buono del capitalismo italiano con un biglietto da visita poco accomodante. "I giornalisti sono un investimento da mettere a miglior reddito", ha annunciato in una delle prime interviste. Poi ha venduto la piccola compagnia aerea del gruppo, sui cui jet scorrazzava una variopinta pattuglia di vip. Dopo due anni aveva tutti contro: dal comitato di redazione ad alcuni dei principali azionisti come Marco Tronchetti Provera (con cui c’è un rapporto di diffidenza reciproca) e Diego Della Valle (tra i due sono volate parole grosse sulla direzione della ’Gazzetta dello Sport’). finita che l’hanno commissariato. Lui ci ha pensato su per 72 ore. Poi ha firmato la lettera di dimissioni. Chiedendo all’azienda di versare sul suo conto i due anni di stipendio che spettano a ogni manager messo alla porta. E di girare la differenza prevista dal contratto (non meno di un paio di milioni di euro) alla Fondazione Cometa (creata per accogliere minori in affido), di cui è socio promotore. Senza naturalmente dare pubblicità alla cosa. Insomma, ha sbattuto la porta, rimpiangendo, secondo i pochi amici, più che altro le grandi risate che riusciva a farsi davanti agli isterismi da prima donna degli scrittori più blasonati. E scomparendo nel nulla. Alla Sgarbi, che gli chiedeva via mail dove mai potesse inviargli i romanzi in uscita, ha risposto con ironia che il suo nuovo indirizzo, di lì a pochi mesi, sarebbe stato 567 Longfish Street, Averville, Jimbee County, 17152 Melbourne, Australia. Ma in esilio è rimasto poco. Vodafone non ha perso tempo nel richiamarlo in servizio. Questa volta nel quartier generale di Newbury. Prima come vice presidente e responsabile della divisione europea, l’area più difficile dell’intero business, perché quella con il mercato più saturo. Poi, dal 29 luglio prossimo, come successore del grande capo, il manager di origine indiana Arun Sarin, alla guida di un gruppo che fattura 35 miliardi di sterline in 27 paesi. Lui non ha battuto ciglio. Ha preso casa a Londra. S’è comprato una Volkswagen Golf. Soprattutto, s’è iscritto a un club ciclistico. Così, ogni sabato mattina pedala per cento chilometri, su e giù nel parco di Richmond, nella zona sud. A chi lo ha chiamato per congratularsi (lui risponde sempre al telefonino) ha detto solo di essere preoccupato per la preparazione della maratona ciclistica delle Dolomiti, in calendario per la prossima estate. Forse è vero. Ma non è tutto. Il fatto, dice chi lo conosce bene, è che sa quanto sarà dura tenere la ruota dell’amico Carlo Pesenti, che al momento va più di lui. E fare brutta figura, quello proprio no. STEFANO LIVADIOTTI