Sergio Zabot, Liberazione 24/5/2008, 24 maggio 2008
Per valutare correttamente il costo di un kWh prodotto con diverse fonti è necessario ricorrere al Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita), che altro non è che un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati a un prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita
Per valutare correttamente il costo di un kWh prodotto con diverse fonti è necessario ricorrere al Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita), che altro non è che un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati a un prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita. Ora, il ciclo di un impianto nucleare varia tra i 100 e i 150 anni. Ciò significa che un impianto concepito ora entrerà in esercizio, diciamo, tra 20 anni; poi funzionerà per 60; quindi inizierà lo smantellamento con tutte le attività conseguenti per almeno altri 20, per poi confinare defintivamente i residui e bonificare il sito. Nel frattempo, ad ogni cambio di combustibile (diciamo una volta all’anno), quello esausto, che poi esausto non è, deve essere raffreddato in piscina per 10 anni, poi ritrattato e infine messo a dimora definitiva, sempre che tra 20 anni sia stato identificato e approntato un sito definitivo geologicamente stabile (almeno per quanto riguarda l’Italia). Tutto questo vuol dire che, per sapere ora quanto costa un kWh prodotto con l’energia nucleare, bisognerebbe sapere quanto costerà raffreddare, ritrattare, condizionare, confinare definitivamente il combustibiler anno per anno, da qui a 80 anni e per i successivi 20, lo smantellamento e il confinamento di tutti i residui delle centrali ovvero il decommissioning, inclusa la bonifica del luogo in cui sorge l’impianto. Solo così si può ragionevolmente pensare di accantonare le risorse che saranno necessarie tra 80 anni e non lasciare quindi ”debiti ingombranbti” ai nostri nipoti. Oltre a questo, occorre potter stimare le cosiddette esternalità ambientali (definite come costi non sostenuti direttamente dai soggetti responsabili dei danni ambientali).- Rappresentano pertanto costi a carico della collettività e non dei soggetti economici che svolgono l’attività che li ha provocati. L’esempio tipico è l’inquinamento dell’aria, che danneggia l’intera collettività e i cui costi sono sostenuti solo in minima parte dagli inquinatori. Una scelta economica ottimale, oltre a considerare i costi e i ricavi di una data impresa, dovrebbe consentire di inernalizzare i costi sociali (esternabili) non altrimenti considerati. La possibilità di far rientrare nel normale calcolo di ogni attività economica anche i costi ambientali si scontra con la difficoltà di quantificare e monetizzare le esternalità. A partirte dagli anni Ottanta sono stati avviati studi per superare tali difficoltà e permettere così agli operatori economici e ai decisori politici di incluedere le esternalità nelle scelte politico-economiche. Nel 1991 la Commissione Europea insieme al DoE statunitense (Department of Energy) ha avviato un programnma di ricerca denimonato ExternE che si è affernato come studio di riferimento per le esternalità legate all’inquinamento atmosferico dovuto a combustione per produzione di energia e trasporti.. ExtendE tuttavia analizza e valuta gli effetti dell’uso dei combustibili fossili e non risulta che nessno studio sia ancora stato avviato per l’equivalente valutazione del di ciclo dell’energia nucleare.