Libero 7 giugno 2008, GIANCARLO MELONI, 7 giugno 2008
Paul Dirac. Gigante con i numeri, piccolo con le donne. Libero 7 giugno 2008 stato certamente per fare qualcosa di assolutamente nuovo che madre natura si è divertita a mascherare sotto l’aspetto di un ragazzino alto e magro, con folti e ispidi capelli neri, timido come una fanciulla vittoriana, un forte carattere di scienziato senza incertezze né ambiguità, disincantato e acuto come pochi, sicuro nei riferimenti, infallibile nei giudizi
Paul Dirac. Gigante con i numeri, piccolo con le donne. Libero 7 giugno 2008 stato certamente per fare qualcosa di assolutamente nuovo che madre natura si è divertita a mascherare sotto l’aspetto di un ragazzino alto e magro, con folti e ispidi capelli neri, timido come una fanciulla vittoriana, un forte carattere di scienziato senza incertezze né ambiguità, disincantato e acuto come pochi, sicuro nei riferimenti, infallibile nei giudizi. Il genio, certo, in questo miracolo che si chiama Paul Dirac (Nobel per la fisica 1933) doveva entrarci in gran parte. Ma più ancora una conoscenza di prima mano di matematica e fisica senza nulla di libresco, e una capacità di intuizione prodigiosa. IL SILENZIO Convinto che l’uso di un grande numero di parole sia inversamente proporzionale alla chiarezza del discorso, Paul fin da giovanissimo detesta le chiacchiere e tende a rifugiarsi nel silenzio. Di regola comincia una frase in inglese, la continua in francese, ma non la conclude. Si blocca. Come se gli mancasse il fiato. Le poche volte che decide di uscire dalla tenda del mutismo pronuncia però di colpo due o tre frasi brevi, precise, ognuna come un colpo di luce. Quel minimo che dice è sempre di altissima qualità. In alcuni minuti sa esprimere il risultato di un concentrato di intelligenza che a qualunque altro addetto ai lavori potrebbe bastare per riempire un intero libro. Il motivo di questa parsimonia verbale? Lui lo ha spiegato così: Parlare senza dire la verità è poco interessante. La verità del mondo si può esprimere solo con equazioni matematiche, che non possono essere tradotte in parole. dunque meglio tacere piuttosto che parlare per dire cose non vere. Nato a Bristol l’8 agosto 1902, francese per antica e nobile origine (Dirac è un paese nella Charente, da cui il cognome), svizzero per scelta del bisnonno paterno fuggito nella Confederazione durante le guerre napoleoniche, inglese per nascita, Paul Dirac è forse uno dei pochi aristocratici (gli altri sono De Broglie, von Laue e von Neumann) i cui titoli scientifici siano quotati nelle ristrettissime borse internazionali della fisica atomica. Iscritto dal padre, Charles, professore di lingue nei licei, al Politecnico locale, Paul a 18 anni ne esce ingegnere elettrotecnico. Subito dopo si mette a studiare la relatività generale di Einstein e ne è affascinato. A questo punto decide di chiedere una borsa di studio per un corso di matematica superiore. La richiesta è accettata e, concluso il biennio di aggiornamento, nel 1923 ottiene un incarico di ricercatore nel prestigioso ateneo di Cambridge dove apprende i fondamenti della meccanica quantistica. LA COGNATA Questa fase della vita di Dirac è turbata da un tragico evento, il suicidio del fratello maggiore, Reginald, fidanzato con una affascinante diciassettenne, Anna Burton, forse un po’ troppo disinvolta e intraprendente per il modo di pensare dell’epoca. Trent’anni dopo Paul racconterà all’amico Pauli un episodio collegato alla inquietante cognatina mancata: «Poco dopo il suicidio di Reginald mio padre aveva pensato di invitare Anna a cena a casa nostra; mia madre si oppose perché temeva che potesse corteggiare me. Così non ho mai potuto conoscerla». Paul aveva 22 anni ma sua madre, Florence Holten, retriva e severa discendente di una famiglia di capitani di mare della Royal Navy, pensava che dovesse ancora evitare il pericoloso contatto con le donne. Il fatto, unito all’educazione troppo rigida e anacronistica imposta da entrambi i genitori, segna il giovane per molto tempo ed è una delle cause della sua proverbiale timidezza, specie nei confronti dell’altro sesso. IL DOTTORATO Nel maggio 1926 Dirac consegue il dottorato a Cambridge con una tesi quantistica ricca di idee innovative che suscitano grande eco, e a settembre è invitato a Copenhagen da Niels Bohr, il cui istituto è una tappa obbligatoria per tutti i giovani fisici. Frattanto comincia a scrivere "I principi della meccanica quantistica", un grande libro che sorprende per la sua eloquente sobrietà, opera esemplare per sintesi e chiarezza, superlativa anche per l’eleganza. Non c’è scienziato, tranne Galilei, la cui prosa possa competere con la sua. Paul trova Copenhagen una "terra meravigliosa e al tempo stesso un magico ambiente di tanti semidei che corrono con gambe eccezionalmente lunghe" dove lui, che le gambe le ha più lunghe di tutti, muove i primi passi verso la scoperta di un nuovo Universo quantistico, l’antimateria. A questo proposito il Nobel Pauli scrive: "Anche l’ateo Dirac ha una sua religione che al primo comandamento recita: Dio non esiste, ma Dirac è il suo profeta". Per lavorare con Bohr il giovane ricercatore di Cambridge trascorre molti mesi nel famoso Istituto di ricerca danese. Qui conosce un tipo gaudente, il geniale scienziato russo Gorge Gamow, che è il suo esatto opposto, una specie di anti-Dirac. Cionostante i due diventano amici. Un giorno Dirac espone a Gamow una complicata teoria per calcolare la distanza più idonea a contemplare il volto di una donna. Il ragionamento è: a distanza infinita non si vede niente, a distanza zero l’ovale del volto è deformato e si vedono unicamente le imperfezioni; deve dunque esistere una distanza alla quale il volto di una donna risulta geometricamente al massimo della bellezza. Gamow allora gli chiede: qual è la distanza più breve dalla quale hai visto il volto di una donna? Più o meno sessanta centimetri, risponde Paul. Sonora risata di Gamow che propone subito un incontro ravvicinato con alcune delle più disponibili della sua "corte" di studentesse. LA MOGLIE Proposta respinta. Dirac, lo scopritore dei nuovi Continenti microfisici, in realtà ha paura delle donne; una paura che cesserà solo 10 anni dopo, quando a Budapest, nel 1935, conosce Margit Wigner, la bionda sorella di Eugene Wigner (Nobel per la fisica 1963), che sposerà il 2 giugno 1937. Comunque, alla fine del 1926, Paul è ancora ostinatamente casto e celibe. Lascia Copenhagen per Gottinga, sede di un altro prestigioso laboratorio scientifico, nel 1927 si reca all’Università di Leida come "visiting professor" e a dicembre torna alla sua cattedra di Cambridge. Appena rientrato, butta alle ortiche lezioni, laboratori, impegni accademici, per dodici mesi si chiude nel suo ufficio del St John College, lavora intensamente isolato dal resto del mondo fino a quando, una sera d’inverno del 1928, alza la testa dal tavolo e dice a se stesso: "Ce l’ho fatta". L’EQUAZIONE D’ONDA Che cosa ha scoperto? Un’equazione (l’equazione d’onda o di Dirac) che nello stesso tempo soddisfa i principi della relatività e della fisica quantistica: Einstein più Eisenberg (l’elettrone ha il carattere di particella) più Schrödinger (gli elettroni sono onde). Qual è la morale della vicenda? Dirac ha individuato un mondo relativisticamente e quantisticamente possibile con una geometria così estrema da contenere percorsi nello spazio-tempo impensabili in un mondo più familiare, come il nostro; un mondo che evoca anche oggetti pericolosi e mostruosi, le energie negative, mentre concretizza l’ipotesi che l’atomo sia immerso in un mare di particelle virtuali, o prive di massa, fra un caos terrificante. «Gli spazi intorno agli atomi e al loro interno, fino ad allora ritenuti vuoti, erano riempiti da un confuso marasma di corpuscoli spettrali», scrissero Crease e Mann. In seguito Dirac completa la sua equazione d’onda prevedendo l’esistenza di una particella elementare corrispettiva dell’elettrone ma di carica positiva: il positrone, la prima forma di antimateria (a ogni particella è associata la sua antiparticella, e tutte queste costituiscono l’antimateria). una autentica rivoluzione. Una delle verità matematiche più importanti del Novecento. Che poi questo successo clamoroso giochi all’autore anche qualche brutto scherzo, come inimicarsi contemporaneamente Heisenberg e Schrödinger, è tutto un altro discorso. Nemmeno Einstein è d’ac cordo con lui e gli dà del pazzo. Appresa la notizia, mentre passeggia in un parco di Praga assieme al collega Philipp Frank, a un certo punto Albert indica il manicomio prospiciente e dice: «Lì dentro vive quella parte di matti che non si occupa delle teorie quantistiche come fa Dirac». IL PREMIO La piccola grande comunità dei fisici entra in crisi. Ma presto deve ammettere che Dirac ha visto giusto. La "prodezza" dello scienziato di Bristol risulta tanto più straordinaria anche per il fatto che postula l’esistenza certa di una particella mai osservata (sarebbe stata individuata solo 25 anni dopo da Segré, Chamberlain e Wiegand con l’impiego di un gigantesco acceleratore, il bevatrone di Berkeley). Il Premio Nobel non tarda ad arrivare, nel 1933. Paul, che è un buon alpinista, pensa che "la gloria è una questione privata", come gli ha insegnato Louis Lachenal, il famoso scalatore dell’Annapurna, e vorrebbe rifiutarlo. Non gli va di apparire in pubblico, su quel palcoscenico. Rutherford (Nobel 1908) gli spiega che il rifiuto gli darebbe ancora più pubblicità, e quindi più imbarazzo. Paul decide allora di recarsi a Stoccolma accompagnato dalla madre, che fa di tutto per mascherare il disagio del figlio, specie in presenza di tante signore. L’uomo che senza paure si era immerso nel caos dell’Uni verso di cui aveva addirittura raddoppiato il contenuto temeva ancora le donne! Il gigante che ha rivelato l’antimateria ora è sepolto nel piccolo cimitero di Tallahassee, in Florida, sotto una piccolissima lapide, ignorato, dimenticato dalla gente che invece è solita parlare così spesso di Einstein, il genio che certe scomode verità non ha mai saputo, o voluto, accettarle. GIANCARLO MELONI