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 2008  giugno 08 Domenica calendario

E’ soprattutto alla Borsa di New York che si scambia il petrolio di carta. L’oro nero qui passa di mano in mano molto prima di uscire dalle pipeline che partono dai giacimenti, che siano in Arabia Saudita o in qualunque altra parte del mondo

E’ soprattutto alla Borsa di New York che si scambia il petrolio di carta. L’oro nero qui passa di mano in mano molto prima di uscire dalle pipeline che partono dai giacimenti, che siano in Arabia Saudita o in qualunque altra parte del mondo. Anzi: gli ordini di acquisto e vendita vanno molto più veloci del greggio in marcia verso le raffinerie di mezzo mondo. A un broker in giacca e cravatta seduto in una sala operativa, che ogni giorno tratta milioni di dollari per i suoi clienti newyorchesi, basta un attimo per capire quanto potrà speculare sulla variazione del prezzo. Gli è sufficiente dare uno sguardo alle previsioni sulla temperatura terrestre per capire che il prezzo salirà. I meteorologi dicono che l’inverno in Europa sarà più rigido? Tra qualche mese anche la domanda di greggio sarà più alta. In un secondo impartisce gli ordini d’acquisto a un prezzo più alto di quello corrente: compra un future, un titolo che scommette sul valore del petrolio di lì a tre mesi. Pochi secondi dopo il barile vale qualche centesimo di dollaro in più. Dall’altra parte del pianeta, a Shanghai, un collega del primo broker vede che le quotazioni si alzano: a sua volta, scommette sul rialzo, anche lui con un future. I suoi dati dicono che l’economia cinese avrà bisogno di più petrolio, e se anche New York punta sul rialzo, allora vale la pena di spingersi ancora un po’ più su coi prezzi. Se i due broker hanno ragione, alla scadenza del titolo incasseranno la differenza. Che nel frattempo si sarà fatta sentire anche nelle tasche dei consumatori di tutto il mondo. Speculazioni che durano pochi secondi e, secondo gli analisti, rappresenta fino al 20% del prezzo finale del barile. Ed è in enorme crescita. Lo dimostrano i numeri: il fabbisogno di petrolio mondiale è pari a circa 86 milioni di barili al giorno. Sulle piazze finanzieri vengono scambiati ogni giorno volumi (in future) pari a trenta quel valore. Se nel 2001, ogni giorno venivano scambiati 5 miliardi di dollari in futures sul petrolio, oggi i miliardi hanno ragiunto quota 240. La tendenza è ancora in forte crescita, tanto da evocare il rischio di una bolla speculativa. Lo ha detto Gorge Soros, il guru della finanza che qualche settimana fa ha fatto notare come una parte degli incrementi del prezzo del petrolio siano dovuti agli affari di Borsa. Insomma, non è tanto la domanda di petrolio a spingere il prezzo del barile, quanto la domanda di prodotti finanziari: e in questo momento quelli che vanno meglio sono legati proprio al brent. E infatti il flusso di capitali sul petrolio è aumentato dopo la crisi dei subprime americani. A partire dall’agosto scorso, molti investitori hanno lasciato gli immobili per puntare sui futures o su altri derivati come gli Etc o i certificati legati alle materie prime. «Gli investimenti fanno salire i prezzi e attirano nuovi capitali», ha spiegato Edward Morse, esperto di energia della banca d’affari Lehman Brothers. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il future sul barile venerdì ha superato i 138 dollari. Per Soros i prezzi saliranno ancora per un po’, almeno fino al momento in cui una chiara contrazione della crescita economica mondiale ridurrà la domanda di oro nero e ne farà calare il valore. Non tutti sono dell’idea che si tratti di una bolla. Sul prezzo incidono anche domanda e offerta. Mentre la prima è aumentata in Cina e India, la seconda comincia a dare segni di stanchezza. Dal 2000 il fabbisogno mondiale quotidiano è salito di 12 milioni di barili, la produzione soltanto di quattro milioni di barili al giorno. «Non sarà più come negli anni ”90 quando c’era abbondanza di petrolio», dice Marco Ravagli esperto di mercati azionari per Dws (Deutsche Bank) a Francoforte. In molti Paesi come Gran Bretagna, Messico e Indonesia i pozzi sono diventati meno generosi. Per questo l’Indonesia dovrà presto abbandonare l’Opec: le importazioni di greggio hanno sorpassato le esportazioni. Intanto nelle passate settimane il Re dell’Arabia Saudita, Abdullah, ha festeggiato una ricorrenza particolarmente ricca: 75 anni fa il Paese avviava la prima fornitura di petrolio ai Paesi occidentali. Mai prima di allora gli affari erano andati così bene per Abdullah: oggi l’oro nero costa il 50% in più di un anno fa e 13 volte più di quanto valeva negli anni ’90. Stampa Articolo