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 2008  maggio 22 Giovedì calendario

CORREGGIO

Corriere della Sera 22 maggio 2008
I quarantacinque anni della sua vita Antonio Allegri, detto il Correggio dal nome del paese in cui era nato, li trascorse tutti tra Parma e Reggio Emilia, con una breve incursione a Mantova, dove lavorò giovanissimo nella cappella funebre del Mantegna. Almeno così ci tramandano i documenti. Non esiste invece alcuna traccia su un suo viaggio a Roma, anche se il suo nome fu associato dai contemporanei a quello dei sommi artisti rinascimentali, Raffaello e Michelangelo, i quali nella classicità di Roma avevano trovato gli ingredienti per rivoluzionare la storia dell’arte.
Apparirà quindi strano, ai visitatori della mostra «Correggio e l’antico », che la curatrice Anna Coliva sia partita proprio dall’ipotesi di una visita del pittore nella città dei Papi. Una ipotesi che continua a non trovare attestati nelle carte storiche, ma che le opere di Correggio confermerebbero senza ombra di dubbio. Fu il Vasari a scrivere nel 1550, una trentina di anni dopo la morte dell’artista: «Se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia, e stato a Roma, avrebbe fatto miracoli, e dato delle fatiche a molti, che nel suo tempo, furono tenuti grandi. Conciossiachè essendo tali le cose sue, senza avere egli visto delle cose antiche, o delle buone moderne, necessariamente ne seguita, che se le avesse vedute, avrebbe infinitamente migliorato l’opere sue, e crescendo di bene in meglio, sarebbe venerato al sommo dei grandi».
Oggi la critica, rintracciando nelle sue opere innumerevoli indizi di «romanità», è invece quasi unanime nel dare per certo che Correggio a Roma ci sia stato, forse intorno al 1518. Coliva ribalta il problema e parte proprio da Roma, raccogliendo una sessantina tra dipinti, disegni e opere dell’antico per cercare nei lavori del pittore la risposta alla domanda non se fosse arrivato in città, ma quanto cambiò, grazie al contatto con la Roma di inizio Cinquecento, la sua visione dello spazio, della composizione, delle forme.
Si dà dunque per scontato che a Roma l’artista abbia potuto confrontarsi con le soluzioni che al tema dell’antico avevano già dato Raffaello e Michelangelo e che grazie alle loro opere, una volta tornato a Parma, sia riuscito ad affrontare con una plasticità e una monumentalità completamente nuove l’impresa della cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista.
 a questo punto che Correggio comincia a diventare famoso per il suo modo di colorire, ovvero per la sua capacità di fondere il colore con la luce. Una magia che si potrà osservare in mostra sia nei quadri a soggetto mitologico, sia in quelli religiosi. Si potranno vedere per la prima volta insieme la «Danae» della Galleria Borghese, «Giove ed Io» e «Il ratto di Ganimede» dalla Kunsthistorisches di Vienna, «Educazione di Cupido» dalla National Gallery di Londra e «Venere e Cupido » dal Louvre. E poi capolavori come «Noli me tangere» e soprattutto le Madonne: dalla «Madonna Campori» all’«Adorazione dei Magi », al «Riposo durante la fuga in Egitto con san Francesco». Le stesse che Stendhal riconobbe nella fisionomia delle donne di Correggio, quando durante il suo viaggio in Italia fece una deviazione per visitare il paese dove era nato uno dei suoi pittori preferiti. Correggio pittore dell’erotismo e, in una contraddizione solo apparente, pittore della grazia. In tutti i soggetti, sacri o profani, l’artista esercita la sua mirabile tecnica, «con un colorito ch’è di vera carne», come ebbe a notare Annibale Carracci. E con una morbidezza, una luce, che lo fecero soprannominare pittore degli affetti, ma anche pittore del-l’aria, per la sua capacità di dipingere l’indipingibile, ovvero l’aria, i vapori, le nebbie e tutto ciò che è impalpabile e inafferrabile.
Lauretta Colonnelli