Libero 24 maggio 2008, BARBARA ROMANO, 24 maggio 2008
«Resto nel Pd perché non è di sinistra ma l’unica vicina alla gente è la Lega» Libero 24 maggio 2008 «Piove, governo ladro»
«Resto nel Pd perché non è di sinistra ma l’unica vicina alla gente è la Lega» Libero 24 maggio 2008 «Piove, governo ladro». Le tenta proprio tutte Massimo Calearo per vendere la sua nuova immagine di "compagno". Pure le boutade aforistiche sul meteo. Vorrebbe persino far passare Colaninno - il suo omologo magro e serafico nel Pd - per più duro di lui: «Matteo ha l’aria gracilina, ma è uno cazzuto . Io invece, che sembro così forte, sono tenero come un grissino». Per edulcorare la sua nomea, il "falco" di Federmeccanica sceglie Giolitti, una delle più antiche gelaterie capitoline a due passi dal Parlamento, come luogo dell’incon tro. Dove però fa un’ordinazione nient’affatto all’altez za della stazza: spremuta d’arancia e caffè. Onorevole, gira una certa voce su di lei a Montecitorio... «Che voce gira?». Dicono che lei sia già stufo del Parlamento. «Ma no. Mi sto abituando a un sistema di vita che non conoscevo. Essendo molto pragmatico, elimino i tempi morti facendo altro». Non è vero che ha detto «qua non si tocca palla, era meglio che me ne stavo a Vicenza»? «No. solo che io rimango imprenditore dalla punta dei capelli alla punta dei piedi. La politica impone una tattica soft, mentre io, venendo da Federmeccanica, sono troppo diretto». Ex presidente di Federmeccanica e di Assindustria di Vicenza, "falco di Confindustria". Che diavolo ci fa uno come lei nel Pd? «L’ho appena spiegato ad alcuni colleghi molto potenti in Confindustria: "Dovreste solo ringraziare di avere uno che la pensa come voi che ha contribuito in maniera importante a lasciare a casa la Sinistra arcobaleno e che, stando dall’altra parte, può mantenere anche nella minoranza le idee dell’impresa e del mercato"». A Vicenza giurano che lei è di destra. Raccontano che, quando è uscita la notizia della sua candidatura nel Pd, un notissimo imprenditore tessile vicentino molto vicino alla sinistra ha chiamato il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, e gli ha detto: «Adesso candidate pure i fascisti?». «Io sono uno che sa comandare e l’ho dimostrato. Per qualcuno saper comandare vuol dire essere fascista. Quando entro in un problema voglio risolverlo, anche in modo non elegante, spesso traumatico». «Ordine, rigore, disciplina»: indovini chi l’ha detto? «Non ho idea». Lei. Non sono idee proprio di sinistra, diciamo. «Non esistono più destra e sinistra. Ma democratici e repubblicani, laburisti e conservatori. Le differenze sono molto sottili». Sarà, ma lei non ha esattamente un’aria labur ... «Siccome vengo da una famiglia molto religiosa e impegnata nel sociale, penso che bisogna essere vicini a tutti, sia a chi produce che a chi soffre». Si sentiva un certo ruggito leghista in quella sua sortita in favore dello sciopero fiscale, al meeting di Rimini, la scorsa estate. «L’unico partito che è stato vicino alla gente è la Lega e al Nord lo ha dimostrato». Allora lo ammette che in lei batte un cuore leghista. «In alcuni casi, quello che dice la Lega lo condivido. Non condivido i suoi modi di risolvere i problemi. Ho sempre detto che ci sono tre cose di cui la gente ha bisogno: federalismo, sicurezza e riduzione della burocrazia». E allora perché non si è candidato con Bossi? «Perché ritengo che il federalismo fiscale lo si debba applicare tenendo conto non solo del Nordest, ma anche di chi sta peggio nel resto d’Italia. Ecco perché ho scelto il Pd». Eppure, il 29 giugno scorso, di fronte a una platea di industriali, lei ha detto: «Giuro di fronte a voi che mai voterò a sinistra». «Non l’ho mai detto. A parte che aver votato Pd non lo considero di sinistra». E sentiamo, cosa sarebbe il Pd? «Un nuovo partito aperto a nuove iniziative». Anche il PdL. Vero che alle Politiche 2006 votò Udc? «Non glielo dico. Comunque non ho mai votato né Lega, né FI». Dichiarò di aver votato centrodestra. Per esclusione... «Ne rimangono fuori due. Siccome sia Udc che An sono convinte che abbia votato per loro, lascio aperto il dubbio, così nessuno ci resta male». Una settimana prima che lei si candidasse, il leader di An, Gianfranco Fini, a un convegno degli industriali vicentini, disse: «Calearo lo candideremmo immediatamente. Se vuole, un posto per lui c’è». Com’è che poi ha ceduto alle sirene di Veltroni? «Perché un giornalista fece una domanda a Fini: "Se andate al governo farete un ministro veneto?". E lui rispose in maniera nebbiosa». Pensavo che si fosse candidato con il Pd perché Veltroni accettò la sua richiesta di farle fare il ministro. «No, gli chiesi di promettermi che in caso di vittoria ci sarebbe stato un ministro veneto, che non dovevo essere necessariamente io. E lui due giorni dopo disse di sì. Questo ha scatenato un putiferio nel PdL. Ma sono felice che la mia richiesta abbia sortito una squadra veneta di governo così nutrita». Berlusconi ha riempito il governo di veneti. Non le viene mai il sospetto di aver sbagliato "cavallo"? «Io sono contentissimo che il governo abbia tre ministri e cinque sottosegretari veneti, perché nel mio piccolo sono quello che ha dato il "la"». Berlusconi ha scelto bene? «Sì, perché non ha messo gli amici del governatore veneto, Giancarlo Galan, ma persone perbene. Zaia lo conosco poco, ma sono andato a salutarlo, gli ho fatto i complimenti e gli ho detto che sono a sua disposizione. Brunetta e Sacconi li conosco bene, sono ottime persone, molto preparate». Il suo nome era dato per certo nel governo Veltroni, se il Pd avesse vinto. E allora come mai lei nel governo ombra non c’è? «Ringrazio il cielo che non mi abbiano fatto entrare nel governo ombra». Certo, come no. «Giuro. In questo momento devo andare a scuola e imparare. Siccome io sono un pollo ruspante, non un pollo di allevamento, in questa fase avrei potuto creare soprattutto problemi perché sono troppo libero. Io sono un personaggio scomodo, perché ho le mie idee, discuto pure, ma non mi lascio convincere». Idee troppo di destra per il Pd? «Io sono un uomo di centro che ha trovato spazio in un partito riformista come il Pd». Ma non aveva detto, sempre il 29 giugno, «Veltroni non mi piace perché la sua investitura viene dall’alto»? «Ma allora non lo conoscevo. Fu il segretario veneto del Pd, Paolo Giaretta, a contattarmi a nome di Veltroni. Ma è stato leggendo il programma del Pd che mi sono convinto. la scarsa conoscenza del programma che ci ha fatto perdere». Tutto qui? «Non posso imputare colpe che non so. Io so che c’ho messo l’anima. In venti giorni ho visitato 60 Comuni». Ma non ha avuto grandi risultati. Veltroni l’ha candidata capolista nel Nordest per rubare voti a FI e Lega, ma lei ha perso anche a casa: nel suo paese, Costabissara. «Costabissara è un paese da sempre di destra che non frequento più da tempo vivendo a Vicenza, dove il Pd è diventato il primo partito esprimendo un suo sindaco dopo dieci anni di centrodestra. Il giorno in cui Roma è stata espugnata, l’unico felice nell’opposizione ero io, perché noi Vicenza l’ab biamo portata a casa». Contento lei. Nel suo Nordest il centrosinistra ha addirittura perso mezzo punto rispetto al 2006. «Può esser vero, ma se avessimo vinto nel cuore della Lega avremmo vinto le elezioni». Le ha portato sfiga Europa, che profetizzava: «Calearo non sposterà molto più del voto dei suoi parenti»? «Chi è Europa?» Il quotidiano della Margherita. «Appunto, le ho già risposto». Anche Cacciari pronosticò: «Non credo che Calearo possa spostare un solo voto verso di noi». «Il professor Cacciari non lo conosco. Certamente la sua nomea non è di portafortuna». Lei è un pezzo grosso dell’imprenditoria. Chi gliel’ha fatto fare di buttarsi in politica? « qualcosa che fa parte delle mie radici di famiglia. Io ho tre zii preti gesuiti, uno dei quali è mancato l’anno scorso. Mia madre è una persona molto dedita al sociale, alla beneficenza, alle suore. Lei, figlia di un imprenditore, e mio padre, figlio di un capotreno, 50 anni fa costruirono un’azienda che faceva campanelli per biciclette e ora fa antenne e tecnologia». Ma questo che c’entra con la sua discesa in campo? «Tutto questo qualcuno ce l’ha dato. Sarà fortuna, sarà bravura, ma anche questo Paese. Mi sono sentito in dovere di restituire qualcosa all’Italia e prestarmi alla politica. Anche se non sarà il mio lavoro per sempre». Eppure in un’intervista al Giornale di Vicenza, lo scorso settembre, dichiarò: «Non sono e non sarò mai un politico, non è nel mio Dna». «Se lei me lo chiedeva a gennaio le avrei detto la LE SFIDE I PARTITI stessa cosa. stato Veltroni a farmi cambiare idea». O piuttosto il fatto che il venerdì prima di annunciare la sua candidatura aveva incontrato l’allora leader di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, il capo degli industriali veneti, Andrea Riello, e quello trevigiano, Andrea Tomat, che le dissero che non sarebbe diventato il vice della Marcegaglia? «Posso smentire nella maniera più assoluta». Non è vero che ambiva a diventare vicepresidente di Confindustria? «Credo all’astrologia, sono un sagittario, uno a cui piace molto la novità. Il Pd mi ha aperto una finestra che non avrei mai immaginato. Mentre fare il vice della Marcegaglia mi proiettava in un mondo che già conoscevo. L’altra sera ero a cena con Emma, Luca e tutto il gotha confindustriale, dove mi sento ancora in un gruppo di amici». Tanto amici che hanno stoppato la sua ascesa a viale dell’Astronomia. «Avevo dato la mia disponibilità, perché avevo fatto un percorso in Confindustria: ero stato il presidente dell’Associazione industriali di Vicenza, che ho portato ad essere una delle prime in Italia, e poi il presidente di Federmeccanica che, dopo decenni, ha chiuso due contratti dei metalmeccanici, senza l’intervento del governo né rotture con i sindacati». vero che ha voluto chiudere in fretta i contratti dei metalmeccanici perché non voleva perdersi la caccia del cinghiale in Sardegna? « stato il presidente degli industriali sardi a dirmi: "Muoviti a chiudere ’sto contratto, che ti invito in Sardegna alla caccia al cinghiale". Mio figlio, che è molto più appassionato di caccia di me, ha molto insistito. Così, appena siglato, siamo andati». Lei si è guadagnato fama di "falco" proprio nel braccio di ferro con i metalmeccanici per soli tre euro di differenza tra domanda e offerta. «Buttai giù dal letto Montezemolo perché non ero disposto a cedere non per tre, ma per un euro. Eravamo disposti a concedere 97, 98, 99 ma non 100, che sarebbe stata una vittoria politica del sindacato. Quindi, io sono "falco" e sono fiero di esserlo». Si è detto favorevole a una lobby trasversale di industriali che risolvano i problemi dell’impre sa. Sarebbe disposto a votare provvedimenti del PdL per la flessibilità del lavoro che lei ha sempre sostenuto? «Certamente sì. Ne discuterei nel partito, ma io rimango imprenditore, e grazie a Dio viviamo in una democrazia». Che giudizio dà dei provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri a Napoli? «Buono per quanto riguarda i provvedimenti sui rifiuti. giusto che le discariche diventino presidio militare. Bisogna riportare ordine in questo Paese. Mentre l’Ici io non l’avrei tolta. Ma l’importante è fare. Io non sono per la critica, ma per la proposta». E la detassazione degli straordinari? «Positiva. Ma io l’avrei fatta dopo aver detassato i contratti di secondo livello. E avrei detassato gli straordinari alle forze dell’ordine perché sono sottopagate e con pochi mezzi. In una situazione in cui è molto sentito il problema della sicurezza, bisognerebbe dare un segnale forte di aiuto alle forze di polizia». Una cosa che in Confindustria non le perdonano è l’assemblea di Vicenza 2006: lei l’aveva studiata come lo show di Montezemolo, divenne lo show di Berlusconi. «Organizzare un evento così non è da tutti. Per me è stato uno sforzo, ma anche una soddisfazione. Finché non arrivò Berlusconi, che fino alla sera prima non doveva venire perché aveva una forte sciatalgia. Ma a Vicenza c’è la Madonna di Monteberico che fa ancora miracoli. Lui è un grande istrione, chapeau. Ma io non ho apprezzato questa sua irruenza in casa altrui». Tutti gli altri imprenditori vicentini sì. Dalla seconda fila in poi c’è stata un’ovazione per Berlusconi, mentre lei, seduto in prima fila tra Montezemolo e Diego Della Valle, lo ricopriva di improperi. «Me ne ha fatte dire di tutti i colori». Perché non lo può vedere? «Amo la Madonna di Monteberico, non Berlusconi». Perché ha realizzato tutto ciò che a lei finora non è riuscito? «Lo considero una persona intelligente, geniale, avanti un passo a tutti i suoi, e non mi metterei mai in confronto con Berlusconi, anche perché ho vent’anni di meno, qualche centimetro in più e i capelli miei». Intanto è scoppiato l’amore tra la Confindustria della Marcegaglia e Berlusconi. Le rode? «Ho sempre pensato che Confindustria debba essere filogovernativa, ma non inginocchiata com’è stata ai tempi di D’Amato. Montezemolo è stato molto più equilibrato». E la Marcegaglia come sarà? «Sono certo che sarà una brava presidente di Confindustria, che otterrà risultati importanti. Ora che si è creato un clima favorevole al dialogo sulle riforme economiche e istituzionali, saprà sicuramente inserirsi con autorevolezza in questo nuovo contesto positivo e lavorare al massimo per lo sviluppo delle imprese e del sistema Italia». Ha aggiunto al suo cognome quello materno per copiare Montezemolo, come sostengono i suoi detrattori in Confindustria, o perché è un mammone, come insinuano le malelingue vicentine? «Da piccolo avevo un legame fortissimo con mio nonno materno, titolare di un’impresa edile che, avendo tre figli preti, ha dovuto chiudere nel ’65. Essendo i miei genitori molto impegnati nell’azienda di mio padre, ho trascorso tutta l’infanzia con mio nonno. Prima che morisse, nel 1980, sono andato a conoscere i miei zii che erano missionari in Brasile. Con uno di loro, che ha 86 anni, ho un rapporto straordinario. Un mio collega qualche anno fa si è aggiunto il cognome della madre. So che la cosa sarebbe piaciuta molto a mio nonno. Così, come segno di ringraziamento a lui e ai miei zii, l’ho fatto anch’io, per non far estinguere la stirpe dei Ciman». Dicono che sia sua madre a tirare avanti la sua azienda. Che rapporto ha con lei? «Somiglio molto a mia madre. Ma ho un ottimo rapporto sia con lei che con mio padre». Suo padre legge giornali di destra e guarda il Tg4. Come ha reagito al suo arruolamento nel Pd? «Mi ha detto: "Sbagli, sei libero di fare quel che vuoi, ma non pensare che io ti voti". E mi ha detto che avrebbe votato Lega Nord. Ma alla fine è stato un mio sostenitore». Lei era un falco anche da bambino? «Sono sempre stato uno che non si faceva pestare i piedi. All’Istituto tecnico industriale "Alessandro Rossi" di Vicenza ero uno dei pochi che entravano a scuola quando c’era sciopero». Calearo krumiro. «Il bello è che il professore che incontravo in classe la pensava come quelli fuori, mi interrogava e mi dava delle solenni bastonate». Di che squadra è? «Simpatizzo per la Juventus perché quando ero in prima elementare giocavo alle figurine e ne avevo una di Sivori con cui vincevo sempre». Ha avuto tre figli dalla sua ex moglie. Che giudizio si dà come padre? «Le basti sapere che i miei figli vivono tutti e tre con me. Abbiamo un ottimo rapporto». E come hanno preso la sua discesa in campo? «Mio figlio Eugenio l’altro giorno mi ha detto: "Ho sempre saputo che prima o poi l’avresti fatto". Al secondo, Carlo Alberto, due anni fa è venuto il pallino della politica, ma io gli ho detto: lascia stare». BARBARA ROMANO