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 2008  giugno 06 Venerdì calendario

Franco Frattini definisce «deludente» l’esito del summit mondiale sulla crisi alimentare della Fao, poiché «non c’è stata la necessaria coesione»

Franco Frattini definisce «deludente» l’esito del summit mondiale sulla crisi alimentare della Fao, poiché «non c’è stata la necessaria coesione». Per il gran capo della Fao, Jacques Diouf, si tratta di «un difficile compromesso». Tradotto dal linguaggio diplomatico, un mezzo fallimento. Aiuti per l’emergenza a pioggia, come al solito, e Diouf si premurerà in finale di elencarli tutti in un totale di 8 miliardi di dollari: egli stesso aveva detto aprendo il summit che ne servirebbero però trenta. Ma nessun accordo è stato trovato su misure strategiche per far rientrare una crisi globale che oggi affama 862 milioni di persone nel Terzo Mondo come i poveri dell’Occidente, e che rischia di dilagare. Nella dichiarazione finale, si afferma il principio che «il cibo non può essere usato come strumento di pressione politica ed economica». Ma ci si limita ad impegni generici, a «monitorare e analizzare la sicurezza alimentare mondiale in tutte le sue dimensioni», salvando la possibilità dei vari paesi di decidere le misure da adottare, affrontando «le sfide e le opportunità poste dai biocarburanti», cercando di rendersli «sostenibili». E si auspica «una rapida conclusione positiva dell’agenda di Doha», ovvero la liberalizzazione del mercato del cibo, che potrebbe significare anche (ma non viene specificato) apertura alle materie prime alimentari del Terzo Mondo. Europa e Stati Uniti manterranno però i sussidi alle loro agricolture. Nel «Comity of the All», come chiamano alla Fao il comitatone al lavoro dal 9 maggio sul testo di dichiarazione finale, restano le divisioni di sempre su biocarburanti, Ogm, barriere economiche e sussidi all’agricolutura dei paesi ricchi. Divisioni feroci e trasversali. E il finale, con la chiusura del summit che slittava di mezz’ora in mezz’ora fino alle nove di sera, è stato addirittura surreale. L’assemblea plenaria mette ai voti il rapporto che conterrebbe in teoria anche la dichiarazione finale che è ancora in discussione. Così la lite che si protraeva giorno e notte nelle ultime 72 ore nel chiuso delle segrete stanze si è trasferita sul proscenio dell’Assemblea. L’Argentina, che nel Comitatone era stato l’osso più duro, ha contestato metodo e merito, e si è compreso meglio il piglio di Christina Kirchner nel sostenere che «il problema della crisi alimentare è la distribuzione, non la produzione». L’Argentina infatti ha una sovrapproduzione di cibo, produce addirittura otto volte il fabbisogno interno di cereali, e usa alti dazi all’export dei suoi produttori per meglio redistribuire le derrate all’interno dei suoi confini, e mantenere il prezzo alto sui mercati internazionali. E si è strenuamente opposta alla riduzione dei dazi. Non ci è riuscita nel Comitatone, ma incalzando l’assemblea plenaria ha ottenuto che la sua contrarietà venisse messa agli atti, ratificando così le divisioni e il fallimento del summit. Per far passare il documento finale, mentre Congo e Zambia facevano notare che «ci sono 900 milioni di persone che muoiono di fame, non possiamo star qui a far giochi semantici», sono dovuti scendere ripetutamente e pubblicamente in campo Usa ed Europa. Il risultato è stato che con l’Argentina, attaccando violentemente «il sistema capitalistico che affama il mondo», si è schierata la Cuba di Raoul Castro che vorrebbe veder cancellate l’embargo, il Venezuela di Chavez che punta il dito contro «un accordo che ratifica lo stato di prevaricazione dei paesi industrializzati», il Nicaragua di Daniel Ortega, e la Bolivia di Evo Morales. E con loro si è schierato anche l’Ecuador, un paese che ha una politica certo non chavista, visto che la moneta ufficiale è il dollaro americano. Tutte dichiarazioni che verranno allegate a quella finale del summit, che ha corso il rischio di non vedere neppure la luce. Antonella Rampino