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 2008  giugno 02 Lunedì calendario

Senz’acqua oltre un miliardo di uomini. Affari & Finanza 2 giugno 2008 Puoi stare senza luce, puoi sopravvivere senza benzina, ma se rimani senz’acqua soccombi

Senz’acqua oltre un miliardo di uomini. Affari & Finanza 2 giugno 2008 Puoi stare senza luce, puoi sopravvivere senza benzina, ma se rimani senz’acqua soccombi. Per noi figli dell’abbondanza la scarsità d’acqua può essere un ricordo delle gite giovanili, di grandi sudate con la gola riarsa. Ma chiunque abbia avuto occasione di battere le strade del mondo più povero ha appreso l’attenzione, il rispetto, il culto silenzioso tributato collettivamente a questo bene che s’identifica con la vita. Se prendiamo l’Africa, il continente più povero di tutti, l’acqua è il simbolo della scarsità. Fa i titoli dei giornali – quando piove – e causa l’angoscia di intere popolazioni quando i corsi dei grandi fiumi, dal Niger allo Zambesi, non si gonfiano come dovrebbero, non tracimano irrigando le terre e facendo germogliare i pascoli che i nomadi conoscono da generazioni. L’acqua è offerta come un dono, magari torbida di terra, raccolta in fondo a un pozzo, quando c’è; ed è contesa come un tesoro quando – troppo spesso – scarseggia. «La prossima guerra si farà per l’acqua», è stato profetizzato fino alla nausea a proposito del Medio Oriente, dal bacino del Tigri e dell’Eufrate al corso ben più misero del Giordano, che si disputano israeliani e palestinesi (per maggior precisione, sono quarant’anni che Israele ne drena le acque per il proprio fabbisogno; e la striscia di Gaza è stimata dall’Onu il secondo territorio al mondo con la minor disponibilità di acqua pro capite, dopo il Kuwait). L’ex generale ed ex premier israeliano Ariel Sharon ha lasciato scritto del resto, nella sua autobiografia, che la guerra del ”67 fu combattuta sì per i confini, ma che il controllo dell’acqua era «una questione di vita o di morte». Il cosiddetto «stress idrico» è stato teorizzato, in suo nome sono stati scritti libri e organizzati convegni di geopolitica. Finché, per tornare all’Africa, la più autorevole voce della politica internazionale, quella del segretario generale delle Nazioni Unite Ban KiMoon, ha detto che la prima guerra dell’acqua è già scoppiata, e si sta combattendo in Darfur. All’origine di questo conflitto, che da quattro anni martirizza le vaste regioni semidesertiche del Sudan occidentale, c’è infatti una contesa sulle terre da pascolo. Gli allevatori nomadi hanno preso a scacciare e uccidere gli agricoltori e ad incendiarne i villaggi perché non trovavano più foraggio per le loro mandrie di cammelli. Questa spiegazione della guerra del Darfur può suonare come un utile paravento politico, poiché – a raccontarla così – scagiona di ogni responsabilità il governo centrale di Khartoum. In realtà, il regime ha un ruolo chiave ed è attivamente impegnato dalla parte degli aggressori, intento a sfruttare il conflitto a propri fini; ma è pur vero che la causa scatenante sono state le cattive precipitazioni, che minacciano direttamente la sopravvivenza dei modi di vita tradizionali e di intere etnie. Non a caso, nei mitici «obiettivi del Millennio» indicati dalle Nazioni Unite, l’acqua ha un ruolo da protagonista. La Dichiarazione del Millennio è stata sottoscritta nel Duemila da tutti i 191 Stati membri dell’Onu e gli otto obiettivi che essa enumera dovrebbero, in teoria, essere raggiunti entro il 2015. Già si sa che così non sarà e questo impegno universale ma velleitario è stato sottoposto a una robusta dose di critiche, come una specie di manifesto della «correttezza politica» globale. Sta di fatto che al punto 8, «Assicurare la sostenibilità ambientale», uno dei parametri è il dimezzamento del numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Secondo un rapporto Onu del 2006, queste persone sono attualmente sulla Terra un miliardo e 100 milioni, cioè il 17 per cento del totale. Ma anche per quanto riguarda il punto 1, «Eliminare la povertà estrema e la fame», è ovvio che l’acqua è la chiave: niente acqua, niente sviluppo è il primo assioma in materia (la fame sta peraltro, negli ultimi tempi, aumentando, ma questo è un altro discorso). E la prima immagine che viene in mente a sentir citare il punto 3, «Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne», è quella delle lunghe code ai pozzi, le madri col bimbo sulla schiena e il secchio in equilibrio sul capo che tornano lentamente al villaggio, talvolta per chilometri. La scarsità dell’acqua è insomma un tema globale e prioritario, con un effetto drammatico e immediato per la vita di miliardi di individui. Migliaia di pagine di rapporti scientifici sono state dedicate negli ultimi anni a dimostrare che le risorse idriche del pianeta diminuiscono; che questo calo è da considerare un effetto del riscaldamento globale; e che dunque quest’ultimo fenomeno si prepara, in assenza di adeguate contromisure, ad avere conseguenze non solo naturali ma sociali e politiche, causando desertificazione, siccità, carestie. migrazioni, conflitti. Sempre più. la disponibilità d’acqua sta diventando un indice della diseguaglianza tra Nord e Sud del mondo. Secondo lo stesso rapporto del Programma Onu per lo sviluppo 2006 citato sopra, il consumo pro capite di acqua negli Usa è di 575 litri, in Mozambico dieci. Il coordinatore del rapporto, il britannico Kevin Watkins, parlò a questo proposito di un’»apartheid dell’acqua». Se si guarda un diagramma dei consumi pro capite nel mondo, si vedono soli in testa gli Stati Uniti, seguiti a buona distanza dall’Australia (poco meno di 500 litri), con l’Italia al terzo posto con meno di 400, poi Giappone, Messico e via via gli altri. In fondo invece, sotto i cinquanta litri pro capite, è tutto un pigia pigia: Bangladesh, Nigeria, Burkina Faso, Cambogia, Etiopia... fino al Mozambico. Un fitto grappolo di Paesi che si contendono le ultime gocce. La scarsità richiede un’accorta economia delle risorse e l’imperativo vale dappertutto. Anche in Italia, dove una recente giornata di studi promossa a Roma dalla AgiciFinanza d’Impresa, società di consulenza alle aziende di pubblica utilità, si è occupata delle magagne della rete idrica nazionale. Lo scopo dell’iniziativa era promuovere l’uso dei materiali plastici nella manutenzione e nell’ampliamento della rete di distribuzione dell’acqua. Con sicura riduzione dei costi e degli sprechi (le perdite della rete idrica italiana sarebbero tre volte quelle della Germania e quattro volte quelle del Regno Unito) e dunque forte risparmio per gestori ed utenti. Propositi encomiabili, anche se la portata globale della crescente emergenza acqua fa pensare che il problema, più che nel tubo, stia nel rubinetto: il quale andrebbe aperto il meno possibile. PIETRO VERONESE