Paolo Valentino, Corriere della Sera 6/6/2008, 6 giugno 2008
WASHINGTON
Non è vero che «i Clinton non mollano mai» come vuole la mistica di famiglia e come lei stessa andava ripetendo. Hillary l’inevitabile, Hillary la predestinata per diritto dinastico annuncerà la sua formale abdicazione domattina, giurando obbedienza al nuovo Cesare democratico, il giovane principe nero che ha cambiato la storia d’America e ora vuol cambiare quella del mondo.
La fine di una dominazione durata quasi vent’anni. Il capolinea di una generazione che per amore e per forza è costretta a passare la torcia a quella successiva, incarnata da Barack Obama e dai suoi millennials.
La conclusione di una storia di attrazione e repulsione reciproca, che ha visto i Clinton trasformare e rendere vincente il partito democratico, ottenendo rispetto e riconoscenza, mai affetto e passione. «Sabato – scrive l’ex first lady in una email ai sostenitori – farò le mie congratulazioni al senatore Obama e dichiarerò il mio appoggio alla sua candidatura. stata una campagna lunga e combattuta, ma ho sempre detto che le mie differenze con lui sono piccole rispetto a quelle che abbiamo con John McCain e i repubblicani. Avevo promesso che l’avrei appoggiato fortemente, se avesse vinto la nomination. Ora sono pronta a mantenere quella promessa».
Se la vittoria ha sempre molti padri, mentre la sconfitta segue il destino degli orfani, quella di Hillary forse fa eccezione. Col senno di poi naturalmente, gli errori marchiani e i personaggi negativi che hanno contribuito a rovesciare il destino di una campagna ritenuta imbattibile ancora quattro mesi fa, formano già un elenco dettagliato.
E se la fine di ogni ambizione viene da tutti individuata nella notte del 6 maggio, quando il tracollo in North Carolina e una vittoria risicata in Indiana diffusero un’aria di rassegnazione nel campo clintoniano, Hillary in realtà aveva cominciato a perdere la nomination molto prima. Era successo in gennaio, fra le nevi del-l’Iowa, per esempio, il primo caucus che lei aveva snobbato e che invece mise le ali al fenomeno Obama. L’ha persa rimanendo impigliata per mesi nel messaggio dell’esperienza e della competenza, lei che in quanto donna era una rivoluzione di per sé, mentre Barack incendiava le platee con la parabola della speranza e del cambiamento.
L’ha persa mostrando ignoranza o disprezzo per il meccanismo delle primarie, puntando sui grandi Stati e ignorando i caucus, che gli uomini di Obama hanno invece sfruttato in pieno portando a casa quote di delegati, che alla fine hanno fatto la differenza.
Quanto ai protagonisti, è fin troppo facile fare il nome di Mark Penn, l’arrogante sondaggista e stratega, inviso a buona parte dello staff, dimessosi troppo tardi per riparare ai danni compiuti, non ultimo suggerendo la strategia aggressiva contro Obama. Ma il nome più difficile da additare è quello di Bill Clinton, l’ex presidente che doveva essere l’arma in più e invece ha finito per danneggiarla, specie fra gli afroamericani, con i suoi commenti sul voto di colore, lui che era stato definito «il primo presidente nero degli Stati Uniti ». Troppo presente, irascibile con i media, di fatto incontrollabile, Bill è stato come la sposa al matrimonio e il morto al funerale, spesso dimenticando che lo show era di sua moglie. Eppure, nell’ora del declino, Hillary Clinton è stata «una rivelazione », come dice Joe Klein di Time, «ritrovando non solo la voce, ma l’anima». Il suo appassionato finale è stato grandioso. La metamorfosi da favorita a ribelle ha avuto un effetto catartico. Difficile dire se nel suo destino ci sia il posto di candidato alla vicepresidenza, che resta fra le opzioni possibili. Obama non ha fretta. Alcuni fedelissimi di Hillary pensano non sia una buona idea. Ma un futuro da influente leader al Senato, sul modello seguito da Ted Kennedy dopo la sconfitta del 1980, resta garantito. Di più, nel discorso della nomination, Barack Obama ha detto: «Quando vinceremo la battaglia dell’assistenza sanitaria universale, Hillary Clinton sarà centrale in quella vittoria». Era la promessa di un ruolo?