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 2008  giugno 06 Venerdì calendario

Niente Ici sulla prima casa: il contribuente ringrazia. I Comuni meno: ai municipi (spesso anche a quelli di centrodestra) non piace l’idea di rinunciare a una delle poche leve fiscali a loro disposizione

Niente Ici sulla prima casa: il contribuente ringrazia. I Comuni meno: ai municipi (spesso anche a quelli di centrodestra) non piace l’idea di rinunciare a una delle poche leve fiscali a loro disposizione. Ma c’è anche un’altra questione. In teoria chi possiede immobili di lusso continuerà a pagare l’Ici per la prima casa. In pratica le cose non andranno proprio così. Almeno non per tutti. Perché il catasto è un colabrodo. E spesso gli attici di prestigio sono accatastati come catapecchie. A Roma, in tutta piazza di Spagna, di immobili in categoria A1 (signorile) ce n’è uno soltanto. A Milano, nel Quadrilatero della moda, tra via della Spiga e via Montenapoleone, sono frequenti gli appartamenti in categoria A4: popolari. Tutti alloggi che non pagheranno l’Ici (purché prima casa, naturalmente). Per rendere l’idea, nei capoluoghi di provincia le abitazioni signorili sono 22.861 (dati dell’Agenzia del territorio, l’ex catasto). Basta guardare la distribuzione per città per rendersi conto che qualcosa non torna: gli immobili residenziali di lusso (e quindi accatastati in categoria A1) in tutta Milano sono 961. Più o meno come a Trieste (987). A Roma sono 2.124 contro i 4.455 di Genova. E Roma ha 2.700.000 abitanti mentre Genova si ferma a 900 mila. Se la ricchezza cittadina si misurasse dal pregio degli immobili, allora Milano, con i suoi 1.274 immobili delle categorie A1, A8, A9 dovrebbe essere più povera di Roma (2.156). Ma anche di Torino (2.842), Napoli (3.866), Firenze (3.696) e Genova (5.263). Nei centri storici molti appartamenti di ringhiera sono stati trasformati in gioielli alla moda. Di categoria A5 (ultrapopolare). E i controlli? «Non abbiamo risorse dedicate – spiegava tempo fa la sede milanese dell’Agenzia del territorio ”. Nonostante ciò, raggiungiamo gli obiettivi che ci vengono posti da Roma. E cioè il controllo del 10 per cento degli immobili che vengono riaccatastati perché nuovi o ristrutturati». Tutto il resto del patrimonio non è sottoposto a verifiche o aggiornamenti. Da Roma l’Agenzia del territorio non commenta. Certo è che i 52.500 immobili A1, A8, A9 che continueranno a pagare l’Ici in tutto garantiranno all’erario 61 milioni di euro l’anno. Un’inezia rispetto al valore complessivo del colpo di spugna sull’Ici: 2,6 miliardi di euro. Intanto la riforma degli estimi catastali varata dal Dpr 138 del ’98 dopo dieci anni è ancora in fase di stallo. «Con il federalismo fiscale si interverrà anche sul catasto. Per velocizzarne le procedure. E’ uno degli impegni del governo», assicura il sottosegretario all’Economia Luigi Casero. E il classamento degli immobili? «Anche questo sarà un ambito di intervento». Per quanto riguarda la cancellazione dell’Ici: «E’ vero che alcuni immobili di pregio, tenuti a versare l’imposta, sfuggono al suo pagamento. Ma questo non inficia la bontà complessiva del provvedimento». I Comuni si candidano da anni a mettere le mani sul catasto. «Chi meglio di noi potrebbe fare ordine? I sindaci sono controllati direttamente da chi li ha votati. Se sbagliamo paghiamo alle elezioni», dice Fabio Sturani, primo cittadino di Ancona e vicepresidente dell’Anci, associazione dei Comuni italiani, con delega alla finanza locale. Un’eventualità che Confedilizia vede come il fumo negli occhi. Tant’è che l’associazione della proprietà immobiliare ha fatto (e vinto) un ricorso al Tar contro la devoluzione ai Comuni delle competenze catastali. «I municipi vogliono soltanto aumentare le rendite ai danni dei proprietari. Per loro la priorità non è certo portare ordine in catasto», taglia corto il presidente, Corrado Sforza Fogliani. «Premesso che l’Ici è un’imposta ingiusta e andrebbe abolita su tutti gli immobili – continua Sforza Fogliani – se proprio si volevano far pagare le abitazioni di lusso bisognava prendere come punto di riferimento un decreto del ’69 che definisce in maniera precisa le caratteristiche delle residenze al top». Nonostante le schermaglie, la riforma del catasto non è per il momento all’ordine del giorno. Più urgente, per i Comuni, è capire quanto arriverà da Roma sotto forma di compensazione delle entrate perse. E quando. A farsi sentire non sono solo i primi cittadini di centrosinistra. «Condividiamo l’abolizione dell’Ici: dev’ essere però sostenuta da una strategia complessiva per consentire ai Comuni di fornire i servizi necessari alla popolazione», ha detto nei giorni scorsi il sindaco di Roma, Gianni Alemanno (An). Per il sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana, «la cancellazione dell’Ici sulla prima casa andava preceduta da un solido federalismo fiscale. Per compensare questo mancato introito c’è il rischio che si debbano aspettare soldi da Roma. E questo è l’esatto contrario del federalismo ». A lamentarsi più di tutti sono i Comuni virtuosi che negli ultimi anni hanno abbassato l’Ici sulla prima casa. «La nostra morigeratezza non è stata premiata – dice in sostanza Sturani dell’Anci ”. E che i Comuni abbiano fatto il massimo per ridurre la pressione fiscale sulle prime case è nei fatti: nel 2007, rispetto al 2006, l’Ici media è scesa dal 5,13 al 5,04 per cento». «Nessun problema – risponde il sottosegretario all’Economia Luigi Casero ”. L’Anci potrà dire la sua sulla distribuzione delle risorse in un tavolo con il ministero degli Interni. Volendo potrà anche proporre criteri diversi. Certo, prima si troverà un accordo e prima si potranno distribuire le risorse». Un’altra miccia pronta ad accendersi è quella dell’esenzione Ici per le case popolari. «Misura ottima per i bilanci della aziende che gestiscono l’edilizia residenziale pubblica. Ma anche in questo caso i bilanci dei Comuni saranno messi a dura prova», fa notare Carmela Rozza, consigliera comunale del Pd a Milano. Un aspetto, questo, ancora tutto da approfondire. Rita Querzé