Sergio Bocconi, Corriere della Sera 6/6/2008; Francesco Manacorda, La Stampa 6/6/2008, pagina 28, 6 giugno 2008
DAL NOSTRO INVIATO
FIRENZE – Elogia Giulio Tremonti, concorda con Mario Draghi, rassicura Giovanni Bazoli, sprona Franco Bernabé, scherza su «Belzebù» Giulio Andreotti, bacchetta le banche e i manager superpagati, colpisce i petrolieri e parla di finanza, politica, stock option e consumatori, giovani e veline, e anche delle sue vicende giudiziarie.
Per essere un banchiere riservato mercoledì sera Cesare Geronzi, presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, ha sorpreso. Quando sale sul palco sembra spaesato: di fronte a lui ci sono 250 liceali dell’Osservatorio giovani- editori. Non è la sua prima volta, ma l’ultimo incontro con i ragazzi risale a tre anni fa. Prende comunque in fretta le misure e parla per un’ora e mezza. Forse è la sua intervista più lunga, senz’altro è particolarmente «piena»: Giulio Anselmi, direttore de La Stampa, non tralascia nulla, tocca gli argomenti più importanti e anche quelli più delicati. E i giovani gli vengono dietro, senza timori e con tanta curiosità.
Il colloquio spazia così dai subprime al caro-petrolio. uno studente a chiedere: possibile che il barile aumenti sempre anche se l’euro è forte sul dollaro? Sembra una domanda ingenua. Ma Geronzi non la considera tale. Anzi: «Io la penso come lei e, per fortuna, la pensa così anche il ministro Tremonti». Il quale «certamente, alcune discrasie vorrà eliminarle. E secondo me fa bene a farlo». Il riferimento è alla Robin Hood tax sugli extra profitti dei petrolieri proposta dal ministro dell’Economia e al «tavolo» sulla benzina con produttori, consumatori e sindacati aperto dal ministro dello Sviluppo Claudio Scajola. Per l’avvio dell’intervista Anselmi sceglie invece un argomento più vicino al curriculum del banchiere: la crisi finanziaria.
Geronzi si rifà alle «Considerazioni finali» di Draghi. Governatore troppo ottimista? «No. stato, come si conviene, molto prudente». Secondo il presidente di Mediobanca «non è finita, ci saranno ripercussioni per tutto l’anno. Però oggi siamo tutti più vigili e il sistema bancario italiano ha tenuto botta: negli ultimi 10 anni è il migliore, si è riorganizzato e ristrutturato ». Geronzi sa però che gli istituti di credito sono ai minimi di popolarità. E ammette: «Dobbiamo prenderci la colpa di essere stati distratti nel rapporto fra banca e cliente. Il sistema non ha meditato sui danni reputazionali che derivano dal malessere del consumatore». Concorda con Draghi sulla sostituzione della commissione di massimo scoperto. E spende un altro dei diversi elogi al governo: l’accordo con Abi sui mutui «è positivo. Non è un ripagamento immediato a ciò che la demagogia chiama maltolto. Ma tutti hanno qualcosa in più da spendere». Tra l’altro, annota, sbaglia chi pensa a Draghi e Tremonti «separati »: «Sono due persone che lavorano bene. Perché non possono farlo bene insieme?» I banchieri saranno distratti. Ma, «provoca» l’intervistatore, strapagati. Nella domanda c’è un capitoletto rivolto a Geronzi, che dopo la fusione della «sua» Capitalia con Unicredit ha ricevuto 20 milioni extra. Lui risponde così: «Concordo con le critiche alle alte remunerazioni della classe dirigente. Io mi ritengo esente: non ho mai voluto appartenere alla categoria dei destinatari di stock option perché almeno una persona deve avere indipendenza di giudizio e di tornaconto al momento di prendere una decisione. La mia remunerazione è più bassa di quella dei miei colleghi. L’anno scorso ho ricevuto un riconoscimento alla carriera per 25 anni di lavoro». Potrebbe fermarsi qui, ma vuole dare una stoccata in più ai banchieri che «evocano la teoria della creazione di valore. E’ sbagliato questo credo assoluto, si pensa che il manager vale tanto più è pagato. Ci si dimentica che le aziende hanno il dovere di creare valore ma anche di pensare alla società che le tiene in vita».
Gli stakeholder magari sono poco attraenti. Ma è così anche per la politica? Geronzi è la persona giusta sul tema: sono noti i rapporti stretti e trasversali con questo mondo. Lui è il Belzebù che lega finanza e potere? Sorride: «Non mi raffiguro così. Il riferimento è ad Andreotti. Io sono una cosa piccina. Non ho fatto banca e politica nello stesso tempo. Sapesse Roma com’è attraversata da tanti banchieri di peso e come sono ascoltati nei corridoi dove si fa la politica...». Geronzi dice che la politica l’ha certo «incontrata ». Parla delle riforme che hanno «disboscato la foresta pietrificata» del credito: la legge Amato-Ciampi, le trasformazioni statutarie degli istituti di diritto pubblico volute da Beniamino Andreatta. E racconta della «piccola Cassa di risparmio di Roma», che ha diretto dall’83 e «ha avviato le privatizzazioni ». Poi le acquisizioni e aggregazioni che hanno costruito Banca di Roma e Capitalia. Compresa quella della bresciana Bipop: «Pensa che in un contesto ricco e distaccato dalla politica non abbiamo dovuto negoziare con la politica?».
Non sarà Belzebù, ma il presidente di Mediobanca è uno dei banchieri più potenti d’Italia. Lui e Bazoli, presidente di Intesa-Sanpaolo, sono i «Duellanti» del credito? «Niente di più inverosimile. Il rapporto dura da anni. Ci sono state valutazioni diverse ma hanno sempre prevalso il buonsenso e la saggezza di chi ha il dovere di essere saggio». Sì, c’è stato un «disappunto » di Bazoli. Quando «riteneva che Unicredit unito con Capitalia avesse uno strapotere su Mediobanca, Generali e Rcs. Il dialogo è stato sereno.
Ma i fatti hanno contato di più: hanno portato a verificare l’assoluta indipendenza mia e la non volontà dell’amministratore delegato di Unicredit di attuare prevaricazioni. Ciò ha rinsaldato ancor più il rapporto e, piaccia o non piaccia, dato stabilità e solidità al sistema».
Oggi Mediobanca e Intesa-Sanpaolo giocano le partite centrali. Come Telecom. Geronzi dice: «Io penso positivo. Certo, la situazione è complessa. Ci sono state situazioni anomale non incidentali che hanno creato problemi senza riferimento con l’economia aziendale». Spende un tributo a Marco Tronchetti Provera: «Lo apprezzo molto come manager e uomo. Dopo la sua uscita c’è stata molta confusione e la confusione non aiuta a capire i problemi. Oggi la questione non è fare investimenti, la struttura finanziaria non lo consente. il momento del riordino organizzativo e dei costi. E nessuno meglio di Bernabé può farlo. C’è stato un primo segnale, forse piccole cose, ma immaginare l’uscita di 5 mila persone da una struttura come Telecom in un paese come il nostro è molto importante». O come Alitalia: «Tremonti ha il diritto di individuare una scelta. Mediobanca finora non se n’è interessata ma poi, in un contesto ben definito, noi facciamo parte del sistema. E il sistema paese deve reggere ».
La parola sta per passare agli studenti. Ma se l’avvio dell’intervista è stato soft, il finale è «hard»: le vicende giudiziarie, legate ai casi Cirio, Parmalat e Italcase. Geronzi dice che «se vivessimo in un paese nel quale le responsabilità si accompagnano alle funzioni e alle deleghe utilizzate, le mie vicende giudiziarie non esisterebbero. In nessuno dei casi si può provare che io abbia non solo fatto ma concorso a fare alcunché. Se la mia persona è necessitata come presenza per dare risalto a fatti che di per sé hanno già risalto, ci sarà "un giudice a Berlino" che riconoscerà anche questo». E conclude, dopo aver ricordato alcuni episodi contestati dai magistrati relativi alla sua presidenza in Banca di Roma: «Ognuno deve portare la sua croce, e se mi è stata destinata questa la tengo ben stretta. Altre sono le croci che fanno male. Nessuno troverà mai un pezzo di carta che potrà avvalorare ipotesi e disegni. Che sono ipotesi e disegni anche se a volte fanno male».
I ragazzi sono forse un po’ storditi: i temi sono difficili. Ma fanno domande sul loro futuro, chiedono suggerimenti, rimproverano la politica disattenta: si sentono «mortificati» e «discriminati » come ha detto Draghi. Geronzi invita l’«Osservatorio» di Andrea Ceccherini a occuparsi anche dei giovani che lì non ci sono, che hanno meno opportunità, spesso inseguono il successo facile, si fanno «scorticare » per un posto da «velina». E in sintonia con il presidente di Rcs Piergaetano Marchetti si rivolge alla platea e dice: «Battete i piedi quando è necessario, approfondite ciò che accade intorno a voi, siate curiosi. E riflettete su cosa potete fare di più per il vostro futuro e la società».
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La Stampa 6/6/2008
Sul prezzo del petrolio esistono «alcune discrasie» che il ministro dell’’Economia «vuole eliminare e secondo me fa bene a farlo». Promosso dunque Giulio Tremonti, per la sua «Robin tax» sui petrolieri, ma anche per l’accordo con le banche sui mutui: «Un fatto positivo». Approvazionepure per il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che sulla crisi finanziaria «è stato, come si conviene a un banchiere centrale, molto prudente» anche se, tra subprime e affini, «è chiaro che i problemi non sono finiti».
Così parla Cesare Geronzi, presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, oggi forse il banchiere più influente del panorama nazionale. Intervistato pubblicamente mercoledì sera a Firenze dal direttore de La Stampa Giulio Anselmi, per un incontro dell’Osservatorio Giovani-Editori - sul palco anche il presidente di Rcs Piergaetano Marchetti e quello dell’Osservatorio Andrea Ceccherini - Geronzi si propone come banchiere di sistema e al centro del sistema. Come quando parla di Alitalia. Sulla compagnia di bandiera cita ancora Tremonti: «Credo che si debba riconoscere al ministro dell’Economia, come portatore del pacchetto di maggioranza, il diritto a individuare una scelta». Poi spiega che «Mediobanca viene tirata molto in ballo e questo ci inorgoglisce... ma la verità è che noi non ce ne siamo finora interessati». Però... «in un contesto ben definito, nel quale il ministro dell’Economia ha ipotizzato il disegno da realizzare, anche con la collaborazione di Banca Intesa», Mediobanca potrebbe fare la sua parte perché «noi facciamo parte di un sistema, non siamo fuori dal sistema. Il sistema paese deve reggere». Sull’altra grande «incompiuta» aziendale, quella di Telecom, il banchiere ha idee chiare, a partire dal pieno sostegno all’ex presidente Marco Tronchetti Provera , per il quale «ho grande apprezzamento come manager oltre che come uomo». Nella Telecom di Tronchetti, spiega «ci sono state situazioni anomale non incidentali, ma che hanno creato problemi che non hanno nessun riferimento all’economia aziendale». Adesso «la situazione è complessa», ed «è tempo di mettere mano ai problemi. Nessuno meglio di Franco Bernabé può farlo».
Geronzi banchiere di sistema, ma non - si scrolla di dosso l’etichetta con qualche fastidio - «banchiere politico». «In non sono un uomo che ha fatto banca e al tempo stesso politica, tutto il contrario», risponde ad Anselmi che evoca anche la figura di Andreotti. «Certo, da banchiere ho incontrato la politica ma dovreste sapere - aggiunge con malizia - Roma com’è attraversata da banchieri di peso che non stanno a Roma, e come sono ascoltati in quei corridoi dove si fa la politica». Così come archivia i suoi problemi giudiziari - ultimo un rinvio a giudizio per il caso Parmalat - con frasi secche: «Se noi vivessimo in un paese nel quale le responsabilità si accompagnano alle funzioni e alle deleghe che vengono utilizzate, le mie vicende giudiziarie non esisterebbero. In nessuno dei casi si può provare che io abbia non solo fatto, ma concorso a fare, alcunché».
E le banche e i suoi colleghi banchieri. Che opinione ne ha il presidente di Mediobanca? Sul mondo dei credito e soprattutto sui suoi clienti arriva - un po’ a sorpresa - un’autocritica: «E’ vero, il sistema bancario ha fatto moltissimo, si è ristrutturato. Ma non ha meditato abbastanza sui danni reputazionali che derivano dal malessere dei consumatori». E proprio su quella commissione di massimo scoperto evocata da Draghi come sintomo di ciò che non va nel mondo del credito, «è in tutta evidenza non è sostenibile. E’ necessario ripensarla, è necessario che il sistema faccia i conti con i propri clienti. Di più: «Siamo stati distratti sul rapporto banca-cliente, adesso è tempo di farlo».
Nella sua critica, Geronzi sembra comprendere anche i banchieri più giovani: «Più il manager è pagato, più vale: questo è ciò che s’insinua nelle giovane classe dirigente. Una cosa che va corretta perché non si può assolutamente pensare che l’azienda, una volta creato valore per sè e per i propri azionisti, abbia esaurito i propri compiti». Visioni lontane mille miglia, insomma, da quelle dei banchieri tutti orientati al mercato finanziario, così come distante da loro il presidente di Mediobanca si sente sul capitolo dei mega-stipendi. «Personalmente - dice - mi ritengo esente: non ho mai voluto appartenere alla categoria dei destinatari di stock option, non perché non allettato, ma sempre perché ho sempre ritenuto che almeno una persona deve avere indipendenza di giudizio e tornaconto al momento di prendere una decisione». E i 20 milioni di premio che il cda di Capitalia ha ritenuto di versargli lo scorso anno dopo la fusione con Unicredit? «Era una liquidazione dopo venticinque anni di lavoro nella stessa azienda e non la mia retribuzione che è sempre stata molto più bassa». Dove invece i rapporti sono ottimi, assicura, è con l’altro grande banchiere italiano suo omologo e coetaneo: quel Giovanni Bazoli che sta a capo del consiglio di sorveglianza di Intesa-Sanpaolo: «Niente di più inverosimile», che definirli avversari. Anzi, «il nostro rapporto dura da anni e abbiamo sempre fatto prevalere il buonsenso e la saggezza di chi ha il dovere di essere saggio». E per il banchiere di sistema la conclusione è quasi obbligata: «E’ un rapporto che, piaccia o non piaccia, ha determinato una solida stabilità del sistema».
Francesco Manacorda