Varie, 4 giugno 2008
MARTINEZ
MARTINEZ Antonello Oristano 18 febbraio 1954. Avvocato. «’Sono la mamma di Giovanni, il compagno di pallone del suo bambino. Ci aiuti, la prego”. Alle 7 del mattino del 15 marzo, un sabato, una madre disperata chiama Antonello Martinez, avvocato d’impresa, studio con 65 legali in centro a Milano e un figlio che gioca a calcio nella squadra di Basiglio. ”Ieri sera i servizi sociali ci hanno portato via Giovanni e Giorgia – continua la donna – Giuro che non hanno fatto niente”. Da quel momento la vita di Martinez – ”lo squalo dei contratti” – prende una piega inaspettata. Smette di dedicarsi a firme milionarie e si concentra sui fratellini di Basiglio, accusati da un disegno osé di fare giochi a sfondo sessuale. Studia le carte, combatte contro tutto e tutti. Ci mette la faccia, gli occhi scuri che non temono di rivelare tutta la rabbia che c’è dietro. Perde due mesi di lavoro e quattro chili. Ma riesce a riportare i due bimbi a casa. E a ”scagionarli”. ”Raramente – dice – mi sono sentito così felice”. Un abbraccio – con Giorgia e Giovanni al momento del loro rientro a casa dopo 62 e 68 giorni in comunità – ”mi ha ripagato di tutto”. Della fatica, ”del pressappochismo degli assistenti sociali”, della burocrazia. Perché in tutta questa vicenda, racconta Martinez, ”mi sono accorto subito che qualcosa non andava”. A partire dal provvedimento (articolo 403) preso il 14 marzo dal Comune di Basiglio in base alla denuncia di una maestra che indicava la bambina (9 anni) come autrice della vignetta. Decreto urgente: la sera stessa i due fratelli vengono prelevati da casa. Senza essere mai sentiti, come i genitori. ”Il 403 – spiega – è lapidario. Per chi fa l’avvocato da tanti anni non è difficile riconoscere un provvedimento preso alla leggera”. Ed è così che anche un legale di lungo corso come Martinez riesce a indignarsi, a scontrarsi con il Tribunale per i minorenni di Milano che il 15 aprile conferma l’allontanamento dei bimbi senza aver prima avviato una perizia grafologica sui disegni incriminati. ”Com’è che noi ci abbiamo impiegato un’ora a nominare un perito e a dimostrare che quel tratto non era di Giorgia e a loro sono serviti 41 giorni?”. La certezza: ”Se non fossimo intervenuti con tanta forza i fratellini sarebbero stati ”dentro’ altri due anni». Perché in fondo quei 68 giorni di attacchi, peripezie, di disguidi burocratici (il ritorno del ragazzo è stato posticipato per colpa di un educatore arrivato in ritardo alla visita psichiatrica) ”sono niente in confronto ai tempi della giustizia minorile”. Certo, ”non possiamo generalizzare, ci sono assistenti sociali e giudici che fanno il loro dovere in modo esemplare, ma la posta in palio qui è troppo alta. Il magistrato dovrebbe intervenire solo se i minori corrono pericoli immediati” [...] Martinez ricorda bene ”i momenti di rabbia e impotenza vissuti in quei due mesi”. Uno dei tanti: ”Quando ci hanno detto che l’intervento dei media era negativo per i bambini. E invece Giovanni ha ripreso a mangiare solo quando ha saputo che io e suo padre stavamo facendo il diavolo a quattro per riportarlo a casa”. L’episodio più grave: il 23 maggio, il giorno del ritorno a casa di Giovanni: ”Hanno trattenuto per due ore e mezzo il papà obbligandolo a scrivere che non avrebbe portato il figlio alla festa di bentornato che avevamo organizzato per lui. In quel testo c’è la sintesi di tutta la cattiveria subita dalla famiglia”. Un uomo cambiato. Martinez lo confessa: «Io non sono una mammola, anzi. Ma ora è aumentato il mio istinto protettivo nei confronti dei più piccoli: queste creature spesso sono affidate a persone non all’altezza del loro compito”. E i fratellini? ”Stanno meglio. Ma quando il grande è in crisi, suo papà me lo porta. Passiamo un’ora insieme, io lui e mio figlio. E così si tranquillizza, passa il terrore di dover tornare in comunità”. Un ragazzo spaventato. Ma in gamba. Fin dall’inizio aveva individuato il suo angelo custode. Quella sera del 14 marzo, il giorno del suo compleanno, appena prima di salire sulla macchina dei servizi sociali, i vestiti nello zaino, Giovanni aveva sussurrato alla mamma: ”Chiama il papà di Valentino. Lui ci aiuterà”» (Annachiara Sacchi, ”Corriere della Sera” 4/6/2008).