Milano Finanza 31 maggio 2008, Paolo Panerai, 31 maggio 2008
ORSI E TORI
Milano Finanza 31 maggio 2008.
A distanza di due anni e mezzo dalla sua nomina a governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi ritrova come interlocutore a Palazzo Chigi colui che in una calda estate del 2005 sulla Costa Smeralda lo scelse per succedere ad Antonio Fazio.
Quell’estate fu calda per l’allora banker di Goldman Sachs non solo per la candidatura che si stava delineando al vertice dei banchieri italiani, ma anche per come si svolsero i fatti. Draghi era anch’egli in vacanza fra Porto Rotondo e Porto Cervo ed era in contatto con il banchiere che si apprestava a fare da garante per lui presso il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Stava per essere fissata la data della cena a Villa Certosa e il futuro governatore ne approfittava per fare il bagnante. Ma l’insidia degli scogli della costa sarda gli giocò un brutto scherzo: un taglio profondissimo sotto il piede che tinse di rosso un ampio specchio di mare, visto che proprio nella pianta del piede si concentra un grande afflusso di sangue.
Draghi arrivò quindi zoppicando all’incontro decisivo con il presidente Berlusconi, verso il quale si può dire che non nutrisse speciali simpatie vista la lunga militanza, sia pure da tecnico, a fianco dell’ex governatore, ex presidente del consiglio ed ex ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, prima della sua nomina a presidente della repubblica. Ma a far scattare l’istintiva cordialità e simpatia di Berlusconi c’era il banchiere che faceva per così dire da garante e la conversazione, nonostante il forte dolore sotto il piede del futuro governatore, filò fluida e positiva.
Può darsi che per il suo carattere molto freddo, Draghi non si sia mai posto la domanda se oggi Berlusconi sia o meno soddisfatto di ritrovarselo a capo della Banca centrale. Ma, molto probabilmente, la domanda se l’è posta lo stesso Berlusconi. E che cosa può essersi risposto il presidente del consiglio?
Sicuramente è contento sul piano del prestigio internazionale che Draghi ha ridato alla Banca centrale italiana, visto anche il prestigioso incarico che i colleghi presenti nel Fondo monetario internazionale gli hanno affidato di guidare il comitato di analisi della grave crisi finanziaria conseguita al crollo dei mutui subprime. Per questo incarico ha giocato a favore di Draghi sia la precedente esperienza, quando era direttore generale del Tesoro, di presidente dell’interim committee, sia l’esperienza che ha fatto dall’altra parte della barricata, come leader in Europa di una banca d’affari del peso di Goldman Sachs.
Sicuramente Berlusconi ha apprezzato molto anche la dura posizione che Draghi ha assunto nei confronti dell’inefficienza e della scarsissima produttività della magistratura nel testo delle Considerazioni finali lette il 31 maggio dell’anno scorso. stata musica, per le orecchie di Berlusconi, l’analisi dei dati sulla lungaggine dei processi e quindi sulla sostanziale ingiustizia che cittadini e aziende subiscono in Italia a causa di un regime di autogestione della magistratura che non consente nessuna valutazione non sul merito delle sentenze ma sulla quantità di sentenze che i giudici producono, godendo di regimi privilegiati come oltre 40 giorni di ferie all’anno.
E, altrettanto sicuramente, il presidente del consiglio ha apprezzato il sostanziale rifiuto che Draghi ha posto a chi lo candidava come capo di un governo tecnico sì da evitare il ricorso alle elezioni dopo l’inevitabile crisi del governo Prodi.
Ma, inutile nasconderlo, ci sono anche comportamenti o valutazioni usciti da via Nazionale che hanno entusiasmato assai meno il presidente del consiglio. In primo luogo, il tentativo di rendere meno solida la cosiddetta galassia del Nord, cioè il sistema Mediobanca-Generali, impedendo a chi sedeva nel consiglio di sorveglianza della banca di poter avere un ruolo anche nella controllata di Trieste.
E ancora il tentativo di indurire le regole di rispettabilità per i banchieri che hanno subito condanne. La solidarietà di Berlusconi verso gli imprenditori e i banchieri che hanno subito condanne, spesso frutto di scelte anche politiche dei giudici, è fuori discussione e quindi il presidente del consiglio non ha trovato coerente che, mentre un anno fa il governatore esprimeva giudizi severi appunto sull’inefficienza della magistratura, poi ipotizzasse di rendere di fatto impossibile la permanenza in carica di banchieri che subiscono una condanna pur essendo riconfermati nella fiducia dagli azionisti della banca stessa.
Sono questi due punti che non sono mai esplosi pubblicamente, ma chi ha rapporti con il governatore Draghi e il presidente Berlusconi sa che, sia pure a distanza, i messaggi non sono stati di caloroso consenso, anzi.
Come sarà, quindi, la convivenza nuova fra capo del governo e capo della Banca centrale, pur essendo sancita l’indipendenza di via Nazionale dal suo statuto e dalla riforma varata proprio dal precedente governo Berlusconi?
Nessuno dubita che l’abilità gestionale di Draghi, il suo senso dello stato oltre che, legittimamente, del suo valore, consentiranno un dialogo non solo civile ma anche di alto profilo. Certamente, se si dovessero trovare a parlare delle sciagurate vicende di Telecom, di come l’entrata a gamba tesa di Romano Prodi nella vicenda attraverso il consulente Angelo Rovati abbia rappresentato, al di là del merito, un’umiliazione per tutta la classe imprenditoriale italiana, si troveranno facilmente d’accordo anche nel criticare il ruolo di Claudio Costamagna, ex collega, anzi teoricamente superiore di Draghi in Goldman Sachs e occulto consulente del precedente presidente del consiglio proprio per la vicenda Telecom. Se fosse per Draghi, Costamagna non dovrebbe avere avuto neppure un ruolo nella fusione Capitalia-Unicredito, tenuto conto che la stessa nasceva con la sua benedizione e il governo non avrebbe dovuto avere nessun ruolo nella vicenda, come poi alla fine non ha avuto.
Ma c’è un altro non insignificante punto di contatto fra Berlusconi e Draghi. Per uno strano gioco del destino e sempre che il Cavaliere non abbia incidenti di percorso con i suoi alleati, egli sarà a capo del governo quando, fra tre anni e mezzo, si porrà la questione se rinominare o meno Draghi a via Nazionale per altri sei anni, in base appunto al nuovo statuto della banca varato sotto la giurisdizione del precedente governo di centro-destra.
A quell’epoca la legislatura sarà sul finire e probabilmente davanti a Berlusconi ci potrà essere la prospettiva del Quirinale, anche se la scadenza del presidente, Giorgio Napolitano, è successiva. Insomma, li accomuna la chance di rimanere in carica per Draghi o di salire al massimo soglio delle istituzioni della repubblica per Berlusconi. Può darsi che l’eclettismo di Draghi lo porti addirittura a non desiderare la conferma, ma certo, essendo lui la massima istituzione finanziaria ed economica del paese e Berlusconi aspirando alla massima istituzione politica, avranno i destini incrociati. Un buon motivo per valorizzare in tutti questi anni il loro senso dello stato e collaborare nella maniera più aperta e feconda per far rialzare l’Italia.
Sempre che fra i due non si frapponga la profondità intellettuale del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, le cui critiche durissime furono proprio all’origine del dimissionamento di Fazio. Ma, in fin dei conti, il laico e liberale Tremonti è assai più vicino a Draghi, che parla molto spesso lo stesso linguaggio, piuttosto che al cattolico Fazio. L’oroscopo, quindi, prevede almeno per i prossimi mesi se non una luna di miele, certamente un dialogo fluido e costruttivo fra Palazzo Chigi e via Nazionale.
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Non è costume di questo giornale rivendicare meriti per quanto accade dopo quanto si è scritto su queste colonne. Non lo abbiamo fatto neppure nella vicenda Fiorani-Furbetti del quartierino, nella quale le rivelazioni di MF/Milano Finanza non solo sono state fatte in anticipo di alcuni mesi rispetto agli altri media, ma hanno anche consentito alla magistratura di rintracciare il testimone chiave per incastrare quella banda di delinquenti. Figuriamoci se vogliamo vantarci di essere stati gli unici a sostenere che l’intervento di Intesa Sanpaolo in Alitalia non solo era il progetto più serio ma anche più utile al paese. A distanza di non pochi mesi, da poche ore c’è la conferma che la cordata italiana auspicata (in ritardo) da Silvio Berlusconi ha bisogno assoluto del ritorno in campo della prima banca italiana. Devono, Corrado Passera, Enrico Salza e Gaetano Miccichè, avere solo il tempo di rifare i conti visto, fra l’altro, che il prezzo del petrolio nel frattempo è passato da 77 a 130 dollari al barile. Ma rifatti i conti, Intesa Sanpaolo potrà dimostrare, come è avvenuto nel caso Fiat, come grandi banche nazionali, in questo caso la più grande, possano essere fondamentali per la strategia economica del paese. (riproduzione riservata)
Paolo Panerai