Il Sole 24 Ore 30 maggio 2008, Angelo Mincuzzi, 30 maggio 2008
Bulgaria ostaggio delle cosche. Il Sole 24 Ore 30 maggio 2008 SOFIA. Dal nostro inviato Georgi Stoev sapeva di essere un dead man walking, un "morto che cammina"
Bulgaria ostaggio delle cosche. Il Sole 24 Ore 30 maggio 2008 SOFIA. Dal nostro inviato Georgi Stoev sapeva di essere un dead man walking, un "morto che cammina". «In questo ambiente non esistono minacce – aveva profetizzato cinque mesi fa in un’intervista alla radio nazionale bulgara – i boss agiscono e basta. Hanno ignorato il mio libro ed è il primo segnale che mi uccideranno». Stoev ha avuto ragione. Alle 12,53 del 7 aprile, un lunedì, due killer lo hanno atteso all’uscita del Pliska Hotel, alla periferia di Sofia, e gli hanno vomitato addosso tre colpi di pistola. Dopo sette ore di agonia, il cuore dello scrittore ha cessato di battere. Ma in Bulgaria Georgi Stoev non è morto davvero. Basta girare tra le librerie del centro di Sofia o tra le bancarelle di volumi usati sulla Slaveykov Square per rendersene conto: qui il suo viso da 35enne un po’ sovrappeso, gli occhi scuri, il sorriso accennato, continua a incrociare lo sguardo dei curiosi. Perché Stoev adesso non è più solo l’ex guardia del corpo di un boss della mafia che chiude con il passato e rivela nei suoi romanzi nomi e segreti dei clan bulgari. Stoev, ora, è un simbolo. Il simbolo della lotta al volto nascosto della Bulgaria. Sono passati quasi due mesi da quel 7 aprile e il Tsarigradsko Shose Boulevard, un vialone immenso che dal centro della capitale conduce all’aeroporto è gremito di folla. C’è la fermata degli autobus, quella dei taxi e c’è il Pliska Hotel, un palazzone dai vetri azzurri all’interno del quale Stoev aveva appena finito di discutere del suo nuovo libro. Anche Dimitar è lì come sempre. Come quel giorno. Sulla sua bancarella sono allineate cianfrusaglie di scarso valore. «Sì, li ho sentiti quegli spari – sussurra – ma non ho visto niente. Nessuno qui ha visto. Ma perché queste domande?». Diffidenza. Paura. Sembra di essere nella Locride o in una strada di Secondigliano. Una cappa di omertà cala improvvisamente quando si cerca di bucare la patina dell’ufficialità, per capire come possa accadere che un uomo venga ammazzato in pieno giorno a Sofia, tra la folla, da killer a volto scoperto. Già, come può essere? Nel suo ufficio a cinque minuti di strada dal Pliska Hotel, nella palazzina di stampo sovietico del Center for the study of democracy (Csd), un think tank che grazie ai fondi dell’Unione europea e degli Stati Uniti sforna analisi approfondite sulla criminalità e la corruzione in Bulgaria, Tihomir Bezlov prova a spiegarlo. Bezlov è un sociologo. Elenca cifre sul mercato della droga (234 milioni di leva all’anno, circa 117 milioni di euro), sul racket della prostituzione (almeno 1,8 miliardi di euro dalla gestione delle bulgare sparse ovunque in Europa, qualcosa come il 7,2% del Pil del Paese), sul mercato delle auto rubate e sui traffici di reperti archeologici. Illustra la cartina che divide la Bulgaria e la capitale Sofia in tante fette di torta, ognuna controllata da un clan. Ma quando gli si chiede chi siano i veri burattinai, Bezlov sorride. Nessuno qui pronuncia apertamente quei nomi. E allora bisogna chiedere altrove, tra chi – sfidando la paura e con la garanzia dell’anonimato – accetta di svelare spezzoni di verità. E poi mettere assieme le tessere e ricostruire un puzzle maleodorante che sa di intrecci con i servizi segreti, eredità del vecchio regime, politici sotto ricatto, giudici e poliziotti corrotti, antichi sodalizi cementati nelle scuole di karate e di wrestling del Partito comunista ed ex militari divenuti, oggi, chi boss della criminalità, chi politico potente, chi rispettato uomo d’affari. La Bulgaria è per certi aspetti una sbiadita imitazione della Russia degli oligarchi e dell’Italia della mafia e delle tangenti. Seduto al tavolino del bar di una via alla moda di Sofia, l’investigatore parla con un certo nervosismo: «Il mio nome non deve scriverlo». Poi racconta, come un fiume in piena: «I gruppi criminali che in Italia rappresentano l’anti-Stato, qui sono dentro lo Stato. La verità è che la nomenklatura, quella che conta, è la stessa del regime comunista, quando i servizi segreti facevano affari con i criminali per finanziare operazioni sporche e movimenti politici all’estero. Ora quegli uomini sono nelle posizioni chiave del Paese e sono ricattabili». Un esempio? Le privatizzazioni. Nel primo anno di "svendita" delle imprese statali, il 95% delle aziende privatizzate sarebbe finito in mano a ex membri dei servizi segreti, molti dei quali oggi sono ricchi imprenditori. Qui, come in Russia, li chiamano oligarchi e sono loro ad avere in mano il Paese. I più potenti sono una decina, poi ci sono quelli locali. Come si sia arrivati a questo punto, l’investigatore lo riassume con un gesto e una parola: corruzione. «Si guardi attorno. Quando il capo della polizia di tutta la Bulgaria guadagna 800 euro al mese e un poliziotto tra i 150 e i 200, mentre una ricchezza spropositata si concentra nelle mani di pochi individui, è facile capire come la corruzione trovi un humus fertile». Ma se anche questo è noto, perché boss, politici corrotti e uomini d’affari girano impunemente a bordo dei loro Suv scortati dalle guardie del corpo? La domanda andrebbe girata al Procuratore generale della Bulgaria, Boris Velchev, che quando tre anni fa assunse l’incarico promise mano dura contro la criminalità. Ma nel palazzone di pietra bianca, al centro di Sofia, Velchev fa sapere di essere troppo occupato per rispondere. Non resta che tornare da Tihomir Bezlov del Center for the study of democracy: «Guardi qui, la mappa dei boss della Bulgaria. Troverà solo i soprannomi dei capiclan. Non possiamo scrivere i loro veri nomi, e sa perché? Perché, a parte sporadici casi, non ci sono inchieste che li inchiodano. Per la legge sono puliti». come se in Italia si potesse scrivere solo "zu binnu" e non Bernardo Provenzano. un humus dal quale cominciano a emergere tracce della Camorra e della Stidda di Gela, soprattutto nel riciclaggio di denaro sporco, mentre gli inquirenti italiani e l’Europol sanno da anni dei rapporti tra ’ndrangheta e mafia bulgara: «Sono gli emergenti nel traffico di eroina – dice un investigatore italiano dell’anti-droga – una delle tre rotte balcaniche dell’oppio afghano passa di qui». Ma il cancro della criminalità non potrebbe sopravvivere senza assorbire linfa vitale dal mondo della politica. E in questi giorni i palazzi del potere di Sofia sono scossi da uno scandalo dilagato come un terremoto. Uno scandalo che ha travolto il ministro dell’Interno, Rumen Petkov, 47 anni. Petkov è stato costretto a lasciare l’incarico, su pressioni non tanto velate della Ue, dopo la diffusione di intercettazioni che dimostravano contatti tra ufficiali del ministero ed elementi sotto il controllo della polizia. Lo stesso Petkov è accusato di aver avuto un incontro con i Galevi Brothers, due boss della città di Duplica ed ex poliziotti del servizio anticrimine del ministero (indagati ma mai condannati), per chiedere loro una pax mafiosa in vista dell’ingresso della Bulgaria nella Ue avvenuto nel 2007. Le pressioni internazionali hanno convinto il premier socialista, Serghei Stanishev, 42 anni, a rimpiazzare altri tre ministri, a nominare un vicepremier per la gestione dei fondi strutturali Ue e a rimuovere 13 viceministri. sicuramente un segnale importante, ma gli effetti sono tutti da sperimentare. Il nuovo ministro dell’Interno, Mikhail Mikov, 48 anni, non ha trovato di meglio che esordire affermando che in Bulgaria la mafia non esiste: «C’è però un serio problema di criminalità organizzata», ha aggiunto per fortuna. E lo stesso Petkov è ben lungi dall’uscire di scena. l’uomo forte del Partito socialista al potere, perché ne è il tesoriere e dunque controlla i cordoni della borsa. «E ora sugli scandali c’è anche una commissione parlamentare che indaga», spiega Ilia Valkov, reporter del quotidiano economico-politico Dnevnik. Scandali e omicidi hanno subito fatto drizzare le antenne dell’Unione europea. Tanto che Zinaida Zlatanova, capo della rappresentanza della Commissione in Bulgaria, ammette che si riscontra «una mancanza di risultati tangibili nella lotta al crimine organizzato e alla corruzione». E nel prossimo rapporto che Bruxelles redigerà a fine giugno, Sofia rischia di subire pesanti sanzioni, come il congelamento di parte degli 11 miliardi di euro di aiuti promessi. Manca un mese al verdetto e tra le strade di Sofia già invase dall’estate ci si augura che la pressione spinga le autorità a stringere la morsa sui criminali. Chissà che ne direbbe Georgi Stoev, se fosse ancora vivo. Angelo Mincuzzi METAMORFOSI Dal wrestling all’alta finanza Alle Olimpiadi erano la vetrina del regime comunista. Vincevano medaglie e facevano capire al mondo intero che la Bulgaria esisteva. Nel 1989 nel Paese c’erano 60mila wrestlers, lottatori ma non solo (anche campioni di karate e di sollevamento pesi). Ma quando il regime si sfaldò e le scuole di atletica chiusero, i wrestler si ritrovarono sulla strada. Che fare, allora? Gli ex atleti si riunirono per dare vita a società di sicurezza e vigilanza. Solo che i loro metodi erano rudi. Garantivano protezione, ma chi rifiutava di pagare diventava bersaglio della criminalità. In Sicilia lo chiamerebbero "pizzo". Fiorirono decine di società. Poi, negli anni Novanta furono dichiarate illegali. Ma gli ex wrestler, divenuti ormai capiclan, le trasformarono in compagnie assicurative. Il boom fu veloce e sulla scorta dei lauti guadagni le attività si estesero ad altri business illeciti. Con gli anni molti dei capi delle società di wrestler hanno reinvestito i soldi in attività più rispettabili, soprattutto immobiliari. An.Mi.