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 2008  maggio 30 Venerdì calendario

Anticipiamo un brano del libro di "Soldati" (Einaudi, pagg.125, euro 9) uscito in questi giorni in libreria

Anticipiamo un brano del libro di "Soldati" (Einaudi, pagg.125, euro 9) uscito in questi giorni in libreria. Nessuno come i soldati dipende dal posto in cui si trova. E nulla come una caserma si adatta così bene alle esigenze militari. E tutto protetto, regolato e concluso. Tuttavia, nulla come una caserma può diventare una prigione intollerabile per chi ci vive o un´isola e un corpo estraneo per l´ambiente circostante. E una questione di aria, e quella di caserma torna sempre negli incontri fra commilitoni, accompagnata dal frasario particolare e dal linguaggio «da caserma», che ormai, comparato a quello degli adolescenti, è raffinato e pudico. A volte l´aria da caserma torna negli incubi notturni di chi ancora non ha superato il trauma del «nonno» che gli faceva fare flessioni o che gli imponeva di fargli la branda o che lo rinchiudeva dentro l´armadietto e voleva sentirlo cantare come un juke-box, o che lo faceva salire sull´armadietto e voleva che scandisse le ore come un orologio a cucù. Torna, ogni tanto, il sapore del rancio, sempre uguale e sempre diverso. Il menu era sempre lo stesso, ma chi lo preparava non lo era perché a lavare le pentole e a cucinare ci andavano tutti, a turno, spesso per punizione e sempre di malavoglia. E allora la fantasia dello scontento si esprimeva nel protrarre la cottura della pasta, nell´allungare oltre ogni ragionevole necessità il sugo, nel mettere qualsiasi cosa nel polpettone e, quando l´iniziativa dei singoli riusciva a coalizzarsi, nel purgare la compagnia con abbondante sale inglese (o, più tardi, con il Guttalax). Torna, ogni tanto, il senso ruvido del bavero del cappotto, il prurito della maglia di lana, la pericolosa combinazione tra canapa e metallo del cinturone e della cinghia del fucile, che prima o poi feriva le mani. E il freddo del mitragliatore nelle mattine d´inverno in marcia verso i poligoni, e le ustioni alle mani che subito dopo provocava la canna sorprendentemente rovente. Si combinava, nel cervello e nel naso, l´odore eccitante e acre della balistite e quello dolce dei fumogeni con quello deprimente e greve della camerata piena di scarponi puzzolenti, compagni flatulenti, piedi volutamente maleodoranti in modo da coprire con il proprio odore, schifoso ma familiare, quello degli altri. E gli altri invadevano, senza volontà ma non senza cognizione, la più intima sfera psicologica con i loro odori, i loro suoni, le loro fobie e le loro manie. L´esperienza della caserma è prima di tutto una sfida sensoriale, e i cinque sensi diventano strumenti di convivenza educando alla sopportazione. E nel caso non bastassero i cinque sensi, l´azione pedagogica della caserma è integrata dalla disciplina e dall´autorità che, man mano che sono venute a mancare quelle della famiglia, della scuola o del posto di lavoro, sono apparse sempre più anacronistiche, vuote, inutili e perfino sadicamente violente. Le generazioni contadine che dall´età di otto anni si alzavano alle quattro per dar da mangiare alle bestie e poi per andare nei campi, e che spesso imparavano a comportarsi nei confronti dei più anziani a forza di calci nel sedere, in caserma stavano come pascià. Non facevano nessuno sforzo a obbedire, e se sbagliavano era perché dovevano fare cose che nessuno aveva insegnato. La punizione per quanto dura era sempre uno scherzo in confronto a quella che avrebbero dovuto subire dai genitori o dai fratelli maggiori. Le generazioni del lavoro avevano cominciato alla stessa età a fare gli apprendisti nei laboratori, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle miniere. «Apprendere» era sinonimo di lavoro senza paga e di punizioni dei maestri artigiani e dei capimastro. Quando arrivavano in caserma a diciotto anni erano dei padreterni. Sapevano «fare», avevano manualità, conoscevano gli attrezzi e conoscevano la disciplina del lavoro, ma anche l´autorità del saper fare. Loro stessi avevano dovuto controllare e istruire a scapaccioni ragazzi più giovani, e facevano parte di una gerarchia del lavoro e della famiglia di fronte alla quale quella militare impallidiva. I ragazzi di strada, i delinquenti minorili e gli spostati trovavano nella caserma una specie di bazar. Si poteva rubare di tutto, c´era sempre qualcuno da taglieggiare, uno più imbranato e uno più ignorante. Stavano bene anche i diplomati e i pochissimi laureati: riuscivano a superare l´addestramento pensando di più e faticando di meno. Pian piano si dovevano rassegnare agli odori degli altri e ai sapori improbabili. Ma poi venivano messi nei posti di responsabilità, negli uffici della contabilità, negli spacci, nelle furerie, nelle armerie. Diventavano caporali e caporalmaggiori, sempre che non avessero «controindicazioni» politiche. Erano tutti schedati (o quasi), i soldati di leva. Ognuno aveva un fascicoletto con le informazioni dei carabinieri del suo villaggio e del suo rione. Un breve profilo sgrammaticato, ma essenziale della famiglia «di sani principi», «andava a messa», il padre «stimato professionista» o, meglio ancora, «appuntato dell´Arma». E gli uffici «I» catalogavano in base alle tendenze, alle vulnerabilità e alle manifestazioni politiche dell´intera famiglia: «attivista di sinistra», «di sinistra», «orientato a sinistra», «attivista di destra», «di destra» e «orientato a destra». Tutti gli altri erano neutri e non avevano preclusioni per l´incarico o la carriera. Gli attivisti di entrambe le parti e quelli «di sinistra» non sarebbero mai diventati caporali, quelli «di destra» erano invece privilegiati, e la carriera degli «orientati a sinistra» dipendeva dalle regioni di provenienza. Un simpatizzante comunista della Romagna o della Toscana era normale, ma un calabrese era quasi un eversore. E c´erano quelli con precedenti penali, quelli che dovevano finire di scontare la pena al termine del servizio e che venivano prelevati dai carabinieri lo stesso giorno del congedo. La maggior parte dei soldati non aveva mai avuto esperienze sessuali, e allora i più scafati organizzavano sessioni educative con le prostitute del posto, previa congrua percentuale. Le battone hanno sempre amato le caserme e loro sono sempre state idolatrate dai soldati: vecchie (le navi scuola), giovani, importate dal Sud, molte organizzate proprio da soldati che avevano capito l´affare, vivevano in una simbiosi di crescita economica, le une, ed esistenziale, gli altri. La libera uscita era rara e i servizi pesanti, ma le ore di servizio di guardia sulle altane, da soli, al buio, con un fucile per consolazione e otto colpi da non dover mai sparare, facevano pensare. Casa, la ragazza, gli amici e la prostituta che lo aspettava per succhiargli la decade: 1164 lire ogni dieci giorni, 160 lire per le sigarette e mille per lei. Quattro o cinque lire si lasciavano nella cassa comune della compagnia. Sarebbero servite a sostituire un vetro rotto della camerata o uno specchio dei bagni che un «minuto mantenimento» sempre a corto di fondi faticava ad approvvigionare. (...) La notte è violentata e annichilita continuamente. Ma di guardia alla caserma, da solo, il soldato di qualsiasi parte del mondo si rende conto che ci sono fasi diverse nella notte e non soltanto perché la luna è più alta o bassa, ma perché a ogni turno la luce della notte, che poi è il buio, è diversa. L´aria è diversa, più calda o fredda, tranquilla o agitata, e i rumori sono diversi, ci sono dei fruscii diversi a ogni turno, delle ombre che appaiono e ti fanno gridare: «Chi va là!» Nessuno. Ma non è vero, c´è sempre qualcuno nella notte. Fabio Mini