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 2008  maggio 29 Giovedì calendario

Diritto alla mobilità. Nòva 29 maggio 2008 Hugh Herr sogna di rimettere in piedi milioni di persone

Diritto alla mobilità. Nòva 29 maggio 2008 Hugh Herr sogna di rimettere in piedi milioni di persone. Anzi di farle letteralmente correre grazie alla tecnologia. Tra qualche mese, questo ricercatore del Media Lab del Mit di Boston, amputato a entrambe le gambe sotto al ginocchio per un incidente alpinistico quando ne aveva 18, commercializzarà PowerFoot One, la prima caviglia artificiale attiva. L’innovazione uscirà sul mercato con il marchio della iWalk, la start-up lanciata dallo stesso Herr due anni fa, ma è il frutto di anni di ricerche finanziate dalla Veterans Adminstration e dal Tatrc, il centro dell’esercito Usa per la telemedicina e la ricerca avanzata che lo sostengono con un grant quinquennale di 7,2 milioni di dollari. Il sistema, primo esemplare di una nuova generazione di protesi intelligenti, sarà in grado di spingere su un piede artificiale grazie a motori e batterie, producendo la simulazione più avanzata di ciò che fanno muscoli e tendini veri e una camminata a prima vista indistinguibile da quella di un arto normale. Una piccola rivoluzione, ma che potrebbe avere un impatto enorme nel settore delle protesi, sia per la vita quotidiana che nello sport, perché non sfrutta la potenza dei motori, ma il design. «Il segreto della camminata umana è tutto nell’equilibrio dei meccanismi e delle leve – osserva Herr – perché quando camminiamo in realtà utilizziamo pochissima energia. Molta meno, ad esempio, di quella dei robot bipedi fino ad ora sviluppati, perché tendini e muscoli funzionano come un sistema di molle che sfrutta lo spostamento del nostro peso». Essere capaci di riscrivere quest’equazione con titanio e molle significa aprire la strada ad arti artificiali in grado di restituire la qualità della vita a milioni di persone nel mondo che hanno perso una o due gambe. «L’autonomia della batterie al litio del PowerFoot One, incassate nella parte inferiore della gamba artificiale, dovrebbero garantire 10 mila passi, circa 6-7 kilometri, che per la maggior parte delle persone equivale alla distanza percorsa in tre giorni» spiega Herr. Per Herr, che continua ad arrampicare su pareti di roccia oltre al 6° grado grazie ai piedi artificiali che si progetta da solo e collabora spesso ad Aimee Mullins, presidente delle atlete Usa ed ex-campionessa paralimpica di atletica che ha ispirato Oscar Pistorius, lo sviluppo di queste tecnologie è anche una sfida sociale. «Molte assicurazioni specialmente negli Usa, coprono appena 1.500 dollari l’anno, del tutto insufficienti per una protesi che permetta di camminare senza soffrire – osserva Herr, che anni fa toccò con mano le diverse offerte dei pacchetti sanitari quando scelse di spostarsi da Harvard al Mit – per questo dobbiamo abbassare i costi di produzione con modelli di business più vicini a quelli dei Pc da 100 dollari». Il costo previsto per il PowerFoot One dovrebbe aggirarsi intorno ai tremila dollari in fase di produzione, contro i 7-8mila della protesi attuali di alta gamma, che per altro sono solo passive, cioè incapaci di produrre una spinta propria come fanno muscoli e tendini veri. «Oggi i costi di ricerca e sviluppo sono ancora dell’ordine di milioni di dollari e il mercato è molto ristretto – osserva il ricercatore – ma se si riesce a conquistare una fetta di quei 20 milioni di amputati nel mondo c’è veramente la possibiltà di rendere queste innovazioni sostenibili anche nei Paesi in via di sviluppo come Cambogia e Afghanistan, dove le mine antiuomo hanno prodotto moltisisme menomazioni». Herr sorride poco, parla lentamente e quasi sottovoce, ma ha sempre l’espressione concentrata di chi sa di dover andare lontano. «Il prossimo passo è arrivare ad arti bio-ibridi, che permettano al sistema nervoso dell’individuo di integrarsi direttamente con l’elettronica dell’arto artificiale» spiega il ricercatore, che coordina uno dei programmi più ambiziosi lanciati dall’esercito americano nella medicina rigenerativa e ricostitutiva insieme a John Donoghue della Brown University e a Jeffrey Morgan e Roy Aaron del centro medico per veterani di Providence, nel Rhode Island. Le ricereche del gruppo si muovono su tre fronti: osteoimpianti che permettano alle cellule dello scheletro umano di saldarsi con superfici in titanio; un controllo elettronico che permetta di comandare direttamente con il pensiero i movimenti di un arto robotico e un’integrazione bioelettronica trasmetta le informazioni raccolte da dita e pelle artificiale al sistema nervoso periferico. Gli ostacoli però non mancano. «Gli osteoimpianti già esistono, come nel caso delle protesi dentarie, ma il grande vantaggio della bocca è la saliva, un antibatterico naturale che tiene sotto controllo le infezione, un vero problema per gli arti artificiali» osserva Herr. Sul fronte delle interfacce neuroelettroniche e degli arti robotici si vedono già progressi. Negli Usa il progetto Braingate e la spin off Cyberkinetics hanno già ottenuto buoni risultati con impianti elettronici direttamente nella corteccia. A Chicago, Todd Kuiken, che aveva già dato due braccia robotiche che si muovono grazie a piccoli motori azionati dagli stimoli nervosi a Jesse Sullivan, un elettricista di 60 anni che ha perso entrambi gli arti le braccia sopra al gomito per un incidente sul lavoro, l’anno scorso si è spinto ancora più in là. Trapiantando le terminazioni nervose della spalla nei muscoli pettorali di Claudia Mitchell, una ex-marine statunitense di 26 anni senza braccio sinistro per un incidente di moto, Kuiken le ha dato un arto bionico che si muove intuitivamente, senza particolari sforzi e abbastanza sensibile per capire se qualcosa sta toccano la sua mano meccanica. Lo stesso Herr si sta spingendo in questa direzione, ma questa volta come cavia. «Mi farò impiantare dei microsensori collegati all’arto artificiale nel muscolo della gamba – spiega il ricercatore – l’obbiettivo è arrivare a "sentire" le mie caviglie in titano controllandone la posizione senza doverle guardare. A termine vogliamo mettere a punto un sistema di comunicazione senza fili che permetta a nervi e muscoli di dialogare direttamente con le parti meccaniche». Guido Romeo