ItaliaOggi 28 maggio 2008, Giampiero Di Santo, 28 maggio 2008
Tre uomini in cattiva Compagnia. ItaliaOggi 28 maggio 2008 Uno il governo, trina la linea. Anzi, trina l’avilionea, cioè il destino dell’Alitalia se il lavoro di sintesi di questi mesi, da marzo in poi, non avesse prodotto qualche risultato e se l’allora candidato premier, Silvio Berlusconi, non si fosse così esposto con la sua promessa elettorale di mantenere la compagnia di bandiera in mani italiane
Tre uomini in cattiva Compagnia. ItaliaOggi 28 maggio 2008 Uno il governo, trina la linea. Anzi, trina l’avilionea, cioè il destino dell’Alitalia se il lavoro di sintesi di questi mesi, da marzo in poi, non avesse prodotto qualche risultato e se l’allora candidato premier, Silvio Berlusconi, non si fosse così esposto con la sua promessa elettorale di mantenere la compagnia di bandiera in mani italiane. Da allora, con molti mal di pancia, gli attuali inquilini di palazzo Chigi e dintorni si sono adattati. Raccontano, per esempio, che il sottosegretario della presidenza del consiglio, Gianni Letta, l’uomo di mille mediazioni e grande ambasciatore del cavaliere, non avrebbe fatto carte false per salvare l’azienda famosa più che altro, purtroppo, per la sua capacità di divorare denaro pubblico. Letta, dicono i bene informati, avrebbe preferito il fallimento e la successiva rinascita, come è avvenuto in Svizzera per la vecchia e lussuosa Swiss Air, rinata a nuova e meno sprecona vita sotto le nuove spoglie di Swiss international airlines. Quanto a Giulio Tremonti, che a questo punto di Alitalia comincia ad averne le tasche vuote, si sarebbe sbarazzato subito e più che volentieri di quella fabbrica di onerosi aumenti di capitale e polemiche che già tanto ha dato da pensare e da penare al suo predecessore Tommaso Padoa Schioppa. Al punto da accettare di buon grado la soluzione prospettata dall’ex banchiere centrale italiano, che per qualche tempo era riuscito a convincere l’Air France a fare l’offerta vincolante che avrebbe salvato la compagnia di bandiera, inglobata in un colosso mondiale del trasporto aereo. Se il presidente e ad di Air France Jean Cyril Spinetta avesse accettato di tornare al tavolo della trattativa, raccontano i soliti bene informati, Tremonti, se non ponti d’oro per gli amici che tornano, avrebbe fatto di certo stendere almeno un bel tappeto rosso. Ma la storia si sa come è andata: Spinetta ha detto no ed è stato irremovibile. Non per qualche offesa ricevuta, ma a causa dei prezzi del petrolio. Saliti da poco più di 80 dollari ai tempi della prima offerta vincolante di Air France per Alitalia, a oltre 140 dollari al barile. Con questi chiari di luna, Spinetta ha preferito pensare ai suoi fatti, meglio ai suoi conti. E la possibilità di vedere l’Alitalia spiccare il volo verso Parigi-Schipol è tramontata definitivamente, a meno di colpi di scena che per ora non sono all’orizzonte. Così, anche in considerazione del prestito ponte di 300 milioni che ha fatto sollevare più di un sopracciglio a Bruxelles, sempre pronta a censurare gli aiuti di stato proibiti dai trattati europei, Tremonti ha dovuto fare buon viso di fronte al gioco di Berlusconi e del superconsulente Bruno Ermolli, grande regista della cordata di imprenditori italiani evocata in campagna elettorale. Per evitare l’immediata bocciatura europea del decreto che erogato i 300 milioni necessari a salvare la compagnia, e al tempo stesso per cercare di prolungare artificialmente la vita di Az, come la chiamano con affetto i dipendenti, Tremonti ne ha escogitato un’altra delle sue: un decreto che consente di utilizzare i soldi non solo per restare in pista, ma anche per rimpinguare il patrimonio netto stremato dalle perdite continue. Con la segreta speranza che l’Ue non lo bocci e che Spinetta o gli imprenditori italiani facciano presto. Altrimenti scatterà il commissariamento e sarà legge Marzano. Giampiero Di Santo