Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  maggio 28 Mercoledì calendario

«La maglia nera è una cosa seria Ero il più scarso e me ne vanto». Libero 28 maggio 2008 Giovanni Pinarello detto Nane , classe 1922, è la storia del ciclismo italiano in bianco e nero

«La maglia nera è una cosa seria Ero il più scarso e me ne vanto». Libero 28 maggio 2008 Giovanni Pinarello detto Nane , classe 1922, è la storia del ciclismo italiano in bianco e nero. Anzi, in nero. stato lui l’ultima maglia nera ufficiale del Giro d’Italia, estate 1951, quando arrivare dietro a Coppi e Bartali era normale, ma arrivare dopo tutti gli altri era un’impresa, un successo, una storia da raccontare. Addirittura un guadagno. Giovanni è l’ultimo degli ultimi, nel senso che da quella volta sono stati aboliti la casacca scura e il premio al corridore più lento (riconoscimento inventato nel 1946), a parte un revival nel 1979 che ha incoronato - più per una questione di sponsor che altro - il bergamasco Bruno Zanoni. Poi basta, niente coppe, soldi né applausi a chi arrivava dopo, stanco e in ritardo di ore e ore, ma almeno arrivava. Fino a quando per quest’anno, per questo Giro, per questa classifica, hanno deciso di festeggiare l’ultimo in graduatoria con il simbolico numero bianco su fondo nero. Riconoscimento virtuale, naturalmente, niente a che vedere con la vera maglia nera di Giovanni Pinarello detto Nane , corridore classe 1922. Lo storico ultimo degli ultimi che racconta e si racconta. Pinarello complimenti, 86 anni ed è ancora in forma. Il segreto? «Lavorare, non stare mai fermo: l’ho fatto tutta la vita. E ora mi riposo, sveglia alle nove e, quando riesco, tre chilometri in bicicletta per andare nella ditta di famiglia, la Pinarello. Mi tengo in forma». Già, azienda leader nella costruzione di biciclette da corsa, quella che lei fondò a metà anni Cinquanta. «Ho la fortuna di avere dei figli con la mia stessa passione. La portano avanti loro, Carla, Andrea e soprattutto Fausto». Curiosità: non è che Fausto si chiami così per ricordare... «...ma certo, Coppi! Grande collega e amico. Le dirò di più, Andrea si sarebbe dovuto chiamare Gino in onore di Bartali, ma siccome Gino era ancora in vita, per non portare male, ho scelto il nome di suo figlio, Andrea». Già, Coppi e Bartali. Pinarello, torniamo indietro negli anni. Lei nasce a Catena di Villorba (Treviso) nel 1922. «Ottavo di dodici fratelli, siamo in vita in tre e sono il più vecchio. Famiglia poverissima, zero soldi, da piccolo aiuto i contadini a raccogliere il grano e in casa si mangia solo polenta. Il pane? Quello era per i sior , i signori: noi lo vedevamo solo nelle grandi occasioni, Natale e Pasqua». E il piccolo Pinarello fa ogni tipo di lavoro. «Dipingo, sono imbianchino. Ma non mi piace, è faticoso e stare tutto il tempo in piedi, per uno che ama andare in bici non è il massimo. Il ciclismo, per fortuna, mi salva. Inizio a correre, vinco 60 gare da dilettante e capisco che posso fare il grande salto». Idoli? «Ai tempi ci sono Binda, Guerra e Girardengo. Io tifo Binda, il migliore». I baby Giovanni Pinarello che tipo di corridore è? «Completo, ma nessuna caratteristica particolare. Non un velocista, non uno scalatore. Troppo magro, sempre sottopeso». Primi successi, poi le gare con i campioni veri. Quanto si guadagnava? «I soldi si tiravano su con i traguardi volanti, 50 lire ogni primo posto. Per fortuna che Coppi a volte mi dava qualche mancia. Fata lità , ero simpatico a tutti nell’ambiente». Simpatico e ultimo. Come mai arrivava sempre dopo? «Perché non ero un campione». Scusi, in che senso? «A riposo avevo 60 battiti, tanti, troppi. Gente come Coppi o Bartali ne aveva 40 e arrivava a 60 quando ormai era in cima alla salita... Io a 60 dovevo ancora partire». Pinarello maglia nera e famosa. Si prendeva bene a stare in fondo? «Soprattutto regali dalla gente, cibo, vino, olio, formaggi. A fine stagione poi ti invitavano a molte gare, erano soldi. E diventavi famoso». Infatti c’era chi, come Malabrocca, pur di arrivare dopo gli altri si nascondeva a bordo strada e rientrava giusto per stare nel tempo massimo. Perché quella faccia? «Guardi, io ho sempre fatto le mie corse regolari, fermarsi era scorretto e non lo sopportavo. Arrivavo ultimo perché non ce la facevo, non ne avevo più. Mai barato come invece hanno fatto tanti altri». Nel 1951 è stato incoronato ufficialmente maglia nera. «Arriviamo al Vigorelli a Milano e c’è da fare il giro d’onore, chiamano il primo e l’ultimo, Fiorenzo Magni e me, maglia rosa e maglia nera. Giriamo tra gli applausi, poi lo guardo e rido: ti piacerebbe fare cambio, eh? Sa, si diceva che avesse un passato nella Brigata Nera, fascismo... Ehehehe». Buona questa. Pinarello, parliamo degli altri grandissimi del suo tempo. Fausto Coppi. «Da dilettante correvo con suo fratello Serse. Fausto era un grandissimo amico, dolce e affabile, generoso». Bartali? «Più toscano, più diretto, non gli andava mai bene niente». Scelga il migliore in bici: più forte Coppi o Bartali? «Coppi, campione immenso». Pinarello, ma lei ha mai vinto una tappa del Giro? «Mai. Una volta a 15 chilometri da Brescia scatto, fuggo, tengo duro, cerco una vittoria che non darebbe fastidio a nessuno. A 200 metri dal traguardo mi volto, mi hanno ripreso e addio, arrivo undicesimo. Dopo il traguardo mi si avvicina Fausto: "Niente da fare, Nane . Che vuoi farci? Non sei destinato a vincere"». Beh, una gara da protagonista l’avrà pure fatta in carriera. «Campionati Europei, alla partenza mi danno un "aiutino", una pastiglietta. Ne mangio mezza e butto l’altra metà, sono contrario a certe cose. Arrivo terzo. Pochi mesi fa un amico mi dice: "Vedi Nane ? Terzo con mezzo aiutino: prendendolo tutto avresti vinto anche tu". E io: "Sì, ma magari non sarei qui, a 86 anni, a raccontarlo!"». Pinarello, dopo sconfitte e ritardi, tempi massimi e ko, lei lascia il ciclismo nel 1952. Da perdente di successo. «Sta per partire il Giro, sono in squadra, ma all’ultimo momento alla Bottecchia si propone Fornara, un emergente scaricato da Coppi. Preferiscono tenere lui e mi offrono 100 mila lire per stare a casa. Accetto, con quei soldi torno a Treviso e rilevo un negozio di bici. Eccolo, è questa azienda, la "Pinarello"». Urca, complimenti. Domanda nera, nel senso di ultimissima. Guardi qui la classifica del Giro: il numero nero è un certo Markus Eichler. Un degno erede? «Non scherziamo, la vera maglia nera ero io. Per un semplice motivo: ero davvero il più scarso». ALESSANDRO DELL’ORTO