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 2008  maggio 28 Mercoledì calendario

Il precario perde il posto per colpa dell’immigrato. Libero 28 maggio 2008 «A me piacciono i romanzi sugli immigrati», mi ha detto Chiara, l’ufficio stampa di Alberto Gaffi Editore in Roma, e per illuminazione ho fatto due più due, o due di due meno quattro, come se fossi un Andrea De Carlo che vuole tagliar corto sulle conclusioni

Il precario perde il posto per colpa dell’immigrato. Libero 28 maggio 2008 «A me piacciono i romanzi sugli immigrati», mi ha detto Chiara, l’ufficio stampa di Alberto Gaffi Editore in Roma, e per illuminazione ho fatto due più due, o due di due meno quattro, come se fossi un Andrea De Carlo che vuole tagliar corto sulle conclusioni. Al "Nik bar" di Roma c’era anche Francesco Borgonovo, ci eravamo entrambi defilati da Sham, un simpatico indiano immigrato in Olanda e ora in Italia con borsa di studio, il quale Sham, a suo dire, sarebbe un giovane scienziato con in tasca una cura per l’Alzheimer e che però intanto, per ingannare il tempo, aveva appena chiesto alla mia compagna «if you want to fuck with me», salaam Bombay. Io mi sono limitato a dire a Chiara: «Oh, sotto il livello di Proust non leggo mai niente», lei ha strizzato gli occhi come se mettesse a fuoco un alieno della peggior specie, ma grazie a Chiara ho pensato un attimo alla narrativa d’immigrazione, non ci avevo pensato neppure io perché non penso mai all’inessen ziale, quindi quasi mai a niente che sia un argomento di conversazione. Albanesi e romeni Fatto sta che sì, l’immigrato narrativo unisce il filone della letteratura precaria a quello per l’esotismo importato, una pacchia. Negli ultimi due o tre anni ne sono usciti a non finire, e infatti non finiscono più, si moltiplicano come topi, come uomini e topi. Che io ricordi, tra i minori (sono tutti minori, anche quelli che vanno per la maggiore), c’è stato "L’allunaggio dell’immi grato innamorato" , di Mihai Mircea Butcovan , romeno che arriva in una Milano abitata solo da leghisti cattivi e xenofobi, e si rifugia nel bar Blue Moon, unico luogo in grado di tollerarlo, dove conosce Daisy, unica ragazza carina e gentile in una città mostruosa dove sono tutti stronzi leghisti xenofobi. Pubblicato da Besa , che ha un catalogo ricco di migranti e precari, tra cui Ron Kubati , uno che appena approdato qui dall’Albania ha pensato bene di raccontare il proprio precariato, e d’altra parte se lo fanno Bregola, Desiati e Aldo Nove non si vede perché non dovrebbe farlo Kubati, si accomodi. Gli extracomunitari, zingari, immigrati e rom ossessionano anche il protagonista del romanzo di Federico Platania uscito per Fernandel , "Il primo sangue" , il quale a un certo punto si chiede: «O la follia o la violenza. Me lo sono ripetuto molte volte in questi giorni. O la follia o la violenza, mi ripetevo! La violenza no!, mi dicevo ogni volta, la violenza no! Allora la follia!, mi dicevo subito dopo», mentre dopo averlo letto viene voglia di scegliere la violenza ma sullo stesso Platania, che in due romanzi è riuscito a unire poverismo, precariato, postofissismo, periferismo, e immigrazionismo, peggio di così si muore e vorremmo morire non leggendo Platania. Tantomeno Oliviero La Stella , con la sua prostituta albanese che si chiama "Mira" e pubblicato per Fazi , ancora la solita favolina patetico-moralistica del mondo cattivo e della ragazza che, come scrive Dacia Maraini, «in fondo al suo animo conserva una purezza che la rende nobile e fiera nonostante i venti uomini a notte». Ogni editore, soprattutto se piccolo e sfigato, sta dragando in lungo e in largo la moda (redditizia?), ma anche a editori come E/O non manca di certo almeno un Amara Lakhous in catalogo, con thriller giallo-rosa stracolmi di "riflessioni multi-etniche" dove si racconta l’inferno dei centri d’accoglienza italiani. Mondadori vanta il primo romanzo del no global Luca Casarini , "La parte della fortuna" , storia del giovane avvocato Nico che alterna la lotta politica contro il sistema all’attività a legale nei Centri di permanenza temporanea. Mentre Einaudi ha la più raffinata Ornela Vorpsi , nata a Tirana, fuggita in Italia e residente a Parigi, che racconta storie d’amore e di spaesamento etnico-esistenzialistico. Con Ornela ci si salva, basta togliere una "l" e almeno il nome lo si ricorda, ma come fare con i vari Gezim Hajdari, Muin Masri, Ayad Alabbar, Kossi KomraEbbri e chi più ne ha più li importi, e a prescindere da quanto ce ne importi? Attenzione, presto l’onomastica sarà sempre più impronunciabile, cazzi loro, a Moravia bastò il cognome Pincherle per decidere di cambiarlo, questi non ne vogliono sapere, e dunque come saranno fin da adesso le conversazioni nei nuovi salottini narrativi più informati e chic? «Oh, cavo mio, sono appena tovnata dalla Costa Smevalda, hai per caso letto l’ultimo di Nader Ghazvinizadeh?». «No cava, in compenso ho finito quel mevaviglioso libvo di Alessandro Ghebreigziabher...». Da tutto il mondo Forse, se la memoria non mi inganna, il primo e più scanzonato apripista del flusso estetico migratorio fu "Il mite migrante" di Pino Tripodi , uscito per Deri veApprodi diversi anni fa, che almeno la prendeva con leggerezza e ironia. Oggi vanno molto albanesi, africani, indiani e arabi lamentosi o incazzati neri, che toglieranno il pane dai denti alla vecchia guardia italiana dei sardi, dei siciliani, dei napoletani e dei romani delle periferie, poiché siccome il must della letteratura mancata ma vendibile è "il reportage", meglio chi viene da lontano per dirci non da dove viene lui ma chi siamo noi, quanto facciamo cagare noi che siamo qui non solo a accoglierli ma anche a leggerli. L’immigrazio nismo, unito al periferismo e al precariatismo, si conferma quindi l’ultima e ormai conclamata tendenza narrativa nonché ennesima trasformazione della fissazione multiculturalista che cancella l’eccellenza per affermare il basso dal basso, cosa di cui si è lamentato anche Harold Bloom non sapendo più a quale livello abbassare i canoni. Nelle classifiche sì, ancora stravince il gomorrismo savianesco, ma d’altra parte rilevo che sui giornali tira ormai molto anche la monnezza, non si parla d’altro, durerà non poco, e i narratori del reportage narrativo e socialmente impegnato ancora non se ne sono accorti, per cui, nella mia infinita generosità, potrei buttare lì qualche modesta proposta: da "Alla ricerca della Monnezza perduta" a "Quer monnezzaio brutto de via Iervolino", da "La cognizione del fetore" a "Cristo si è fermato a Acerra", ma cercate di arrivare prima degli zingari che nei vostri cassonetti ci frugano allegramente, e meglio lì che a casa. A proposito: c’è anche "Zingari di merda" , edito da Effigie e scritto del mio amato Antonio Moresco , che non è come gli altri libri succitati, non è di destra né di sinistra, è duro e cosmico e un buco nero come i buchi in cui abitano e spariscono i rom nel racconto, e tra l’altro mi arriva con una dedica senza appello: «A Massimiliano, zingaro di merda». E se lo dice Moresco significa che non mi salvo neppure io. MASSIMILIANO PARENTE