Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  maggio 29 Giovedì calendario

La Stampa, giovedì 29 maggio Sbadiglia, si annoia un po’, chiede quando finisce questo film in cui non si riconosce, tranne per quel tratto politico in cui Toni Servillo lo rappresenta come la mente politica della corrente andreottiana

La Stampa, giovedì 29 maggio Sbadiglia, si annoia un po’, chiede quando finisce questo film in cui non si riconosce, tranne per quel tratto politico in cui Toni Servillo lo rappresenta come la mente politica della corrente andreottiana. Siamo andati a vedere con Paolo Cirino Pomicino «Il Divo». Ne aveva letto la sceneggiatura mentre si trovava in ospedale a Pavia per il trapianto di cuore. Il regista era andato a trovarlo per ricostruire quei pezzi di storia vissuti da Pomicino in prima persona. E quando ha capito quale sarebbe stato la tesi del film, gli ha detto: «E’ meglio che scriva un romanzo». Eccoci al cinema Barberini: si spengono le luci e via con gli intrighi di politici e gli omicidi. E Giulio Andreotti sempre al centro, cinico e freddo. Pomicino si spazientisce un po’. «Ma come si fa a rappresentare in questo modo falso e macchiettistico la storia della Dc che è stata un grande storia politica. Glielo avevo detto a Servillo di leggersi i miei libri..». Entra in scena l’attore (Carlo Buccirosso) che lo interpreta e si fa una risata. «Io ero più bello». Poi le belle donne che ballano nella sua villa in Via Appia, che gli stanno accanto come portavoce e Pomicino: «Volesse Iddio..., ma quando mai! E poi io non ho mai fatto feste a casa mia a Roma: ci portavo i sindacati per fare gli accordi con le parti sociali, ci riunivo la nostra corrente ma Andreotti non c’era mai: lui non partecipava alle riunioni degli andreottiani. Si occupava solo delle questioni del governo: quelle del partito ce le lasciava sbrigare a noi». Sparano a Pecorelli, nel film tutto è messo in capo ad Andreotti. Pomicino ricorda che quando la Rai raccontò l’omicidio Pecorelli alludendo ad Andreotti, chiese al capo di consentirgli di protestare in commissione di Vigilanza. Ma Andreotti lo fermò: «Paolo, lascia perdere, l’umanità ha sopravvissuto a Hiroshima». Il film finisce, Pomicino è un fiume in piena. Dice che «Il Divo» è un collage di luoghi comuni, di «maldicenze». E’ «un’occasione perduta, sciupata» perchè Sorrentino («regista capace e talentuoso») aveva l’opportunità per raccontare gli ultimi 20 anni di storia che «sono sepolti nelle carte secretate delle commissioni d’inchiesta». Raccontare ad esempio, continua Pomicino, che nel ”91 Carlo De Benedetti gli propose di partecipare a un «nuovo progetto politico» e lui rifiutò. Raccontare, a proposito di mafia, dei «contatti che alti dirigenti delle forze dell’ordine avevano con esponenti di spicco della mafia, come Totuccio Contorno: le carte sono ancora secreteta al Senato». «Da quando è scomparsa la Dc sono stati messi in libertà 3-4 mila tra camorristi e mafiosi. In commissione Antimafia ho chiesto all’ex ministro dell’Interno Amato se ciò fosse vero e lui mi ha risposto: alle tue domande la mia amministrazione è reticente». Mentre il film si sofferma sui rapporti di Andreotti con la mafia e sul processo di Palermo, Pomicino pronuncia il nome di Falcone («poi ti racconto una cosa», dice al cronista). «Ero andato da Andreotti. Nel 1989 lui era ministro degli Esteri. Si apre la porta dell’ufficio di Andreotti e vedo uscire Falcone e Lima. Chiedo il perché di quella visita e Andreotti mi disse che Falcone era venuto a spiegare perchè aveva incriminato per calunnia aggravata Pellegriti dopo le sue accuse a Lima di connivenza con la Cosa nostra». Insomma, «Sorrentino mi sta simpatico, ma non ha avuto il gusto della rilettura critica della nostra storia che non è quella dei democristiani che uccidono altri democristiani. E Andreotti non è uomo senza sentimenti: semmai è molto bravo a tenerli sotto controllo. Quando io sono stato male, mi è stato molto vicino». Amedeo La Mattina