Franco Giubilei, La Stampa 27/5/2008, 27 maggio 2008
”Suonano alla porta. Jimi Hendrix” La Stampa, martedì 27 maggio Nel ”68 c’era un’Italia beat che cercava la sua rivoluzione fra chitarre elettriche e vestiti swingin’ London, mode psichedeliche e spinelli
”Suonano alla porta. Jimi Hendrix” La Stampa, martedì 27 maggio Nel ”68 c’era un’Italia beat che cercava la sua rivoluzione fra chitarre elettriche e vestiti swingin’ London, mode psichedeliche e spinelli. Verso la fine di maggio di quell’anno magico, Jimi Hendrix atterrò a Milano con la sua band, gli Experience, per il primo di una serie di concerti indimenticabili che l’avrebbero poi portato a Roma e a Bologna. Niente hotel di lusso o capricci da star: Jimi, dopo lo show al Piper di Milano, se ne andò a casa dell’Equipe 84, in via Bodoni, in quella che all’epoca era una tappa obbligata per creativi e artisti della scena hippy-underground meneghina: «Lo avevamo conosciuto grazie alla ragazza di Victor Soliani, una nera di New York sua amica – racconta Maurizio Vandelli, ex voce e chitarra dell’Equipe ”. Quella sera aveva suonato al Piper di piazza Castello e noi eravamo andati a vederlo». La casa di via Bodoni era una bella palazzina liberty dal cancello sempre aperto come andava allora negli ambienti «off», un rifugio per musicisti e poeti: «C’è venuto Allen Ginsberg, c’è venuto Keith Richards, ci sono venuti gli attori del Living Theatre, era tutta una storia di cortesie reciproche, un buonismo da canne e un’ospitalità alla ”sìì grazieee” in piena armonia con l’hippiaggine esagerata Anni Sessanta», ricorda Vandelli. In quest’atmosfera molto «love & peace», con le lampade liberty ricoperte da foulard e le pareti tappezzate da un’incredibile rivestimento di carta rifrangente dorata, in modo da rimandare immagini deformate a chi ci si specchiava, Hendrix plana con tutta la forza del suo rock-blues acido già sprigionata nei due album Are you experienced e Axis: bold as love (che però in Italia doveva ancora uscire): «Di Jimi ho l’immagine di lui che mi raccontava dei problemi che aveva col Black Power americano, che lo odiava, mentre si faceva delle canne spaventose – rammenta Vandelli ”. Io, che venivo da tarallucci e lambrusco, gli ho fatto sentire un nostro pezzo in cui copiavo un suo assolo di chitarra. L’ha ascoltato, alla fine mi ha detto ”thank you very much” e mi ha abbracciato». Il cruccio di Hendrix era che gli estremisti neri non gli perdonavano il successo che aveva raggiunto da solo, senza il loro appoggio. «Passavamo il tempo a chiacchierare e Jimi era dolcissimo, spappolatissimo, tutto baci e abbracci, in un clima generale da fate l’amore non fate la guerra, fra grandi ”wow” e camicie a fiori». Della casa meravigliosa di via Bodoni che era stata affittata all’Equipe da una farmacista, Vandelli parla con l’affetto che si riserva a una vecchia amica: «Quella porca di casa aveva la porta aperta, venivano gli amici mandati dagli amici, come quella volta che sono rimasti a dormire diciotto attori del Living Theatre, un posto dove giravano solo canne, mai siringhe. Sono venuti Keith Richards e Anita Pallenberg e una volta, ma questo è successo a Roma, Brian Jones si è fregato uno dei miei due sitar: mi ha chiesto se glielo prestavo e non l’ho più rivisto». Un periodo felice? Vandelli dice di sì: «Erano felici tutti, sorridevano tutti, c’era una grande disponibilità fra i sessi e una grande amicizia fra i maschi, finché non è cominciato il secondo tempo, con le pallottole che volavano». Intanto Jimi va avanti col suo tour, due date a Roma al Brancaccio, con due concerti al giorno, di pomeriggio e di sera, fino all’ultimo spettacolo di Bologna, al palasport. A Roma, come scrivono Roberto Bonanzi e Maurizio Comandini nel loro libro 5 giorni a maggio, prima del concerto ballano sul palco due ragazzini sconosciuti, Renato Zero e Loredana Bertè. A Bologna invece, nel gruppo-spalla suona un giovanissimo Dodi Battaglia, che farà successo coi Pooh. «Quello è stato il nostro ”68, con la musica che era importante anche per scrittori come Moravia, Morante, Pasolini. A un nostro concerto è venuto persino Nureyev – conclude Vandelli ”. Noi stavamo fuori dalla politica e facevamo i suoi giochetti, e quando giravano gli spinelli era solo per farsi una bella risata». Franco Giubilei