Domenico Quirico, La Stampa 27/5/2008, 27 maggio 2008
Il metrò, alcova di amori impossibili La Stampa, martedì 27 maggio Il Métro de Paris è nato nel 1900, in occasione della grande Esposizione Universale
Il metrò, alcova di amori impossibili La Stampa, martedì 27 maggio Il Métro de Paris è nato nel 1900, in occasione della grande Esposizione Universale. Attualmente è composto da 16 linee per una lunghezza complessiva di 200 chilometri, con 297 stazioni. la terza rete metropolitana per estensione nell’Europa occidentale, dopo la metropolitana di Londra e la metropolitana di Madrid, ma la prima se si considerano anche le 5 linee del «Réseau express régional» (Rete espressa regionale). Il métro parigino è stato protagonista di innumerevoli film e romanzi (fino al celeberrimo «Zazie nel metrò» di Raymond Queneau, filmato da Louis Malle). L’ultimo caso - profumato di scandalo - è il libro del fotografo Jam Abelanet, che ha ritratto una cinquantina di modelle, nude, tra fermate, treni e binari. Riuniti dal caso nella stessa carrozza sgualcita del metrò, ecco che si scatena tra loro il gran teatro di passioni ambigue e nude, di avidità e di dedizioni egualmente golose e fulminanti, di narcisismi e di umiliazioni mortali quando gli occhi dell’altro o dell’altra si distolgono o non si accendono. Sì, sono gli amori della metropolitana di Parigi, palcoscenico fitto di fate morgane e di cavalieri romantici, a loro agio nel pigia pigia puzzolente, accaldato, sudato e indifferente. Ormai una meterologia amorosa così fitta, complessa e organizzata che persino una istituzione impoetica come la Ratp, società concessionaria di questa Parigi sotterranea mobile e sferragliante, ha deciso di pedinarla passo dopo passo ricapitolandola in un breviario definito «Amour mobile». Titolo che sta in audace equilibrio tra la sintesi poetica e lo studio amministrativo sui «flussi di massa». un campionario di seicento messaggi in bottiglia, grida d’amore in cui si raccontano, e cercano un improbabile seguito, i colpi di fulmine underground. In questo Paese che ha esplorato ogni millimetro del labirinto amoroso fornendogli un alfabeto e una mappa dal bovarismo al Crazy horse, in attività voyeuristica fin dal tempo in cui ancora esistevano e amavano, e come amavano, i granduchi balcanici, non poteva la metropolitana che produrre i suoi batteri sensuali, il suo tam tam prepotentemente affettivo. S’incontrano, s’avvicinano, talora si toccano, s’allontanano, si ritrovano qualche volta, si smarriscono per sempre. Perché gli Spoon River che trovano una lapide di carta o sulla Rete sono quelli che non sono riusciti a divincolarsi da queste catacombe amorose. Non c’è mai, insomma, l’ultimo messaggio, quello del trionfo. Forse perché non ne esistono? L’amore da metrò è forse condannato a nutrirsi di insuccesso, di porte che si chiudono inesorabilmente, di accessi labirintici? Approcci Allora ogni inizio è fatto di un approccio, di una folgorazione. C’è il timido del giovedì, linea 14: «Primi sei posti in faccia alla stazione St Lazare, tu eri seduta un po’ sulla mia destra, ci siamo guardati più volte, ma io non ho osato nulla perché tu eri al telefono e io avevo un appuntamento urgente... sono sceso alla stazione Bercy, ho un gran desiderio di ritrovarti». Oppure il malaccorto del mercoledì a St Mandé: «Sono sceso a Nation, tu ti sei alzata, pensavo che avresti fatto il mio stesso cammino, purtroppo hai semplicemente cambiato di posto per metterti al finestrino. Un bacio, principessa». Ecco come il rimorso si fa il callo a Mouton Duvernet: «Perché ho fatto così? Impossibile distogliere lo sguardo per 20 minuti. Di solito io tengo ma tu mi intimidivi, ho abbassato gli occhi, sono scesa: avrei dovuto restare, mi mangio le dita per non averti parlato!». Poi c’è il contatto, una geografia timida e frettolosa di spalle che si sfiorano, di fortunati incidenti nella ressa. Non c’è posto almeno epistolare per irresistibili istinti carnali per l’amante da metrò, sono don Giovanni timidi, timorate penitenti che si svelano solo epistolarmente. Esempi: «Tenevamo tutti e due la sbarra del metro, linea 7, direzione Mairie d’Ivry, le nostre mani si sono toccate e sono restate in contatto praticamente per tutto il tragitto fino a Châtelet, in un metrò strapieno: faccia a faccia ci gettavamo degli sguardi discreti. Non ho osato dirti niente tra tutta quella gente. Tu sei scesa..». «Mi sono seduta accanto a te, un piccolo contatto con le spalle, caldo, mi sono messa a scrivere sulla mia agenda». «Alla chiusura delle porte mi hanno spinta violentemente verso di te, ti ho camminato sui piedi, la mia borsa piena di verdure si è rovesciata al suolo, ci siamo sorrisi e ci siamo guardati a lungo negli occhi senza dire nulla». Crudele nella sua febbrile velocità, il metrò offre come unica speranza la consuetudine: «Vorrei ritrovarti su un tragitto completo, sono certo che riuscirei a farmi amare». Domenico Quirico