Libero 27 maggio 2008, FRANCESCO SPECCHIA, 27 maggio 2008
I miracoli dell’illustre qualunquista. Libero 27 maggio 2008 Se fosse un film di Charlie Chaplin l’epilogo -mesto- sarebbe l’inizio
I miracoli dell’illustre qualunquista. Libero 27 maggio 2008 Se fosse un film di Charlie Chaplin l’epilogo -mesto- sarebbe l’inizio. Col vecchio capocomico napoletano sulla scia del Calvero di "Luci della ribalta" che s’imbuca, il 5 luglio del ’48, al Musichiere di Mario Riva. E - stanco, patetico, quasi avvizzito, la marsina troppo larga e il monocolo troppo stretto - intona, con fil di voce e stonandola, Sciuldezza bella , canzunella d’inizio secolo sciolta nell’acido della Storia assieme all’utopia d’una rivoluzione che non riuscì ad accendere. Ecco. proprio da questo sbiadito fotogramma (più che dalla sua morte, il 13 ottobre del ’60, a 69 anni) che potrebbe srotolarsi, nell’orgia di flashback sulle immagini dell’Ita lietta stordita dalla guerra, la biografia definitiva di Giannini "Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l’antipolitica" (Mondado ri, pp. 240, euro 18) , che Carlo Maria Lomartire manda ora alle stampe. Volenti o nolenti il personaggio di Giannini, epico e controverso, fu l’ago della bilancia delle politica italiana. Anzi, la dominò pure se per pochi anni, dal 27 dicembre ’44, dalla nascita del settimanale "L’Uomo Qualunque" ("U.Q.", d’ora in poi) il giornale antipolitico più venduto d’Italia; fino alle elezioni del ’58. Ossia fino alla cupio dissolvi ir razionale che lo portò a iscriversi - proprio lui, repubblicano irriducibile - al Partito Monarchico dopo esser stato scartato dalla Dc; al che l’armatore Achille Lauro eletto nei collegi di Napoli, Milano e Roma optò per quest’ulti mo, condannandolo ancora al limbo del primo dei non-eletti. Da "Uomo qualunque" deriva il "qualunquismo"; per curiosa vulgata cattolico-gramsciana, oggi è inteso in senso spregiativo ad indicare il distacco dei cittadini verso la classe politica. La "Ca sta", insomma. Di solito, il lemma, lo si usa per la Lega, per Beppe Grillo, o per i titoli di Libero, a seconda della frangia politica che lo pronuncia. Ma Giannini, quella parola, l’am mantò della nobiltà delle utopie. Giannini era un "passionale trattenuto", un galantuomo e, soprattutto, un anticipatore suo malgrado. Poliglotta anarcoide e commediografo di fama; amico di Totò e figlio di una giornalista inglese e di un intellettuale morto di stenti per voler ricordare ogni mattina al Duce una strana verità («Benì, nun te scurdà ca si fesso...»); convivente more uxorio e nonno di Sabina Ciuffini valletta di Mike: Giannini fu liberale liberista e libertario molto prima di Pannella. Fu, a dire il vero, pure bossiano prima di Bossi. Nel suo saggiomanifesto, "La folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide" chia mava i deputati UPP, «Uomini Politici Professionali, la verminaia di Capi, Sotto Capi e Aspiranti Capi intorno al potere, nella quale ciascun verme vuol mangiare l’altro»; e affermava che lo Stato potesse tranquillamente esser amministrato da un ragioniere e i politici estratti a sorte, come i giudici, «controllori a tempo determinato»; e sosteneva che l’antifascismo fosse - come l’anti mafia di Sciascia, che venne dopo - «un nuovo fascismo, una professione, un mezzo per assicurarsi carriera, impieghi stipendi». Fu europeista prima dell’Ue. E fu femminista prima del femminismo, proponendo in Parlamento come capo dello Stato la baronessa Ottavia Penna-Buscemi, «donna colta, intelligente sposa e madre». Fu longanesiano prima di Longanesi. Nei suoi scoppiettanti calam bour i democristiani erano i «demofradici cristiani», Nenni «Benito tascabile», Togliatti «il Cosacco onorario», la Rai «Restituitela Agli Italiani». Fu, perfino, feltriano prima di Feltri nella capacità di sintonizzarsi sul sarcasmo e sulle viscere dei lettori, «l’onesta gente borghese» senza distinzioni. Non frequentava la volgarità, ma l’utilizzava come grimaldello della coscienza: la strofa che circolava nel suo gruppo dirigente rivolto all’apparato statale era: «le tue frasi conosciamo/le sappiamo le intenzioni/ e per questo ti preghiamo di non romperci i coglioni».. Fu, ovviamente, additato come "fascista" dal CNL e dalle sinistre. E pur suggerendo ai suoi: «A chi vi dà del fascista, date del cornuto e del pederasta e, potendolo fare senza inguaiarvi, rompetegli la faccia», in Parlamento ebbe sempre l’aria del pacificatore, mai una volgarità, mai una caduta di stile. Giannini passò anche sotto l’epurazione del prefetto di Roma lettore dell’Unità che gli stroncò le pubblicazioni dopo soli tre mesi d’edicola; ma la sentenza venne cancellata dal Consiglio di Stato, grazie all’interven to dell’avvocato Giovanni Selvaggi, antifascista; e quel clamoroso martirio portò l’U.Q. al boom di copie vendute, da 30mila a 850mila. Di lì la leggenda si montò come il climax d’un’opera buffa di cui Giannini azzeccò, però, solo il primo atto. Perché fondò sì il Fronte dell’Uomo Qualunque che ottenne alle elezioni del ’46 1.211.956 voti, il 5,3%, dietro Dc, Pci e Liberali di Croce; e fu sì, con 200mila preferenze, il terzo eletto in Italia dopo Togliatti e De Gasperi. Ma, da ingenuo uomo di spettacolo, proprio da quelle due volpi fu torchiato come l’omino nel simbolo del proprio partito, ormai integrato nel sistema che aveva sempre combattuto. Vaso di coccio tra vasi di ferro, Giannini proprio da Togliatti fu blandito in un’alleanza che confuse i propri elettori (tra cui molti fascisti) che ne ricordavano gli editoriali: « orribile pensare che da ragazzi c’entusiasmava il comunismo... fino a che la ragione non ci provò che la biblica fesseria di Marx è la biblica fesseria che è». E proprio da De Gasperi che a causa dell’U.Q. cambiò la strategia Dc nel ’48, fu ignorato e trattato come il figlio della serva. L’ulti ma cosa che si meritasse il vecchio istrione, rimasto invischiato nel grande gioco della politica che s’illuse di poter dominare. FRANCESCO SPECCHIA