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 2008  maggio 24 Sabato calendario

L’ultimo incrocio pericoloso di Bruno Giordano sta a Roma e non è una metafora. Viale Regina Margherita angolo via Nomentana

L’ultimo incrocio pericoloso di Bruno Giordano sta a Roma e non è una metafora. Viale Regina Margherita angolo via Nomentana. Aria densa di carbonare e code alla vaccinara, pub, multisale, sale Bingo, frastuono di discoteche, due passi da Porta Pia e via Veneto. E’ lì che la Mercedes C220 di Stefano Lucidi, stordito dal brivido estivo ma forse anche dagli stupefacenti, taglia un semaforo rosso agganciando a velocità omicida lo scooter su cui viaggiano Alessandro Giuliani e Flaminia Giordani. Al fianco di Lucidi sulla C220 c’è Valentina Giordano, 27 anni, figlia dell’ex centravanti di Lazio, Napoli e della Nazionale. Alla figlia di Giordano il Tribunale di sorveglianza ha imposto l’obbligo di dimora. Ma lei non l’ha rispettato. Dopo lo schianto Valentina supplica: «Stefano, fermati, portiamoli all’ospedale». Niente, via, la C220 riparte sgommando lasciandosi dietro due ventenni agonizzanti, e il senso stesso della vita. Ora, dicono gli amici, Bruno Giordano è un uomo affranto. Spiazzato, definitivamente arruolato nel dolore. «Non mi va di parlarne», fa Massimo Piscedda, ex difensore della Lazio, «Bruno ha un credito enorme con la fortuna, questo sì, te lo posso dire». La vita di Bruno Giordano, 52 anni, è un crocevia fatale di incroci pericolosi, un menù di narrazioni, più che da quotidiano sportivo da rotocalco di nera. L’infanzia a Trastevere, i primi calci tra via Manara e piazza san Cosimato. Il primo allenatore, don Pizzi, parroco del don Orione. Don Pizzi che quando Giordano compie 13 anni, per 30mila lire e dieci palloni lo vende alla Lazio. Lazio, Napoli, un passo dalla Juve (il trasferimento a Torino salta perché Briaschi rifiuta il club romano), la Nazionale, il titolo di capocannoniere. Ma nella trama largheggiano le ombre. Fitte. Che neanche il cinismo crudele, l’inchiostro nero di un De Amicis. Il terzo braccio Il padre che il giorno del suo arresto per il calcio scommesse commenta la destinazione a Regina Coeli con un sussulto d’orgoglio e un po’ di nostalgia: «L’hanno messo ar terzo braccio?, jè annata bene, er terzo è uno dei mejo». La prima moglie che si prostituisce in via Flaminia, la madre amatissima che muore in un incidente stradale mentre sta raggiungendo la villetta di Ansedonia. E alla quale l’anno successivo il calciatore dedicherà lo scudetto vinto con il Napoli di Maradona. La sorella Silvia, qualche problema con la droga e qualche altro con una banca, che senza successo prova a rapinare un pomeriggio d’autunno. Bruno Giordano viene arrestato il 23 marzo 1980 al termine di Pescara-Lazio perché insieme a molti suoi colleghi professionisti trucca le partite di serie A. Il calcio italiano si scopre piombato in un reality seriale. In galera vanno in molti: Wilson, Manfredonia, Dossena, Savoldi, Albertosi, Paolo Rossi. Il Milan e la Lazio vengono retrocesse in B, i presidenti di Milan e Bologna radiati. A Giordano, che insieme a Wilson e Manfredonia smista le mazzette nel deposito di Massimo Cruciani e nel retrobottega di Fabio Trinca, il giudice infligge una pena di 3 anni e sei mesi, pena azzerata per una faccenda di indulto, la vittoria al Mondiale dell’82. La commedia umana Uno degli ingranaggi che resta sono le amicizie di Bruno Giordano, o la commedia umana delle sue amicizie. Anche qui saltano agli occhi gli incroci imperscrutabili della sorte. Lui che pischello entra nella barberia di Trastevere, fa saltare dalla sedia uno già shampato e gli fa: «Sgomma, levate de torno, er pelo me lo faccio io», lui che alla Lazio lega con Lionello Manfredonia, stopper pariolino, figlio di avvocati, lui stesso studente in Giurisprudenza. Lui che viene arrestato insieme a Paolo Rossi ma Paolo Rossi c’ha un sorriso ch’è un antibiotico. E lo sguardo vuoto, molto televisivo. Al Mundial Rossi si mette in moto e diventa Pablito, Giordano no, perché in azzurro non lo chiamano. Il dopo-Pablito è un radioso futuro da commentatore tv, staff satellitare. Cose strane, casi strani, un casino. Perchè la faccia di Giordano non è quella di Pablito. E’ una bella faccia, è uno sguardo profondo, lo sguardo di chi appena scampato a un massacro ne intuisce subito un altro. Dopo l’esonero di Messina l’ultimo grande appuntamento gli salta tre mesi fa quando Reja manca un pelo che fa fuori De Laurentiis. De Laurentiis, che lì per lì non ha l’accortezza di farsi sostituire da uno stuntman, si mette paura e pensa di chiamare Giordano. Ci pensa ma poi ci ripensa, del resto la fortuna non è un conto alla rovescia. L’ultima grande «sola» ha un nome e un cognome: Claudio Lotito. Lui, l’arcangelo moralizzatore, il grande citatore, lui all’ex centravanti prima promette un posto in panchina, poi da dirigente tecnico. Nisba. Meglio così. Senza entrare nel merito, meglio non dividere nulla con i grandi moralizzatori.