Maurizio Porro, Corriere della Sera 26/5/2008, 26 maggio 2008
Un anno vissuto esplosivamente. Palma o non palma, Toni Servillo torna da Cannes baciato in fronte da una storica e meritata affermazione personale, un lasciapassare per quel divismo intelligente da cui l’attore però rifugge: «I divi sono altri»
Un anno vissuto esplosivamente. Palma o non palma, Toni Servillo torna da Cannes baciato in fronte da una storica e meritata affermazione personale, un lasciapassare per quel divismo intelligente da cui l’attore però rifugge: «I divi sono altri». Ma finalmente, a 49 anni, l’ha scoperto il grande pubblico del cinema: i David a La ragazza del lago, il successo di Gomorra, i plausi per Il Divo del suo amico Sorrentino con cui collabora per la terza volta. E quel pubblico che non sa nulla della lunga carriera di Toni teatrale, del suo potente Molière, del suo sintetico magico Marivaux, del sommo malinconico Eduardo di Sabato, domenica e lunedì, della perfetta Trilogia goldoniana, coprodotta col Piccolo Teatro, che ora porterà in tutto il mondo, dei progetti cecoviani eccetera, quel pubblico ha ora scoperto in quel volto dall’occhiata mobile e dal certo ironico sorriso, un attore di profonde comunicazione e misura, capace di unire la verità reale all’affondo psicologico (Le conseguenze dell’amore, con l’ossimoro della napoletanità svizzera), con la discrezione del comunicatore di razza che ha inciso anche gli Indifferenti di Moravia. Disse: «Anno faticoso, ma a me piace frugare nelle coscienze, toccare i nervi scoperti di un Paese è funzione morale di un certo cinema, da Rosi a oggi». «Il segreto di Toni? molto semplice e insieme molto profondo come attore e anche come regista: sembra facile ma sono invece due qualità rare», dice Mariangela Melato che con lui recitò nel ’95 il Tango barbaro dell’«inopportuno » Copi. «Allora non era ancora così di moda ma insieme ci siamo trovati benissimo in uno spettacolo di De Capitani coraggioso e pazzo per tutti. Mai un dubbio sulla bravura, né sulle qualità umane per cui siamo diventati e rimasti amici anche se la sua strada è più a Sud e la mia più a Nord. Fa piacere che il cinema si ricordi del teatro in un bilancio spesso vergognoso ». Non è una storia strappacore, ma di illuminismo napoletano. Famiglia borghese illuminata appunto, con due figli d’arte in casa (il fratello Peppe è il musicista degli Avion Travel, insieme nel riuscito primo film di Bentivoglio) Servillo, a sua volta oggi marito e padre di due bambini, è la costanza della ragione dell’attore lucido in un Paese dove spesso gli steccati sono rigidi. «Con Toni siamo cresciuti insieme, dai 16 anni in poi», dice Mario Martone che lo fece debuttare nel primo film Storia di un matematico napoletano insieme a Carlo Cecchi (paghi uno e prendi due), poi in Teatri di guerra. E ricorda: «Eravamo due ragazzi che si combattevano rivali con i gruppi d’avanguardia, lui da Caserta col Teatro Studio, io con Falso Movimento a Napoli. Oggi non posso che essere felice per lui: è una persona magnifica, diretta e semplice, piantata nella realtà». Il problema è che in Italia non c’è passaggio di consegne dal cinema al teatro. Spesso i tempi di attesa sono lunghissimi. « successo come con Volontè », dice Luca Ronconi. «Servillo è stimato in teatro da tempo, ha fatto i migliori film italiani di questi anni, ha la qualità innata e rara della sobrietà unita all’intelligenza. E che ora la gente l’abbia infine scoperto è giustificato e naturale, perché prova che l’attore può fare sia cinema sia teatro». Maurizio Porro