Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 17/5/2008, 17 maggio 2008
RIO DE JANEIRO
Sbagliato includere il Brasile tra i Grandi emergenti della Terra. Va tolta quella «B» dalla sigla Bric, che include anche Russia, India e Cina. Appena mesi fa molti economisti prestavano un’attenzione distratta al Paese di Lula: sì, il gigante si muove, ma troppo piano, non c’è nulla che lasci pensare a una avanzata strutturale, è solo una congiuntura buona che passerà. L’Asia è un’altra cosa. Due o tre episodi, alcuni prevedibili, e tutto è cambiato: oggi il Brasile è di moda, in economia e geopolitica, è diventato il beniamino di commentatori e futurologi. Ha la moneta più forte del mondo (appena 15 anni fa era carta a sei zeri) e la Borsa più instancabile. Le sue grandi imprese sfidano i mercati, le sue esportazioni li inondano di soia, carne e ferro. In politica è il nonno saggio del continente, attraversato da tensioni e protagonismi. E il famoso debito estero, quello che i vescovi dichiaravano non andasse pagato in nome della giustizia sociale? Roba da pizzicotto nel sonno, ha ammesso di recente lo stesso ministro dell’Economia: sparito, il Brasile è diventato creditore netto, sono gli altri che gli devono soldi.
Tre i fatti recenti. Il primo è tecnico ma di forte impatto: la Standard & Poor’s ha elevato il Paese al grado di investimento (BB+), che lo fa entrare anche ufficialmente tra i pagatori affidabili. Significa che anche i fondi pensione più conservatori potranno investire qui. Poi ci sono le recenti scoperte di campi petroliferi sotto l’oceano, probabilmente giganteschi. Infine, nel dibattito sull’uso dei prodotti agricoli per creare combustibili, e sul conseguente aumento dei prezzi, avanza l’idea che l’etanolo brasiliano sia il migliore e con il minor impatto ambientale.
Meglio di così per Lula non poteva andare. L’ex sindacalista ha avuto molta fortuna, ha retto il Paese per sei anni con gli occhi chiusi sull’etica e i diritti umani, ma in economia gli va riconosciuto il merito di essere andato avanti per la propria strada, senza tentennare. In Brasile la miseria persiste, le diseguaglianze diminuiscono troppo lentamente, ma gli effetti della crescita sulla popolazione sono innegabili. Un boom di consumi attraversa una classe media, medio- bassa, che acquista auto, elettrodomestici e una casa propria con il mutuo, magari uscendo dalla favela. Per Lula ne deriva una forte popolarità e un cruccio, quello di non potersi presentare per la terza volta, alle presidenziali del 2010. Il problema è doppio, perché il lulismo ha fatto piazza pulita dei suoi luogotenenti, caduti ad uno ad uno per vari scandali. Oggi un successore non esiste.
Simbolo lei, e simbolica è la sua caduta: Marina Silva, ministro dell’Ambiente si è dimessa qualche giorno fa dopo aver perso l’ennesima battaglia. La sua difesa dell’Amazzonia è caduta davanti alle richieste degli agricoltori e dei piani infrastrutturali del governo. Lula l’ha difesa per anni, compagna di ideali dai tempi dell’opposizione: oggi la saluta senza lacrime. Tra lo sviluppo e l’ambiente, il governo ha scelto. Alla guida di un progetto per l’Amazzonia sostenibile, Lula non ha messo la sua ministra pasionaria ma un tecnocrate filosofo del futuro, Roberto Mangabeira Unger.
la prospettiva di diventare il colosso energetico del futuro, la nuova Arabia Saudita, a guidare i sogni del Brasile. Proprio mentre Lula si sforza, girando il mondo, per convincere tutti che l’etanolo ricavato dalla canna da zucchero è il carburante ideale e non distruggerà l’Amazzonia, dalle profondità dell’oceano la statale Petrobras lancia buone notizie anche sul combustibile più tradizionale. Se le esplorazioni confermeranno le ipotesi dei geologi, al largo delle celebri spiagge brasiliane c’è petrolio per molti decenni a venire. I giacimenti sono a profondità abissali, sotto uno strato di sale, carissimi da estrarre, ma lancerebbero il Brasile dal 16esimo all’ottavo posto al mondo per riserve accertate. Il Paese diventerebbe così un grande esportatore, proprio negli anni in cui, sul continente americano, si esaurirebbero quasi completamente le riserve di Stati Uniti e Messico. Per qualcuno, addirittura, l’accoppiata tropicale petrolio-etanolo cambierà il mondo come oggi lo conosciamo, spostando da queste parti l’epicentro energetico.
Rocco Cotroneo