Sergio Romano, Corriere della Sera 24/5/2008, 24 maggio 2008
Sono rimasto sorpreso nell’apprendere che gli Stati Uniti non ratificarono mai il trattato istitutivo della Società delle Nazioni, antesignana dell’Onu dal 1920 al 1945, sebbene la sua istituzione fosse stata fortemente voluta dal presidente statunitense Woodrow Wilson
Sono rimasto sorpreso nell’apprendere che gli Stati Uniti non ratificarono mai il trattato istitutivo della Società delle Nazioni, antesignana dell’Onu dal 1920 al 1945, sebbene la sua istituzione fosse stata fortemente voluta dal presidente statunitense Woodrow Wilson. Sarei curioso di saperne le ragioni e quali furono le conseguenze di tale scelta, tenuto conto che gli Stati Uniti erano già entrati a pieno titolo nel panorama della politica planetaria attraverso la loro partecipazione alla Prima guerra mondiale. Francesco Valsecchi Roma Caro Valsecchi, La creazione della Società delle Nazioni fu voluta da Wilson e inserita nei Trattati di Versailles. Quando si atteggiò a mediatore, verso la fine del 1916, il presidente americano chiese agli Stati combattenti di meglio definire le loro intenzioni e i loro scopi. E quando decise finalmente di partecipare al conflitto, volle che l’intervento dell’America fosse, per il diritto internazionale, un evento rivoluzionario, una tappa fondamentale nella storia dell’umanità. Era convinto che all’origine della guerra vi fossero, al di là delle responsabilità austriache e tedesche, le ambizioni imperiali, il brutale cinismo, la diplomazia corrotta degli Stati del vecchio continente. L’America non sarebbe entrata in guerra per impedire che il controllo degli Oceani scivolasse dalle mani dell’Inghilterra in quelle della Germania, ma per liberare i popoli dai loro tiranni, restaurare le nazionalità oppresse, fondare una migliore società internazionale e mettere fine alle guerre. Democrazia, nazionalità e Società delle Nazioni erano i pilastri del nuovo tempio internazionale che Wilson annunciò al mondo in un programma (i «14 punti») reso pubblico agli inizi del 1918. Quando arrivò in Europa per partecipare ai negoziati del trattato di pace, ebbe accoglienze entusiastiche che contribuirono a rafforzare la sua posizione nel Consiglio delle grandi potenze vincitrici, dove sedevano allora Georges Clemenceau per la Francia, David Lloyd George per la Gran Bretagna e Vittorio Emanuele Orlando per l’Italia. Vi fu un momento, fra il 1917 e il 1919, quando l’Europa e il mondo sembrarono chiamati a scegliere fra due grandi profezie: quella internazionalista e proletaria di Lenin, quella democratico-nazionale, ma anche per certi aspetti internazionalista, di Wilson. Forte del prestigio conquistato con le sue posizioni rivoluzionarie, Wilson divenne l’arbitro della conferenza della pace e poté convincere i suoi colleghi ad accettare il grande disegno della Società delle Nazioni. Ma al suo ritorno in patria, quando dovette chiedere al Senato la ratifica dei trattati di Versailles, Wilson si scontrò con le resistenza di tutti coloro che avevano accettato di malavoglia l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto. La tenacia degli oppositori e la cattiva salute di Wilson in quel momento pregiudicarono l’esito della partita. Nel marzo del 1920 la ratifica venne definitivamente negata. Uno dei principali argomenti utilizzati dagli oppositori fu che la Società delle Nazioni, se approvata dal Senato, avrebbe avuto il diritto di esercitare la propria autorità sul personale militare degli Stati Uniti. La mancata ratifica ebbe notevoli ripercussioni sulla politica estera britannica. Quando seppero di non poter contare sulla collaborazione internazionalista degli Stati Uniti, i governi di Londra evitarono di assumere impegni che avrebbero obbligato la Gran Bretagna a garantire militarmente i nuovi equilibri del continente. Questo non significa che l’avvento di Hitler al potere dipenda dal modo in cui gli Stati Uniti, dopo la Grande guerra, voltarono le spalle alle proprie responsabilità. Ma un nesso, senza dubbio, esiste.