Mirella Serri, La Stampa 23/5/2008, pagina 25, 23 maggio 2008
Tirchi fashion. la Stampa, venerdì 23 maggio Tutto è cominciato con quella lunga fila che si snodava fuori dal piccolo negozio di Manhattan fin dalle prime luci dell’alba
Tirchi fashion. la Stampa, venerdì 23 maggio Tutto è cominciato con quella lunga fila che si snodava fuori dal piccolo negozio di Manhattan fin dalle prime luci dell’alba. Dalle vetrine poste al piano rialzato si intravvedevano le morbide onde azzurrine firmate Alexander McQueen, i golfini Vivienne Westwood, i bustier ultra sexy Calvin Klein, le mise rosso ciliegia. No, non sono passati decenni ma solo poco tempo dall’affacciarsi alla ribalta di Ina Bernstein, adesso regina dell’usato di lusso, così nota che sembra dominare la scena da sempre. Quella prima folgorante volta della sua boutique (adesso ne ha cinque) si era materializzata quando si era sparsa la voce che la produzione di «Sex and the city» le aveva destinato una vagonata di abiti, quelli indossati da Sarah Jessica Parker nei panni di Carrie. L’acquisto a metà prezzo di capi fashion e accessori di gran marca, indossati magari per una sola serata da star e top model, è diventato un assoluto must e la street della Bernstein è sempre più affollata. Soffia dunque un vento inatteso. Più formiche che cicale E’ finita l’epoca delle cicale e inizia quella delle formiche. Già, proprio così. Non è solo questione di vestiti griffati e scontati: si registra l’esplosione di una nuova religione, il culto del saving money o dio-risparmio. Si affaccia proveniente dall’America l’era dei nuovi tirchi o comunque degli inediti nonché parsimoniosi amministratori di risorse e patrimoni. Oggi, quando l’economia ha il passo lento e il fiato corto, sono così in arrivo i manuali che insegnano a diventare adepti del contenimento-spese senza perdere in verve e in glamour, come quello di Marina Martorana, «Low cost. Vivere da signori spendendo pochi euro» (Vallardi). Il motto dei nouveaux philosophes di questo nuovo trend in grigio-rosa? Vivere al massimo spendendo il minimo, senza negarsi niente. Come viaggiare, per esempio. Car sharing, eccola una delle chiavi di accesso al nuovo pensiero-low cost, l’utilizzo occasionale o part time con altre persone di un’auto. Non solo evita le grane, il bollo o il box, ma è lo status symbol della condizione più à la page, minimal-risparmioso-ambientalista. Per viaggiar lontano, il grido di richiamo della formica neo pauperista invece è: couchsurfing, letteralmente saltare da un divano all’altro (del globo). Lo sport couchsurfista è appaltato non solo agli under trenta ma anche ai più attempati che si spostano da Parigi a Londra, a New York, a Buenos Aires: questi i luoghi più gettonati nel sito on line dove già si trovano registrati 400 mila iscritti, dislocati in 223 diversi paesi. Gli italiani sono in testa per numero di utenti desiderosi di utilizzare posti letto a costo zero. La casa in comune La cultura della condivisione è in espansione e la nuova Bibbia, per i nuovi credenti in lotta contro la vecchia leva dei gaudenti dalle mani bucate, è nella «sharing economy». Il «cohousing» riattraversa l’oceano. Ha avuto il suo primo input in Danimarca negli anni Sessanta, poi si è diffuso in America ed è tornato in Europa. Niente a che vedere con le disordinate colonie hippies degli anni Settanta, prevede l’uso comune tra i cohousers di ampie cucine, spazi per gli ospiti, giochi per i bambini, laboratori, palestra, piscina, internet-cafè, biblioteca ed altro. In queste piccole officine del «do-it-yourself» si animano le trovate economiche più sorprendenti, dalla buccia di banana per lucidare la pelle delle scarpe, alla calza conservata in freezer per aumentarne la durata, al bicarbonato al posto del dentifricio, alla crema idratante solida costituita da due parti di cioccolata bianca e tanto olio di mandorle. Figura universalmente riconosciuta e gran guru di questa neofrugalità globale è lo svedese più noto, Ingvar Kamprad, il celebre «Mister Ikea» (fortuna personale stimata attorno ai 18 miliardi di euro) che oltre 60 anni fa ha inventato l’omonima azienda. La religione dell’austerity Ma non è solo questione di arredamento: abiti riciclati, una vecchia macchina, l’abitudine a Easy-Jet, l’abbonamento al metrò: lui stesso è l’austerity fatta persona. «Guilt free shopping» è invece il nuovo motto: pone l’accento sull’estasi dell’acquistare gratis. Ideale lo swapping. Si può praticare sia tramite il sito promotore di Emily Chesher (www.swapstyle.com), sia tramite gli allegri «swap party live» dove si possono scambiare cosmetici, lettori mp3, libri, cd e dvd. Bidonville è oggi très chic, più di via Condotti e di Oxford street: questa fiera del baratto si tiene semestralmente a Napoli alla Mostra d’Oltremare (ma anche a Parigi, Londra e New York). La formica industriosa che gira per i mercatini dell’usato non rinuncia però mai al bon ton griffato. Per borse, cinte e oggettistica sceglie Gucci, Chanel, Hermès, Louis Vuitton, Dior, Fendi, Balenciaga. Acquista? Per carità, comprare è bestemmiare. Affitta cliccando www.Bagandco.it o www.Myluxury.Biz. Mirella Serri