Paolo Conti, corriere della sera 22/5/2008, pagina 48, 22 maggio 2008
Fuksas: «Pronto a realizzare case popolari» Corriere della Sera, giovedì 22 maggio 2008 «La responsabilità sociale dell’architetto? Per troppo tempo non siamo stati messi nelle condizioni ideali per costruire l’habitat quotidiano, mi riferisco per esempio alle case popolari
Fuksas: «Pronto a realizzare case popolari» Corriere della Sera, giovedì 22 maggio 2008 «La responsabilità sociale dell’architetto? Per troppo tempo non siamo stati messi nelle condizioni ideali per costruire l’habitat quotidiano, mi riferisco per esempio alle case popolari.... Il problema non è più quantitativo ma qualitativo. Se non si assicura qualità a un prodotto delicato come l’edilizia popolare, salta la coesione sociale. Guardiamo a cosa succede a Tor Bella Monaca a Roma, al quartiere Zen a Palermo, alla Napoli di Scampia...» Massimiliano Fuksas, architetto e urbanista, ha lasciato la sua traccia alla Biennale Architettura di Venezia del 2000 imponendo lo slogan «Less aesthetic, more ethics». E ora lo spirito di quell’esperienza approda anche alla Triennale di Milano, al concetto di casa «effimera», smontabile e leggera firmata con Doriana Fuksas. Un’occasione per ripensare il ruolo dell’architetto oggi. Lei dice: non ci siamo occupati dell’habitat, delle case. Colpa della mania da gigantismo del sistema globale delle archi star? «Il gigantismo non è una manìa ma quasi una via obbligata. Abbiamo provato a lungo a costruire abitazioni. Ma con una committenza unicamente privata i costi finali di vendita diventano impossibili: si pretende di spendere il minimo e di ottenere il massimo ricavo possibile. Significa far entrare non un cammello ma una carovana in una cruna di un ago. Allora ci si rivolge alle uniche committenze. Quella pubblica, quindi musei, grandi opere. O le Company, e vale lo stesso discorso. Ovviamente i grandi edifici hanno in sè una capacità iconica. Per tornare alle case, la mano pubblica dovrebbe....» Mettiamola così. Se lei, uomo di sinistra, dovesse suggerire un piano al governo Berlusconi cosa direbbe? «Non è difficile. Smetterla con la dismissione del patrimonio pubblico abitativo, con la orrenda "cartolarizzazione". Invece risanarlo e conservarlo, quel patrimonio edilizio pubblico. Importante passo successivo e operativo: raggiungere accordi precisi con gli imprenditori privati per consentire a noi architetti di misurarci con l’edilizia popolare. Pensiamo alla meraviglia della Garbatella a Roma. Ma anche negli anni Sessanta abbiamo visto splendide realizzazioni di Mario Fiorentino e Mario Ridolfi. Questo governo, qualsiasi governo dovrebbe ripensare il rapporto pubblico-privato nell’edilizia» Il centrosinistra al potere non ha avviato il meccanismo... « stata persa una grande occasione. Ma lo è stata da quindici-vent’anni, indipendentemente dalle maggioranze» Non c’è un sospetto di amore per lo statalismo? «Nessuno statalismo, insisto. Ma protocolli chiari tra il pubblico e un privato che magari possiede i terreni» Lei pensa che un ministro come Giulio Tremonti possa capire il suo piano? «Penso di sì. Il patrimonio edilizio pubblico può funzionare anche da calmiere a un mercato impazzito. La bolla speculativa immobiliare, in questi anni, ha rappresentato un problema sociale drammatico. Invece consentire agli architetti di misurarsi con un’edilizia popolare di qualità può riavviare un meccanismo sia economico che estetico. Noi architetti abbiamo una gran voglia di misurarci con la casa per tutti: è il vero segno che, alla fine, si lascia. Perché ci si occupa della vita quotidiana degli uomini vivi, veri.» A quale tipo di edilizia popolare si ispirerebbe? «A quello più semplice del mondo. Avere la possibilità di progettare case che non siano immediatamente individuabili come "popolari". Case, insomma. Semplicemente case ben fatte. Così che non si dica: tu abiti nel blocco A e sei ricco, tu che vieni dal blocco B sei povero. Sembra una grande rivoluzione. Ma è possibile, posso assicurarlo. Sperimentare significherebbe anche immaginare spazi per la contemporaneità: meno bisogno di mobili, più superfici libere come si impone nell’era dell’informatica, dimensioni diverse per le nuove generazioni che sono fisicamente più alte. Questa sarebbe la strada per una integrazione sociale attraverso la casa popolare costruita grazie alla mano pubblica col privato». Una prima domanda ha riguardato Tremonti. E adesso Berlusconi. Lei ritiene che un uomo come il Cavaliere possa approvare un suggerimento come questo? «Difficile dirlo... Francamente non so bene di cosa si stia veramente occupando Berlusconi. Non abbiamo una grande frequentazione, questo è noto. Avevamo in comune un grande amico, lo scultore Pietro Cascella, che purtroppo è morto qualche giorno fa. Tutto qui...» Paolo Conti