Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  maggio 22 Giovedì calendario

La favela di Madrid.la Repubblica, giovedì 22 maggioIl Bar Cheito è un locale che non c´è, con una barista fantasma in una città invisibile

La favela di Madrid.la Repubblica, giovedì 22 maggioIl Bar Cheito è un locale che non c´è, con una barista fantasma in una città invisibile. Ci sono tre file di alcolici in bell´ordine sugli scaffali, c´è un pappagallo giallo e verde che ti saluta appena entri, borbottando qualcosa di incomprensibile. C´è la gabbietta del canarino appesa al muro e sotto un calcio balilla che sembra uscito da una fiera di modernariato. Ma, tecnicamente parlando, qui non c´è niente.Il catasto locale parla chiaro. Il Bar Cheito, 15 chilometri a sud di Madrid, lungo la Cañada Real Galiana, è un miraggio. Questa strada, 400 chilometri di sentiero tra Cordoba e la capitale, è (in teoria) inedificabile dal 1273, quando Re Alfonso X l´ha riservata per editto alla transumanza delle greggi. Niente case, zero muri, vietato qualsiasi manufatto umano. Ma il mondo cambia, è sempre più stretto. Le pecore non ci sono più. E a un tiro di schioppo dal Palazzo Reale di Re Juan Carlos, tutto intorno al pulitissimo Cheito, è nata negli ultimi dieci anni la città fantasma più grande d´Europa. Duemila baracche, trentamila fantasmi in carne e ossa hanno messo su casa lungo dieci chilometri di strada alle porte della città. Tzigani, marocchini, romeni, persino qualche spagnolo sfrattato dal centro, e i boliviani, gli ultimi arrivati. Famiglie con i bimbi scalzi che giocano in cortile, carretti di robivecchi, angoli di Maghreb e musica andina, più la vergogna di Valdeminogomez, quel tratto di Cañada Real dove si commerciano alla luce del sole crack ed eroina. E questo limbo di esseri umani che non risultano all´anagrafe, clandestini senza identità e "sin papeles", è diventato da due anni il simbolo dell´impotenza della Spagna - e forse di tutto l´occidente - davanti all´onda dell´immigrazione e della povertà che si sposta attratta come un magnete verso il benessere.Per conferma basta chiedere a Josè Luis Rodriguez Zapatero e al Comune di Madrid che sulle fragili baracche della favela in Cañada Real si sono già giocati un bel pezzo della loro reputazione.La Spagna del pugno di ferro in guanto di velluto, dei diritti civili agli immigrati regolari e dei 370mila clandestini espulsi nell´era socialista (il 40% in più del Governo Aznar) non riesce a trovare una soluzione per questo caleidoscopio di razze che ha preso casa qui, chiuso tra l´autostrada M50 e la discarica più grande della capitale. «Il Comune accetta senza batter ciglio i soldi della Contribucion ruana, l´Ici locale, da questo esercito di essere umani cui però si ostina a negare un´identità e i diritti di base», accusa dal suo quartier generale in San Carlos Borromeos (ribattezzata l´Iglesa Roja, la chiesa rossa), Javier Baeza, il parrocco che "veglia" sulla Cañada Real. A ottobre 2007 il sindaco di Madrid ha spedito qui 180 poliziotti anti-disturbios con blindati e ruspe per ristabilire l´ordine di Alfonso X con la forza e restituire la strada alle greggi. Scatenando la prima "Intifada" europea della storia. Con 200 marocchini che hanno respinto a sassate l´assalto e un bilancio di venti feriti.Fermare il vento con le mani, del resto, non è facile. La ricetta spagnola sull´immigrazione, l´ha ammesso persino un "falco" come Roberto Maroni, è tra le più rigide e chiare d´Europa. Il Governo Zapatero ha seguito un criterio semplice. Diritti agli immigrati regolari (sono oltre 4 milioni) espulsione per i clandestini (stimati in un milione). Nessun buonismo. I dieci Centri di internamento nazionali - pieni come uova - sono finiti nel mirino della Ue e delle Ong per le loro condizioni a volte disumane. L´anno scorso sono partiti dalla Spagna 137 aerei riportando in Africa, Romania e Sudamerica 56mila immigrati irregolari. Ceuta e Melilla, le due enclave iberiche in Marocco circondate da un recinto di filo spinato alto sei metri, sono state rese ancora più impermeabili dopo i tragici incidenti del 2005, con cinque clandestini uccisi a colpi di fucile mentre con altri migliaia cercavano di scavalcare il muro con le loro scale a pioli in legno. Tutta la costa, dalle Canarie alle Baleari, è circondata da un invisibile muro elettronico che individua le "Pateras" (carrette dei mari) in acque internazionali per rispedirle al mittente. E alle Canarie, le Lampedusa spagnole, 1.500 chilometri e nove giorni di viaggio dall´Africa, gli arrivi (e si spera anche le tragedie in mare) sono crollati del 63% nel 2007.La prevenzione, per quanto capillare come quella messa in piedi da Zapatero, non basta però a rendere impermeabili le frontiere spagnole. «Come sono arrivato qui? Non è stato difficile - racconta seduto sulla panca di ferro fuori dal Bar Cheito Josè Alguilar, 22 anni, dal 2005 uno degli spettri della Cañada Real - . Ho preso l´aereo a La Paz e sono arrivato dritto all´aeroporto Barajas a Madrid. Sono entrato con il visto turistico e una volta passati i controlli non sono più tornato indietro». Come lui fanno ogni anno migliaia di sudamericani, tanto che la comunità ecuadoregna, ad esempio, ha ormai quasi raggiunto per numero quella dei romeni e dei marocchini.«Intendiamoci, sono arrivati in molti perché li abbiamo voluti - dice Juan Rosell Lastortras, presidente della Confindustria di Barcellona, dove gli immigrati sono il 17,3% della popolazione - L´economia andava bene e ne avevamo bisogno». Per la Banca di Spagna gli immigrati regolari hanno contribuito per il 38% al boom del pil nazionale negli ultimi anni, aggiungendo 623 euro di benessere ai conti di ogni cittadino iberico. Restano le lungaggini burocratiche («cittadinanza e permessi per chi ha un lavoro ci mettono anni ad arrivare», dice Javier Ramires della Ong Sos Racismo) ma gli stranieri regolarizzati, grazie alle norme del Governo Zapatero, godono di tutti i diritti sociali degli spagnoli, sussidi compresi. «Ce ne sarà bisogno - vaticina Lastortras - . L´economia sta frenando e scommetto che i primi a pagare saranno loro. E anche per Madrid arriveranno i problemi che avete oggi voi in Italia». Sta già succedendo, in realtà, visto che con lo sboom del mercato immobiliare di inizio 2008 il tasso di disoccupazione tra gli immigrati regolari è già salito oltre la soglia d´allarme, arrivando al 14%.Zapatero, attento, si sta già muovendo. Ha quadruplicato i fondi per la cooperazione, ha lanciato i programmi "agevolati" di rimpatrio. Chi sceglie di tornare al suo paese d´origine incassa una sorta di buonuscita e può utilizzare forme di microcredito per lanciare aziende in patria (45 ne sono già partite in Ecuador grazie a prestiti agevolati garantiti dalla Caixa Catalunya).La legge però non vale per l´umanità trasparente della Cañada Real. La prova vivente di come sia difficile adattare le leggi a una realtà molto più sfuggente. «Bisogna che il mondo impari ad accettare tutti - dice Don Baeza - . Le Baleari sono in mano ai vecchi tedeschi, la costa sud della Spagna agli olandesi. Ai ricchi abbiamo dato la cittadinanza ed è gente improduttiva che peserà per l´assistenza sul nostro bilancio. A Cañada Real c´è il futuro, i giovani, gente che può produrre ricchezza in un paese che ha bisogno delle loro energie. Certo c´è anche la delinquenza. Il problema è complesso. Ma per i problemi complessi non valgono soluzioni facili come i blindati della polizia». Nel cortile della sua parrocchia corre un gruppi di bambini. «Sono 13 boliviani, da sei mesi a 16 anni - spiega - filtrati non si sa come attraverso i rigidi controlli di Zapatero e arrivati lungo la via delle pecore un anno fa». A fine aprile la polizia, questa volta senza proteste, ha raso al suolo il loro rifugio e l´Iglesia Roja ha ridato loro un tetto. «Torneranno qui, non ne dubiti, è questione di giorni», dice ridendo Ricardo, seduto davanti alla "casa-fattoria" al 61 di Cañada Real. Si chiama "Finca Hierba Buena", un paradosso visto che le sue bestie ("Se venden Caballos" recita l´insegna all´ingresso) stanno brucando in equilibrio precario lungo i ripidi pendii della discarica. «Qui c´è gente che abita da tre-quattro generazioni. Senza documenti, senza assistenza sociale, senz´acqua e senza corrente elettrica. Ce l´hanno fatta loro, ce la faranno anche questi bambini». Due chilometri a Nord, lungo l´orizzonte appena sopra l´autostrada, grandi gru gialle stanno alzando i nuovi palazzi di Valdecarros, al capolinea del Metro 1. "Adjuntamento de Madrid, se venden 289 pisos de Protecion Publica", dice il cartello. L´edilizia popolare avanza. Edifici di 10 piani, anonimi e giganteschi. E forse saranno loro, più che i blindati e le leggi di Zapatero, a inglobare in pochi anni senza che nessuno se ne accorga il Bar Cheito, il suo simpatico pappagallo e la città invisibile (ma vivissima) di Cañada Real Galiana.Ettore Livini