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 2008  maggio 22 Giovedì calendario

Costi della politica, la virtù dura sei mesi. La Stampa, giovedì 22 maggio 2008 Niente da fare, il nostro è davvero un Paese fantastico

Costi della politica, la virtù dura sei mesi. La Stampa, giovedì 22 maggio 2008 Niente da fare, il nostro è davvero un Paese fantastico. Uno, uno soltanto, dei privilegi della potente casta dei dipendenti del Senato (una specie di superscala mobile degli stipendi) era stato eliminato sotto la spinta dell’indignazione popolare? durato sei mesi, nemmeno. stato fatto un ricorso, che ovviamente è stato accolto in primo grado; ovviamente, da una Commissione formata da senatori e dipendenti del Senato; ovviamente, con un voto all’unanimità; ovviamente, il 28 aprile, ultimo giorno della legislatura; ovviamente, nel silenzio e nel segreto più assoluto. Raccontiamola, questa storia tutta italiana. Si comincia a luglio dell’anno scorso: c’è «la Casta» di Rizzo e Stella, ci sono le inchieste dei giornali, ed esce fuori che il personale del Senato in un anno ha avuto un aumento medio dell’11%. Sei volte e mezza l’inflazione. Meglio: il segretario generale del Senato guadagna più del doppio di Napolitano. Il barbiere di palazzo Madama più del Lord Ciambellano di Elisabetta d’Inghilterra. Come mai? Primo, perché al Senato il contratto viene rinnovato automaticamente ogni tre anni. Poi, perché nel contratto c’è (tra l’altro) una magica «superscala mobile»: il salario cresce ogni anno automaticamente dell’inflazione programmata più lo 0,75%. Poi, si possono monetizzare le ferie, si va in pensione a 53 anni, e altre amenità. Risultato, si spende più per il personale di Palazzo Madama che per tutti i senatori. La gente si arrabbia, e a settembre l’Ufficio di Presidenza del Senato disdetta accordi e blocca gli automatismi. Se non che... i tanti sindacati del Senato non ci stanno, e presentano un formale ricorso. I ricorsi dei comuni mortali finiscono al Tar, al giudice del lavoro, agli arbitrati? Chi lavora al Senato ha di meglio e di più: a decidere in primo grado su queste materie c’è la «Commissione Contenziosa», un organo giurisdizionale interno di cui fanno parte tre senatori (Manzione, ex Unione Consumatori, Saporito, An, e Legnini, Pd), un consigliere parlamentare e un rappresentante dei dipendenti. L’essenza del conflitto d’interessi. Il 28 aprile, ultimo giorno di vita della XV legislatura, il ricorso viene accolto all’unanimità. E come comunica la Cisl-Senato al personale, il Senato è persino condannato a pagare gli interessi maturati. Il presidente Roberto Manzione si limita ad invitare «ad aspettare il deposito della motivazione». Pare che si tratti di un banale vizio di forma: il taglio degli automatismi sarebbe stato deliberato senza previa trattativa sindacale né convocazione dei sindacati presso l’Ufficio di Presidenza del Senato (formato dal Presidente, vicepresidenti, segretari d’aula e questori). E dunque, i superstipendi possono tornare a volare. L’ultima parola, in punta di diritto, non è ancora detta: l’amministrazione del Senato, si apprende, ricorrerà in appello per difendere il blocco una volta note le motivazioni della «Commissione Contenziosa». Decidera al «Consiglio di Garanzia» (sempre formato da senatori o ex) e al suo presidente Guido Calvi. ROBERTO GIOVANNINI