Libero 21 maggio 2008, GIAMPIERO MUGHINI, 21 maggio 2008
Delitto Calabresi: una domanda a chi sa tutto... Libero 21 maggio 2008 Ho ricevuto ieri dal tribunale civile di Roma la citazione a un processo per diffamazione che mi ha intentato Nini Briglia, mio ex direttore a Panorama, e dove mi chiede 500mila euro al minimo di danni per avere leso la sua immagine
Delitto Calabresi: una domanda a chi sa tutto... Libero 21 maggio 2008 Ho ricevuto ieri dal tribunale civile di Roma la citazione a un processo per diffamazione che mi ha intentato Nini Briglia, mio ex direttore a Panorama, e dove mi chiede 500mila euro al minimo di danni per avere leso la sua immagine. Non so ancora chi sceglierò come mio avvocato difensore, al quale darò comunque il seguente memorandum per spiegare i fatti. Caro avvocato, le confesso di avere ricevuto con un certo stupore l’atto di citazione in cui Nini Briglia mi rimprovera di avergli ripetutamente lanciato delle accuse «bieche» e «infamanti». Conosco molto bene Briglia, da anni direttore generale della Divisione periodici del Gruppo Mondadori. Di quel gruppo ho fatto parte per 18 anni da inviato speciale di Panorama. Briglia è stato mio direttore per un tempo, e ho messo per iscritto che lo ritenevo un bravissimo direttore. Ha trovato il Panorama storico, quello che avevano diretto Claudio Rinaldi e Andrea Monti, un settimanale che purtroppo non aveva più alcuna possibilità di vita e di sviluppo nelle mutate condizioni del mercato dei giornali, lo ha fatto secco con un paio di colpi di ko e s’è inventato un altro giornale. Un giornale che a me personalmente interessava poco e niente, e difatti in quei due anni il mio posto era in un angolino (dove Briglia, persona civilissima, non mi molestava minimamente), ma che commercialmente e editorialmente era l’unico che si potesse fare. Questo per dirle che non ho con Briglia il benché minimo «conto in sospeso», come ha scritto su un giornale Cesare Lanza, uno che ha dei conti in sospeso con me. La ricostruzione di Marino I fatti. In occasione di una intervista che mi fece tre anni fa Claudio Sabelli Fioretti, avevo detto di reputare Briglia, e questo in ragione della sua posizione di spicco fra i dirigenti della Lotta continua milanese degli anni Settanta, uno di quelli che sapeva com’era andata l’azione del delitto Calabresi. Mi spiego ancor meglio. Date le nove o dieci sentenze dei tribunali italiani che hanno dato ragione alla ricostruzione di quell’azione fatta dal "pentito" Leonardo Marino come di una azione nata dal seno di Lotta continua, e nella quale erano direttamente coinvolti tre dirigenti o militanti di Lotta continua, non ne può non discendere che quell’azione era a conoscenza di alcuni dirigenti e militanti di Lotta continua. A conoscenza non so prima o durante o dopo. A conoscenza. Nell’intervista avevo detto dieci persone, e fra queste Briglia, e poi il capo del servizio d’ordine nazionale di Lotta continua (Luigi Manconi, che peraltro è mio amico), e non ricordo chi altri. Avevo detto dieci, penso in realtà siano cinquanta. Marco Boato è un mio carissimo amico, penso che lui sappia e lui lo sa che lo penso. Lanfranco Bolis, che vive a Pavia, e che ho abbracciato qualche giorno fa alla Fiera del Libro di Torino, penso che lui sappia. Erri De Luca, ex capo del servizio d’ordine romano di Lotta continua, lo ha scritto nero su bianco che quando si sarà concluso l’iter giudiziario, e si riferiva innanzitutto alla concessione della grazia ad Adriano Sofri (concessione di cui sono partigianissimo), a quel punto qualcuno di loro dirà come sono andate le cose. Più chiaro di così... Ripeto, sto parlando nell’idea che le nove o dieci sentenze non siano fanfaluche. Il che non vuole dire che siano inapputtabili in ogni particolare e in ogni passaggio. Io continuo a non credere che Sofri abbia dato il "la" all’azione. Nemmeno per un attimo ho mai pensato che quell’azione sia stata decisa da un consesso formale e da una votazione a maggioranza del gruppo dirigente di Lc. Nemmeno per un attimo. Nemmeno per un attimo ho detto (o pensato) che quelli che sanno dell’azione siano direttamente responsabili dell’azione. Lo avessi scritto (senza alcuna base) sarei un pazzo e un cretino, e siccome i miei articoli Briglia li pubblicava da mio direttore, lo sa che non c’era bisogno di correggere una virgola. Il fatto è che l’azione c’è stata, e a meno che non si scopra che Luigi Calabresi è morto di infarto. Che non esiste alcun indizio minimale o alcun pentito di terz’ordine che porti l’indagine altrove, in direzione di un altro gruppo estremista. Delle principali azioni del terrorismo rosso noi sappiamo tutto, fino al menù che consumava nella sua gabbia il povero Aldo Moro. Solo di un’azione non sapevamo nulla: il delitto Calabresi. E questo finché Marino non s’è messo a raccontare. Un racconto che era stato preso immediatamente sul serio da magistrati di sinistra e che ha retto al vaglio di non ricordo più quante corti. L’assassinio di Calabresi era nell’aria. La campagna contro di lui era stata forsennata. Chiunque di noi avrebbe potuto ucciderlo, ha scritto una volta il leale Erri De Luca, che non cessa affatto di essere un uomo di sinistra. Quando scrissi elogiativamente di quel suo intervento, all’indomani mattina mi telefonò Luigi Manconi a dirmi che aveva apprezzato. In tribunale Luigi s’era seduto ostentatamente a fianco di Ovidio Bompressi, e con questo voleva dire - a mio giudizio - che i colpevoli erano in tanti e Bompressi non più di altri. (Ancora una precisazione: sono felice che a Bompressi sia stata accordata la grazia). Non c’è solo la ricostruzione di Marino a indicare come sono andati i fatti. Non c’è solo l’elogio che dell’esecuzione fa il giornale Lotta continua all’indo mani. C’è che pochi giorni dopo lo stesso giornale pubblica il racconto di un gappista comunista che aveva giustiziato un federale fascista a Milano. Giustiziato alla maniera in cui era stato ucciso Calabresi. Un bell’esempio da ricordare. Ancora qualche mese dopo un militante di Lotta continua scrive un lungo articolo sui "Quaderni piacentini" a dire che quando c’è uno scontro duro, lo «scompaginare i reparti» del nemico è buona cosa. Quale fosse l’atmosfera del tempo lo ha raccontato Nando Adornato, che allora era studente di liceo. Quando arrivò la notizia della morte di Calabresi, i suoi compagni scattarono in piedi ad applaudire freneticamente. Lui restò seduto, piegato in avanti, vergognandosi del fatto che non stesse applaudendo. Sto dicendo delle cose specifiche contro la persona di Briglia? Non mi pare proprio. Ho scritto e penso che lui abbia saputo, tutto qui. Nel suo atto di citazione mi dice che non è mai stato capo del servizio d’or dine milanese di Lotta continua e bensì responsabile dei Comitati di quartiere di Lc, una delle strutture militanti più importanti del gruppo. Non aveva che da scriverlo all’indomani della mia intervista a Sabelli Fioretti, e subito ne avrei preso atto. Poteva rendere più convincente il suo intervento raccontando com’è che aveva saputo della morte di Calabresi, e quali erano state le reazioni dei suoi compagni e quali i loro giudizi, e se qualcuno di loro aveva esultato e se qualcuno aveva condannato. Peccato non l’abbia fatto, sarebbe stato un atto giornalistico a difesa della verità più valoroso che non chiedere a me 500mila euro. Come eravamo noi di Lc nel 1972 Ripeto, nulla di nulla contro la persona di Briglia neppure in termini morali. Fossi stato un militante di punta della Lc, mai e poi mai nel 1989 mi sarei presentato a un tribunale a denunciare questo o quello tra i miei compagni. soltanto in punta di verità che sto parlando, una verità che non deve essere intesa a danno di Bompressi, di Sofri o di Briglia, che non è mai stato sfiorato dagli atti processuali. Ma che è una verità storica e morale importante, perché ci dice come eravamo nel 1972 e perché certe cose sono successe. In fatto di schizofrenia, l’Italia quanto al delitto Calabresi tocca la sua vetta. Da una parte c’è l’Italia che s’è divorata a centinaia di migliaia di copie il libro di Mario Calabresi, il figlio del commissario assassinato e uno dei candidati alla direzione di Repubblica. Dall’altra c’è l’Italia di chi giudica Adriano Sofri, senza dubbio uno dei talenti della mia generazione, un maestro di pensiero e di morale e una vittima innocentissima. Ebbene, tutte e due le cose non possono andare d’accordo così facilmente. A me personalmente quel contrasto sembra insopportabile. A Nini Briglia, il cui onore e diritti costituzionali non ho mai sfiorato se non entro il mio diritto a un’ipotesi e a una valutazione, non so se sì o no. Lei che ne dice, caro avvocato che mi difenderà? GIAMPIERO MUGHINI