Libero 21 maggio 2008, GIOVANNI SALLUSTI, 21 maggio 2008
Quattro festival al dì posson bastare. Libero 21 maggio 2008 I festival culturali sono ormai una moda in continua espansione
Quattro festival al dì posson bastare. Libero 21 maggio 2008 I festival culturali sono ormai una moda in continua espansione. Spuntano ovunque come funghi, e fanno a gara per attirare l’occhio dei media. Fiera del Libro, Festival Filosofia 1 e 2 (Modena e Roma), Festival della Letteratura di Mantova, Pordenonelegge, Festival della Mente, e chi più ne ha più ne metta. L’ultimo nato è il Festival di Teologia di Piacenza. Queste kermesse sono anche delle macchine economiche: smuovono risorse, coinvolgono il territorio, hanno uscite ed entrate. A questo aspetto è dedicata la ricerca "Effettofestival", di Guido Guerzoni (pp. 153, scaricabile dal sito www.festivaldellamente.it, collana Strumenti) , presentata ieri a Milano. L’au tore, ricercatore della Bocconi, ha parlato con Libero del suo studio e del pianeta dei festival. Professore, cos’è l’impatto economico di un festival e come si può calcolare? «Si tratta della valutazione delle ricadute economiche sul territorio che ospita una manifestazione. Innanzitutto, si ha una spesa diretta. Sostanzialmente, quanto spendono in quei giorni i visitatori che provengono da altre provincie. Si ha poi una spesa indiretta, di secondo livello. Gli operatori economici della zona, infatti, comprano a loro volta più prodotti dai loro fornitori per soddisfare la domanda. Nelle grandi manifestazioni si ha poi una crescita del Pil locale. La somma di questi tre elementi dà l’impatto economico totale. Calcolarlo significa capire la quantità di risorse smossa da un festival, e il suo guadagno». All’estero è un’operazione all’ordine del giorno... «Sì, mentre in Italia non è mai stato fatto. Così si avrebbe in mano l’esatto impatto economico di un festival. All’estero questo è usato per convincere alcune categorie che traggono benefici dall’evento, ad esempio gli albergatori, a contribuire al finanziamento, sgravando gli enti locali. Poi, da noi c’è un’altra questione: gli organizzatori il più delle volte sono restii a fornire i dati necessari per effettuare una valutazione seria». Mi sembra ci sia anche un problema di classificazione. Nel suo libro sono citati festival decisamente surreali... «Sì, ormai c’è un vero e proprio abuso del termine festival. Vengono chiamate così anche manifestazioni che di culturale non hanno nulla, al limite della sagra. Ho contato due festival della lumaca. E poi festival del flamenco, della danza del ventre, del fitness, dello stoccafisso. Altri dalle improbabili pretese culturali, come il festival della letteratura resistente o quello della nuova letteratura rosa. Si è visto che la formula "buca", e la si appiccica a qualunque cosa. I festival così sarebbero oltre 1300, cioè circa 4 ogni giorno! Ma quelli veri non sono più di 60. Ed è inutile dire che sono danneggiati dalla moltiplicazione degli pseudofestival». Una distinzione potrebbe essere fatta in base alla qualità dei relatori ospiti. A proposito, questi vengono pagati, e come? «La regola di base è fornire un rimborso spese e un simbolico gettone di presenza, identico per tutti. Spesso, però, i personaggi più televisivi che culturali e gli intellettuali sovra-esposti pretendono un compenso ad hoc. In questi casi le informazioni sono rarissime, perché le trattative sono condotte dagli agenti delle "star" intellettuali e le cifre restano ignote. In generale, direi che la politica del gettone uguale per tutti è garanzia di un festival che punta all’ap profondimento e non al talk show». Riguardo agli ospiti, scorrendo i calendari si ricava un’impres sione sconfortante. Le stesse persone che si aggirano da un festival all’altro parlando delle stesse cose... «L’interscambio continuo degli ospiti è senza dubbio un problema italiano. Il punto è che un vero festival nasce mesi prima, attorno a un ben preciso tema culturale. Individuato questo, si chiamano i migliori specialisti in circolazione. Magari non star attira-pubblico, ma gente che ha qualcosa da dire. Invece, molti festival nostrani vengono improvvisati in qualche giorno da assessori al Turismo che mirano solo a trascinare in città un po’ di visitatori. Così vanno sul sicuro, puntano su quei cinque-sei nomi di cassetta, che ripropongono per l’ennesima volta la stessa minestra. Per fortuna, c’è uno zoccolo duro di festival di qualità, da Sarzana a Modena». Ad aggravare la sensazione da copia e incolla bisogna aggiungere che i festival sono tenuti quasi tutti nello stesso periodo. Giorni simili, ospiti simili, temi simili... «Beh, sono quasi tutti concentrati da maggio a settembre per esigenze logistiche. Visto che molte strutture sono all’aperto, si privilegia l’estate. Certo, questo aggrava la tendenza imitativa. In primis c’è una forte pigrizia intellettuale. difficile scovare un tema nuovo, e appena lo trovi c’è qualcuno che ti copia. Poi c’è la tipica propensione italiana ad adagiarsi. Il successo della formula festival ha generato un eccesso di offerta, e un inevitabile abbassamento della qualità. Un antidoto alla proliferazione indiscriminata è comunque il pubblico di queste manifestazioni. Tendenzialmente esigente, quasi sempre boccia le kermesse di puro intrattenimento estivo». Ma come sopravvivono i festival? Finanziamenti pubblici, privati... «I fondi ricavati dalla vendita dei biglietti e dal merchandishing relativo al festival sono una componente insignificante, neanche l’11%. Il rimanente si divide quasi ugualmente tra pubblico e privato. Il problema è che la quasi totalità dei festival ha un budget ridottissimo. Il ricorso all’esterno diventa quindi inevitabile. Nel pubblico, sono gli enti locali a svenarsi di più. Ma per loro può essere un rischio notevole: se l’inve stimento non rientra, un piccolo Comune rischia di bruciare una quantità ingente di risorse per un evento culturale. Da qui l’emergere dei privati, soprattutto, negli ultimi tempi, delle Fondazioni di origine bancaria, che si fanno madrine di molti festival (ancora Sarzana ne è un esempio). Sullo sfondo, comunque, c’è il cronico problema del nostro Paese in ambito culturale, cioè l’assenza di una programmazione seria a livello governativo. Gli organizzatori sono così obbligati ad arrabattarsi, e spesso trionfa la filosofia del "navigare a vista". Che uccide la ricerca intellettuale». Giovanni Sallusti