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 2008  maggio 21 Mercoledì calendario

Spagna, record di espulsioni. Con Zapatero cresciute del 43,4%. Corriere della Sera, mercoledì 21 maggio Madrid

Spagna, record di espulsioni. Con Zapatero cresciute del 43,4%. Corriere della Sera, mercoledì 21 maggio Madrid. «Non c’è muro capace di fermare il sogno di un futuro migliore» disse una volta Zapatero in Messico. Ma, a casa, si è sempre più pragmatici e le due enclavi di Ceuta e Melilla, in Marocco, sono state prudentemente circondate da muraglie di filo spinato, le coste magrebine e sahariane sono state «impermeabilizzate», per usare un termine asettico, e i pattugliamenti delle navi europee, italiane incluse, tra le Canarie e l’Africa, hanno contribuito ad abbattere del 54%, l’anno scorso, l’immigrazione clandestina in Spagna. Nei quattro anni della prima legislatura di Zapatero sono stati espulsi 370 mila clandestini, il 43,4% in più di quanti ne avesse cacciati il governo di centrodestra di Aznar. Dopo l’angosciosa estate del 2006, quando dalle coste del Senegal partivano quotidianamente bagnarole stracariche di africani, certi che, se fossero riusciti ad arrivare vivi a Tenerife, poi gli aerei spagnoli si sarebbero incaricati di trasportarli sul continente, le preoccupazioni si sono spostate all’aeroporto madrileno di Barajas e a quello catalano di El Pratt, dove ogni giorno arrivano aerei di linea regolari, dal Sud America, carichi di emigranti travestiti da turisti. I voli in direzione opposta ripartono quasi sempre semivuoti, anche quando i visti (che fino a 17 anni fa non erano richiesti ai sudamericani) dei passeggeri sbarcati si sono esauriti. «La Spagna – ha riconosciuto Consuelo Rumí, segretaria di Stato per l’Immigrazione - ha le frontiere più difficili da controllare di tutto il pianeta». E non può permettersi di essere troppo tollerante. Nell’ottobre dell’anno scorso, i Centros de detención de extranjeros pendientes de repatración, che corrispondono ai quattordici Cpt italiani, erano vicini al collasso: i giornali riferivano del «campo» di Gibilterra, dove erano rinchiusi in 550 sin papeles, e di Algeciras, dove in 239 si dividevano, nell’antica prigione, i posti disponibili per 190; le donne in attesa di rimpatrio dormivano in infermeria, la sicurezza degli «ospiti » (che non si possono definire detenuti, perché la legge chiarisce che i centri non sono penitenziari) era a rischio. Un problema comune a quasi tutti gli analoghi 174 centri di accoglienza europei, se si dà credito al rapporto realizzato da nove specialisti di Steps Consulting Social per il parlamento di Strasburgo nel quale si delinea «un sistema eccessivamente restrittivo di tipo carcerario» in oltre 130 centri visitati, spagnoli inclusi. Il dossier, pubblicato l’altro giorno anche dal quotidiano El País, illustra i risultati della visita realizzata da Sara Prestianni, con la partecipazione della Commissione spagnola di aiuto al rifugiato (Cear), a Fuerteventura, Madrid, Barcellona, Málaga e Algeciras: «La durata massima della detenzione è di 40 giorni – si legge ”, però in pratica gli stranieri possono essere ripresi dopo esserne usciti e accumulare così vari periodi di 40 giorni». La decisione di assecondare le richieste francesi e italiane per allungare i termini anche in Spagna ha provocato non poche reazioni, tacitate dal ministro degli Interni, Alfredo Pérez Rubalcaba: «Se siamo troppo permissivi con l’immigrazione illegale, potenziamo le mafie che trafficano in esseri umani – ha avvertito – e apriamo la via a una valanga ». Ma ha comunque assicurato che il limite potrà essere elevato al massimo a due mesi e non ai 18 ventilati dai governi europei più intransigenti. Gli autori del sopralluogo nei centri di permanenza temporanea spagnoli lamentano le condizioni igieniche e materiali, senza equipaggiamento basico, come lenzuola e abbigliamento pulito, dei reclusi, colpevoli di ciò che in Spagna non è considerato un delitto, ma un’irregolarità amministrativa. Nello stesso periodo, ottobre 2007, il primo governo socialista di Zapatero era alle prese con un’altra emergenza: la Cañada Real, una baraccopoli di 40 mila abitanti a pochi chilometri a sud di Madrid, dove convivono spagnoli, sfrattati da oltre trent’anni, marocchini, rumeni: una favela che la polizia tentò inutilmente di espugnare otto mesi fa e dove periodicamente, l’ultima volta il mese scorso, tornano i bulldozer per spianare stamberghe abusive. Tra i problemi che invece la Spagna non ha, c’è quello dei rom: pochi e inoffensivi i campi nomadi, mentre la comunità dei rumanos aumenta anche nella capitale senza provocare insofferenza. Erano meno di 15 mila nel 2001 e adesso è la colonia straniera più numerosa a Madrid. In tutta la Spagna sono aumentati del 250% in dieci anni e ora sono quasi 700 mila, organizzati in un centinaio di associazioni e con perfino un partito politico proprio, il Partito Indipendente Rumeno. Quasi mezzo milione è iscritto alla previdenza sociale e la maggioranza tiene a non essere confusa con i gitani. Tra i rumeni c’è una buona quota di lavoratori specializzati, professori, medici, ingegneri, arrivati dopo la soppressione del visto, tra il 2002 e il 2003, con la seconda ondata dall’ingresso del loro Paese in Europa, sperando di migliorare le loro condizioni economiche. E soprattutto dopo aver capito che nei Paesi mediterranei avrebbero avuto un’accoglienza (relativamente) migliore rispetto alla Germania, l’Austria, la Francia o gli Stati Uniti. Spesso sono stati delusi e la Spagna assistette attonita l’estate scorsa alla tragica fine di Nocolai Mirita, un immigrato senza lavoro che si bruciò come un bonzo davanti alla sede della Delegazione del governo a Castellón. In primavera, invece, è scoppiato il caso dei brasiliani: nella sala dei «non ammessi» dell’aeroporto di Barajas trascorse giorni di attesa e sconforto una ventitreenne carioca sospettata di venire in Spagna a prostituirsi, anziché partecipare a un convegno, come aveva dichiarato alla polizia di confine. In Brasile, per ritorsione, si applicò lo stesso trattamento ai viaggiatori spagnoli. Finché il caso non fu risolto e, almeno provvisoriamente, concluso dalle diplomazie. Elisabetta Rosaspina