Italia Oggi 16 maggio 2008, Flavia Gamberale, 16 maggio 2008
La mia musa è la natura. Italia Oggi 16 maggio 2008 Lo studio di Paolo Portoghesi è una torre in tufo che spicca nella campagna viterbese con le sue guglie dalle punte arrotondate e il ponte levatoio
La mia musa è la natura. Italia Oggi 16 maggio 2008 Lo studio di Paolo Portoghesi è una torre in tufo che spicca nella campagna viterbese con le sue guglie dalle punte arrotondate e il ponte levatoio. Sembra una rocca medievale. Ma guai a definirla torre d’avorio. «Tutt’altro», sorride Portoghesi, «mi sono trasferito qui a Calcata nel 2000, in occasione dell’anno santo, perché sentivo l’esigenza di fuggire dalla vita caotica di una metropoli come Roma e volevo sentirmi più vicino alla natura. Riscoprire il tempo e il silenzio necessario per guardarmi dentro e poter capire meglio anche la realtà che mi circonda». Così da otto anni a questa parte, quando non è in viaggio per lavoro, si ritira qui a osservare piante, fiori e altre forme della natura. Le sue vere muse ispiratrici. Come l’alveare avvolto in una campana di vetro, che troneggia vicino alle pareti tappezzate di titoli e riconoscimenti guadagnati nel corso della carriera. « una costruzione perfetta. Potrebbe essere un fantastico e funzionalissimo grattacielo», dice Portoghesi. Del resto, tutti i suoi progetti sono un continuo richiamo ai volumi arcuati e tondeggianti della terra. Basti pensare alla sua opera più famosa, la moschea di Roma. «Nel disegnare le colonne mi sono ispirato proprio ai tronchi delle palme», ricorda. Questo è il progetto, insieme al prospetto del Teatro di Catanzaro, di cui va più fiero. «Pensi», racconta, «che ho cominciato a interessarmi di architettura islamica solo su suggerimento di alcuni studenti palestinesi che seguivano le mie lezioni all’università di Roma». « stata una bellissima scoperta, per me cresciuto nella cultura cattolica. Poi nella metà degli anni 70 ho partecipato al concorso per la realizzazione della moschea di Roma e l’ho vinto. All’epoca ricevetti pure delle minacce di morte, probabilmente da gruppi di estrema destra. Eppure io ho sempre pensato che una moschea nella capitale della cristianità fosse un grande simbolo di modernità, testimoniasse il rifiuto dei fondamentalismi e rappresentasse un’esortazione alla comprensione reciproca tra fedi religiose». Portoghesi è affascinato dalle religioni. Quando ne parla assomiglia a un liceale entusiasta, anche se lascia scivolare le parole dietro lunghe pause da grande saggio. «Sono una risposta alla richiesta di senso dell’uomo. Io amo le religioni, soprattutto cristianesimo, ebraismo e islam, ma non sono un praticante. Preferisco non subire le limitazioni della fede e mantenere i mie dubbi». Ad affascinarlo però sono anche tante altre cose e personaggi: le case scavate nel terriccio e coperte dai rami di Cuzco («realizzano l’utopia del consumo zero»), Heidegger e Borromini. Proprio a quest’ultimo deve la sua passione precoce per l’architettura. «Quando ero bambino mia zia mi portava a passeggio per Roma, e mi ricordo che una volta andammo a visitare Sant’Ivo alla Sapienza, una chiesa progettata dal Borromini. Rimasi stupefatto dalla grazia, da quella conflittualità, che si coglieva nell’opera, tra l’insoddisfazione del presente e una tensione ideale verso il futuro». Dalle stradine del centro storico della Capitale, setacciate da cima a fondo, alla facoltà di architettura il passo è stato breve. Lì, oltre a maturare un interesse forte per la progettazione, è nato anche l’amore per l’insegnamento. Così nel ’68, Portoghesi si è ritrovato a insegnare e a fare il preside al Politecnico di Milano. «Sono stati anni di grande vivacità intellettuale. Non li rinnego», afferma, «io ero uno dei professori più giovani e dialogavo con il movimento studentesco. Alla fine fui pure sospeso per questo». Poi ci sono stati i viaggi in giro per il mondo a progettare edifici, teatri e chiese. «Adoro i teatri. Secondo me una città senza teatro è come un corpo senza cuore. Sono i posti dove ancora si svolgono dei veri riti sociali». E quando non progetta, a cosa si dedica? «Curo il mio giardino, qui a Calcata. Ho una varietà infinita di piante e un centinaio di esemplari di uccelli». E gli oggetti dai quali non si potrebbe mai separare? «La libreria di Otto Wagner e la collezione dei compassi di Ernesto Basile. Dei pezzi unici». Flavia Gamberale